Ponti e non muri. Gli omosessuali palestinesi ed israeliani lottano insieme per la ‘liberazione’
Articolo di Stefano Jesurum tratto da Sette del Corriere della Sera del 29 aprile 2010
C’è chi dice gay, omosessuale, e c’è chi dice luti – sodomita, contro natura. Per il mondo musulmano froci, finocchi, “disonore” di padri e fratelli maschi. Perseguitati, spesso torturati, a volte ammazzati.
Gay e luti sono oggi di nuovo stretti gli uni agli altri, in Israele, nel lavorare per la riuscita di un “telefono amico” in lingua araba.
La nuova help-line è frutto dei coraggiosi sforzi di Aswat (organizzazione di Haifa per i diritti delle lesbiche arabe) e di Alqaws (associazione per la diversità sessuale nella società palestinese di Gerusalemme).
Secondo il movimento, almeno un 10% dei palestinesi che vivono in Israele e nei Territori occupati è gay. Due, tre, enne volte discriminati dalla sorte e dal mondo.
Shàul (massiccia corporatura da paracadutista in netto contrasto con l’acquosità malinconica degli occhi celesti), militante del gruppo telavivino Agudà per la difesa dei diritti individuali, mi raccontava tempo fa degli oltre cinquecento individui tra i venti e i trent’anni – omosex, bisex, trans – che ancora si nascondono nei sobborghi più squallidi di Tel Aviv.
Non possono lavorare perché non hanno il permesso di soggiorno, e vivono nel terrore di essere arrestati e rispediti a casa. Ovvero impacchettati e ricacciati a Ramallah, a Gaza, a Nablus.
Palestinesi che convivono con un compagno ebreo e in questo modo – oltre che ad amare liberamente – si nascondono dalle famiglie che danno loro la caccia. Se li trovassero, purificherebbero col sangue il disonore di un figlio o un fratello haràm, proibito.
Ed ecco che le “lotte di liberazione” vanno avanti, anche tra “nemici”. Lottano e vincono. Ponti e non muri.
Nel ‘93, Uzi Even*, rinomato docente universitario di chimica, sfidò il Parlamento israeliano con parole di libertà. Lo cacciarono dall’intelligence dell’esercito e poi gli tolsero il grado di ufficiale riservista. Anni dopo Yitzhak Rabin modificò la legge militare e ordinò che i gay non fossero più discriminati.
Così oggi il capo degli stati maggiori riuniti statunitensi, ammiraglio Mike Mullen, discute con il collega israeliano Gabi Ashkenazi di cooperazione bilaterale, ma anche dell’atteggiamento da mantenere verso i soldati omosessuali, materia in cui Tsahal ha ormai parecchio da insegnare
* Uzi Even è un israeliano professore alla Tel Aviv University ed ex politico che lotta per i diritti degli omosessuali. Nel 1993 denunciò al parlamento israeliano, la Knesset, che le Forze di difesa Israeliane (IDF), dove aveva servito come tenente colonnello, lo aveva congedato ed aveva rimosso il suo nulla osta di sicurezza dopo aver scoperto che era gay.
La sua testimonianza spinse il governo di Yitzhak Rabin a cambiare la legge e i regolamentari militari per consentire agli omosessuali di servire nell’esercito in qualsiasi posizione.
Nel 1995 ha sfidato con successo il suo datore di lavoro, l’Università di Tel Aviv, perché venissero riconosciuti i diritti coniuge al suo partner. Nel 2002 è stato il primo omosessuale membro del parlamento israeliano.