“Io, l’omofoba”. Dal rifiuto di mio figlio gay, all’accettazione.
Articolo di di Marie Auffret-Pericone pubblicato sul sito del quotidiano cattolico La Croix (Francia) il 21 gennaio 2014, liberamente tradotto da Giovanna Vallone
«Io, l’omofoba!» («Homophobe moi!). In questo libro (1), una madre racconta il suo percorso dopo aver saputo dell’omosessualità del figlio. Rabbia, senso di colpa, rifiuto… Numerosi genitori di ogni estrazione sociale si ritrovano in questa storia.
«Se mi avessero detto, undici anni fa, che un giorno mi sarei trovata qui, in questo posto, a guidare dei gruppi di genitori di persone omosessuali, non ci avrei mai creduto», racconta Anna Ghione. Questa giovane cinquantenne dagli occhi chiari che riceve nei locali dell’associazione Homogène au Mans si ricorda ancora del giorno in cui, durante un semplice pranzo, capisce che Alexandre, suo figlio di 17 anni, ha un compagno. «Questa terribile giornata dove tutto è cambiato» che l’ha lasciata «sconvolta, sbalordita, scioccata», è descritta in un libro pubblicato di recente da Editions Michalon (1).
Da quel momento racconta la sua storia in TV e in radio, dove viene invitata in varie trasmissioni, tanto la sua testimonianza sembra aver fatto centro. Sono arrivati più di 500 messaggi sulla sua pagina Facebook. Parole di simpatia per la maggior parte, anche se alcuni la rimproverano di «voler far soldi attraverso il suo libro, sulle spalle di suo figlio». Lei accantona la critica con un sorriso: «Alexandre mi ha incoraggiata in questo progetto. Credo che se il libro riscontra un certo successo è per il suo messaggio di accettazione della differenza. Forse anche perché parlo del mio percorso con autenticità: sono autocritica perché non sono certo stata un esempio!»
Omofoba lei? «Prima di confrontarmi sull’argomento con Alexandre, guardavo con occhio un po’ beffardo i cortei del Gay Pride. Ma nel complesso ero abbastanza indifferente. Pensavo, soprattutto, che “questo” succedeva solo agli altri». Il giorno della rivelazione dell’omosessualità da parte di suo figlio si sente tuttavia «sopraffatta» da un’ondata di emozione. «Ho perso il controllo di me stessa. La sola vista di Alexandre mi era insopportabile, mi faceva orrore. Allora sì, credo di aver avuto, in quel momento, una “crisi” di omofobia. Un vero e proprio rifiuto».
«Sono passata dal rifiuto all’accettazione».
Oggi è arrivata all’ideale che desiderava raggiungere: «Sono passata dal rifiuto all’accettazione». Questa credente cattolica ha trovato aiuto in seno alla Chiesa? «No, non ci ho pensato. Non sapevo neanche che esistessero associazioni che potessero aiutarmi. Mi sentivo persa. D’altronde, credevo fosse Alexandre ad aver bisogno di aiuto, non io!»
Quando decide di prendere appuntamento con uno psicologo, lo fa per parlare del «problema» di Alexandre. «Volevo fargli capire che si sbagliava.» La terapeuta le annuncerà, senza giri di parole, che è lei, sua madre, ad aver bisogno di aiuto. «La terapia mi ha fatto prendere coscienza che la mia rabbia e la mia sofferenza erano legate alla mia storia. Sono figlia illegittima e sono io stessa un “segreto” di famiglia. Credo che con la rivelazione del “segreto” di Alexandre tutto sia venuto a galla.»
Con difficoltà, Alexandre e sua madre sono riusciti a tenere i rapporti «soprattutto grazie a Alexandre», precisa lei. Tuttavia le rotture familiari non sono rare, constata Nicolas Noguier, presidente dell’associazione Le Refuge (Il Rifugio). Questa associazione propone un alloggio temporaneo e un accompagnamento sociale e psicologico a giovani vittime del rifiuto: «Il nostro lavoro è anche quello di ristabilire il legame all’interno della famiglia. Ci riusciamo circa in un quarto dei casi. Quando il rifiuto è troppo forte da parte dei genitori, si trova tuttavia sostegno in fratelli e sorelle più grandi o nella famiglia in senso lato».
Nessuna evoluzione, «l’omosessualità del figlio è sempre difficile da accettare»
Cos’ha pensato del libro di Anna Ghione? «L’ho trovato vicino alla realtà. Si fa portavoce di ciò che si sente, su ciò che i giovani possono provare, sull’omofobia nell’ambito scolastico, ma anche sul percorso dei genitori.» In questi ultimi quindici anni i dibattiti sul pacs (patto civile di solidarietà), sul il matrimonio omosessuale o sul film La Vita di Adèle hanno contribuito a facilitare il dialogo tra genitori e figli? «Oggi, se ad esser interessato dalla cosa è il migliore amico o la migliore amica del figlio, allora l’argomento non crea problemi ai genitori. Ma se si tratta del proprio figlio, non vedo evoluzione. L’omosessualità del figlio è sempre difficile da accettare. Se ne parla maggiormente, ma le discussioni familiari alle volte sono state occasione di parole ostili che hanno rafforzato l’isolamento dei giovani omosessuali.»
Certo, non tutti i genitori rifiutano un figlio non prettamente conforme a ciò che avevano sognato, constata Nicolas Noguier: «Ma questi genitori devono “incassare il colpo”. Soffrono, si sentono isolati, colpevoli… Ho constatato che il percorso si compie più facilmente se incontrano altri genitori che vivono la stessa situazione». Questo oggi motiva Anna Ghione all’interno dell’associazione Homogène.
È anche il lavoro svolto da varie associazioni, come quelle cristiane David & Jonathan (Davide e Gionata) e Devenir un en Christ (Diventare una cosa sola in Cristo), di cui Jean-Philippe è vice presidente: «Di fronte alle domande dei genitori non ci sono risposte prefabbricate. Si deve accogliere il/la compagno/a? Questa storia rischia di fare esplodere la famiglia? Saremo stigmatizzati? Cosa dire ai bambini? Rischiano di esserne influenzati? Tante le domande che si pongono i genitori» spiega.
Dal momento dell’uscita del suo libro, Anna Ghione continua a dar testimonianza, convinta che la sua esperienza possa permettere di evitare numerose incomprensioni. È passata dall’omofobia a una forma di «omo-idolatria», come molti le hanno rimproverato? Lei sorride per il termine utilizzato: «Attraverso gli incontri in associazione ho potuto constatare che oltre l’omosessualità ci sono degli esseri umani. Nutro un grande rispetto ed una certa ammirazione per quelli che scelgono di fare il loro “coming out”. Ci vuole coraggio per correre il rischio di perdere l’amore dei propri genitori. C’è molta sofferenza da entrambe le parti».
(1) «Homophobe moi ! le jour où mon fils m’a révélé son homosexualité» di Anna Ghione, Éditions Michalon. 192 p. 16 €.
Testo originale: Accepter l’homosexualité de son enfant reste difficile