Chi sono io per giudicare il mio fratello omosessuale? Un sacerdote cattolico s’interroga
Riflessioni di Michel Biart del gruppo David et Jonathan (Francia) pubblicate il 21 maggio 2016, liberamente tradotte da Marco Galvagno
Chi sono io per giudicare il mio fratello omosessuale? Padre Joël Pralong ha pubblicato il libro Mais qui a dit que Dieu n’aimait pas les homosexuels (Ma chi ha detto che Dio non ama gli omosessuali) nel 2013. Ora ne esce una nuova edizione pubblicata dalla casa editrice Saint Augustin, che si intitola Qui suis-je pour juger mon frère homosexuel? (Chi sono io per giudicare il mio fratello omosessuale?), in cui si legge un chiaro riferimento alle parole del Papa pronunciate in aereo mentre tornava da Rio.
L’autore mi sembra particolarmente vicino al Papa. Come lui, da quel che capisco, è convinto che il modello di relazione uomo-donna si inscriva nella volontà del Creatore così come è presentata nella Bibbia e che esso resti la chiave di un rapporto di coppia fruttuoso, con le sue luci e le sue ombre.
Padre Pralong pensa che l’omosessualità nasca da una lontana ferita affettiva conscia o inconscia, ma ritiene indispensabile valutare quello che la persona sta vivendo (p. 113). Ecco perché il suo libro è basato sulle testimonianze che ha raccolto. La lezione che possiamo trarne è che ogni uomo e ogni donna deve amare se stesso/a e affidarsi alle mani del Signore. Riconosce il valore della fedeltà in una relazione tra due persone dello stesso sesso e sottolinea la necessità di non focalizzarsi sull’aspetto sessuale della relazione.
Nota che la Chiesa invita le persone omosessuali alla continenza (p. 70) ma aggiunge che l’accompagnamento pastorale di queste persone deve aiutarle a tracciare la migliore strada possibile per ognuna di loro. Costruire una vita che comporti l’astinenza sessuale implica che la persona la voglia e la desideri davvero. L’obiettivo deve essere quello di umanizzare la persona, nel senso di aiutarla a scoprire un amore che tenga conto della persona nella sua totalità (p 77), anche se una relazione amorosa e fedele tra due persone dello stesso sesso non è quello che la Chiesa possa definire regolare (p78). Insiste sull’importanza dell’accoglienza, dell’amore e del rispetto verso le persone dello stesso sesso che hanno scelto di vivere in coppia, perché ciò che conta è l’amore (p.103).
Nella sua conclusione padre Joël Pralong va oltre, riconoscendo oche un messaggio del tipo “Vi amiamo, ma ciò che fate è cattivo” conduce in un vicolo cieco (p 112). Propone che la Chiesa dica piuttosto “Riconosciamo che avete un modo diverso di vivere l’amore, ma non possiamo giudicare la qualità di questo amore. È la vostra verità che si espande nel bene”. A suo avviso può esistere un amore oblativo (dono autentico di sé per l’altro) tra due persone dello stesso sesso (p.113).
Mi convincono davvero le riflessioni di padre Pralong. Forse alcune persone sono omosessuali per ragioni unicamente genetiche, possibilità a cui del resto si accenna, ma il tema mi sembra secondario. Come lui, aderisco all’idea che la sessualità si sviluppi nel contesto di una famiglia amorevole. Mi sento tradito senza rimorso su questo punto e vivo la mia sessualità come lo sviluppo di una remota ferita affettiva. Ma l’importante non è lì, ciò che conta per me è l’amore che posso approfondire giorno dopo giorno e la possibilità di vivere questo amore alla luce del Sole e in seno alla Chiesa.
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Joël Pralong, Qui suis-je pour juger mon frère homosexuel ?: Repères spirituels, Editore SAINT AUGUSTIN, maggio 2016, 125 pagine