Il Dio di Gesù e il Dio di Paolo
Riflessioni di José Maria Castillo, dottore in teologia ed ex sacerdote gesuita spagnolo, pubblicate sul blog Teologia sin censura (Spagna) il 4 aprile 2016, liberamente tradotte da Dino
Secondo qual’è il Dio in cui ciascuno crede, così è la vita che ciascuno conduce. Chi ha la fede riposta nel denaro, per esempio, sarà senza dubbio un individuo la cui vita sarà regolata dall’avidità. E la cosa più probabile è che un simile soggetto finisca per essere un corrotto o un ladro. Un tipo così, benchè affermi di essere ateo, in realtà non lo è. Perchè Dio è la realtà ultima che dà senso alla nostra vita. Una realtà che i suoi “credenti” sono disposti a servire. Per questo, senza dubbio, il Vangelo dice che l’antagonista di Dio è il denaro: “Non potete servire Dio e il denaro” (Mt 6,24; Lc 16,13), “mammona” personificato come una potenza che è sempre in conflitto con ciò che Dio esige e la rettitudine richiede (H. Balz).
Considerato questo, se parliamo di Dio, nel significato che tutti attribuiscono alla parola “Dio“, è importante sapere che, alle origini del cristianesimo, questa parola non sempre ha avuto lo stesso significato. In concreto, il Dio che ci si rivela in Gesù non è lo stesso Dio di cui ci parla Paolo di Tarso. E questo comporta conseguenze di enorme importanza, come dimostrerò in seguito.
In quanto al Dio di Paolo, l’esperienza che Paolo visse, sulla strada di Damasco, non fu una “conversione” (metanoia), nel senso proprio del termine. Prima di tutto perchè Paolo non applica a se stesso la terminologia specifica della conversione, che compare nei ripetuti racconti che lo stesso Paolo ci ha lasciato (Gal 1,11-16; 1 Cor 9,1; 15, 8; 2 Cor 4,6) e nei tre racconti particolareggiati (9,1-19; 22,3-21; 26,9-18) che Luca ci offre nel libro degli Atti.
Paolo, dopo l’esperienza vissuta sulla strada di Damasco, continuò a credere nello stesso Dio nel quale aveva sempre creduto, “il Dio dei Padri” (At 22,14) e a vivere la religione nella quale era stato educato (S. Légasse). Perciò, quando Paolo parla di Dio, si riferisce al Dio di Abramo e alle promesse fatte ad Abramo (Gal 3,16-21; Rm 4,2-20)(U. Schnelle). Ora, sappiamo che il Dio di Abramo è il Dio che chiese ad Abramo di uccidere ed offrire in “sacrificio religioso” il suo amato figlio (Gen 22,1-2). E’ inoltre il Dio che ha bisogno di sofferenza, di sangue e di morte per perdonare, secondo la terribile affermazione contenuta nella lettera agli Ebrei: “Senza spargimento di sangue non c’è perdono” (Eb 9,22).
La contrapposizione al Dio di Paolo è il Dio di cui ci parla costantemente Gesù e che si fa conoscere da noi nella vita e negli insegnamenti di Gesù. Si tratta del Dio che Gesù ci presenta sempre come Padre. Ma non secondo il modello del “paterfamilias“, il padrone e signore del gruppo familiare, la cui caratteristica identificante è il “potere“. No. Gesù parla sempre del Padre, che deve essere percepito a partire dall’amore, la bontà e la misericordia. Così com’è nella parabola del figliuol prodigo (Lc 15,11-32), che il padre accoglie, perdona e festeggia, senza chiedergli rendiconti, spiegazioni, nè giustificazioni. E’ il Padre “che fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni e manda la pioggia sui giusti e sugli ingiusti” (Mt 5,45). E, soprattutto, è il Padre che si è fatto conoscere da noi in Gesù (Gv 1,18), in modo che chi vedeva Gesù, grazie a Lui e soltanto attraverso di Lui vedeva il Padre (Gv 14,9).
Il Padre misericordioso che accoglie i peccatori e vive insieme a loro (Lc 15,1-2; Mc 2,15-17;Mt 9,10-13; Lc 5,29-32). Il Padre che, nella vita e nel comportamento di Gesù, ha fatto capire che le sue tre grandi preoccupazioni erano la sofferenza dei malati, l’indigenza dei poveri e le migliori relazioni personali possibili tra gli esseri umani.
La conseguenza di quanto affermato è facilmente comprensibile. Ho esordito dicendo che secondo qual’è il Dio in cui ciascuno crede, così è la vita che egli conduce. A prima vista sembra che il Dio più duro ed esigente sia il Dio di Paolo. In realtà non è così. Il Dio si Paolo esige sacrificio e culto. A noi non chiede più ciò. A noi chiede di ripetere il “sacrificio rituale” che commemora e attualizza il sacrificio di Cristo sulla croce. Per questo andiamo a messa. E se non possiamo farlo, paghiamo delle messe come espiazione. Perchè è importante lasciare tranquilla la coscienza, lasciarla in pace, per sentirsi perdonati.
Il Dio di Gesù, così come si è rivelato a noi, con la sua vita, i suoi insegnamenti e il suo comportamento, non ha chiesto rituali di culto nel tempio. Ciò che ha chiesto è che ci rispettassimo tutti, che perdonassimo a tutti, che ci amassimo tutti, che fossimo sempre buoni e ci sentissimo liberi di lavorare con impegno per una vita e una società più egualitarie, più giuste, più felici, soprattutto per quelli che soffrono di più.
Stando così le cose, è evidente che il Dio che ci fa davvero paura, al quale ci sottomettiamo con difficoltà, non è il Dio di Paolo, ma quello di Gesù. Di fatto, nella Chiesa e nella teologia, è stato (e continua ad essere) più presente il Dio di Paolo che quello di Gesù. Non sarà forse perchè col Dio di Paolo è possibile mantenere il solenne palcoscenico clericale che manteniamo, mentre col Dio di Gesù, se lo prendiamo sul serio, dovremmo modificare cose e comportamenti che non siamo disposti a cambiare?
Testo originale: El Dios de Jesús y el Dios de Pablo