Cristianesimo e omosessualità in Africa: la vicenda dei martiri ugandesi
Articolo di Kittredge Cherry pubblicato sul suo blog Jesus in Love (Stati Uniti) il 3 giugno 2016, liberamente tradotto da Silvia Lanzi
Quarantacinque valletti ugandesi rifiutarono di avere rapporti sessuali con il loro re dopo che si furono convertiti al cristianesimo, così egli li mise a morte. Molti vennero bruciati sul rogo il 3 giugno 1886. Questi ragazzi e giovani uomini furono canonizzati dalla Chiesa cattolica e da quella anglicana, lasciando alcune verità nascoste dalle loro aureole.
L’esperienza dei martiri ugandesi mostra un re gay oppresso e demonizzato dai cristiani conservatori? O è un esempio di come eroici cristiani hanno tentato di salvare dei ragazzi dall’abuso sessuale di un re pedofilo? I cristiani hanno insegnato ai giovani africani a vergognarsi dei loro desideri omosessuali? O hanno dato ai valletti un modo per rifiutare lo stupro di un tiranno dall’autorità assoluta? Forse la verità è da qualche parte tra questi estremi? Come si può interpretare la storia perché gli ugandesi LGBT abbiano accesso alla giustizia… e a Dio?
I martiri ugandesi sono poco conosciuti in Occidente, ma sono famosi in gran parte dell’Africa. Il giorno dei martiri, il 3 giugno, è festa nazionale in Uganda. La storia è definita dallo studioso Kenneth Hamilton la “narrazione più celebrata della passione dei martiri dell’Africa cristiana”. Furono canonizzati nel 1964 da papa Paolo VI.
I quarantacinque martiri vennero uccisi nel 1886, ma sono ancora celebrati oggi che l’Uganda sta al centro di un dibattito mondiale sull’omosessualità e con la recente uscita del film God Loves Uganda (Dio ama l’Uganda). Il documentario, vincitore di numerosi premi, mostra l’odierno ruolo dei missionari evangelicali americani nel perseguitare gli africani LGBT e nel promuovere leggi più dure contro l’omosessualità.
Ancora una volta i cristiani LGBT sono presi in mezzo mentre i cristiani conservatori e i sostenitori delle persone LGBT offrono interpretazioni contrastanti e usano la storia dei martiri ugandesi per i propri scopi. Forse questa scomoda posizione offre una prospettiva che può riverberare nuova luce sul fatto. La storia non consiste semplicemente nella solita polemica della Chiesa contro l’omosessualità.
La storia dei martiri ugandesi è stata usata per instillare l’omofobia e, come papa Giovanni Paolo II ha detto, “attrarre l’Uganda e tutta l’Africa a Cristo”. La storia intreccia l’odio omofobico, il razzismo e l’imperialismo che ancora oggi influenzano il mondo. I conservatori giocano la carta sessuale con salaci dettagli per guadagnare convertiti, screditare il movimento per i diritti delle persone LGBT e promuovere la “castità”. All’estremo opposto, gli attivisti LGBT usano la storia per provare che l’omosessualità era naturale in Africa e non un’“importazione occidentale”, come sostiene la fazione anti-gay. Tendono ad ignorare la differenza tra sesso e stupro, mentre entrambe le parti confondono la linea di demarcazione tra omosessualità e pedofilia.
In definitiva, la storia riporta alle stesse domande che le persone credenti devono affrontare ogni giorno in tutto il mondo: come può la Chiesa condannare l’abuso sessuale mentre afferma di nuovo la bontà della sessualità, inclusa quella delle relazioni omosessuali? La ricerca di una nuova etica sessuale a favore delle persone LGBT è espressa in libri come Sex as God Intended (Il sesso come Dio lo ha concepito) del sacerdote e psicoterapeuta gay John McNeill e in Sexuality and the Sacred (La sessualità e il sacro) curato da James B. Nelson e Sandra P. Longfellow.
La comprensione odierna della psicologia umana mostra che lo stupro è violenza, non sesso, e che la pedofilia non è omosessualità, a prescindere dal sesso dei bambini. Il cristianesimo le ha usate per opprimere le persone queer e colonizzare i nativi, ma ha volte hanno fornito una scappatoia dall’abuso e un’alternativa al matrimonio eterosessuale.
Ho guardato God Loves Uganda per la prima volta nel 2014, quando è stato trasmesso dalla PBS (e uscito in DVD). Molti altri hanno elogiato il film, così qui mi soffermerò sulle domande che mi sono venute in mente. Sono d’accordo che gli evangelicali americani stanno fomentando sentimenti anti-LGBT in Uganda per consolidare il loro potere e il loro ego; sono anche d’accordo che gli attivisti americani pro-LGBT dovrebbero essere coinvolti in qualche maniera, in Uganda, per contrattaccare a quest’odio di importazione. In parte grazie al film, la nuova legge ugandese contro l’omosessualità (Anti-Homosexuality Act) è stata attenuata, cosicché l’omosessualità è punita con il carcere, non più con la pena di morte.
Ma cosa vogliono davvero gli Ugandesi, a parte tutta questa influenza dall’esterno? Prima che gli Europei portassero il cristianesimo e il colonialismo, cosa pensava il popolo dell’Uganda dell’omosessualità? È difficile da dire. Ho fatto una ricerca molto accurata, ma risposte certe sono difficili da trovare. Sara Weschler offre lo sguardo di una lavoratrice straniera in Uganda nel suo articolo How the West Was Wrong: Misunderstanding Uganda’s Gay Rights Crisis Makes It Worse (L’Occidente aveva torto: fraintendere la crisi omosessuale ugandese non fa che peggiorarla) su Truthdig.com: “Un problema dell’attivismo occidentale LGBT rispetto all’Uganda è che è largamente portato avanti da persone che conoscono poco il Paese, al di là della sua posizione sull’orientamento sessuale… i diritti degli omosessuali arriveranno in Uganda, ma arriveranno molto lentamente e solo come parte di un movimento più vasto verso la giustizia sociale nel Paese”.
Come molti reportage progressisti su Uganda e omosessualità, il film God Loves Uganda non menziona i martiri ugandesi. È più facile omettere la sconveniente verità dello sfruttamento omosessuale maschile nel passato. Ma nessuna storia dell’omosessualità in Uganda è completa senza una discussione sui martiri ugandesi uccisi nel 1886.
Ecco un occhiata più da vicino a quanto successe. I martiri ugandesi morirono in un periodo di tremendi cambiamenti e scontri culturali in Uganda. I primi missionari cristiani erano arrivati solo una decina d’anni prima, nel 1877. Gli Arabi introdussero l’Islam in Uganda circa nello stesso periodo, qualche anno prima dell’annessione britannica del Paese nel 1884.
Il re Mwanga II di Bugunda, ora parte dell’Uganda, faceva sesso con giovani uomini (e forse ragazzi) che lo servivano come valletti. È stato chiamato “il più famoso omosessuale d’Africa”. Ma forse la sua sessualità era molto più complessa. Aveva mogli e figli, così forse era bisessuale. È stato etichettato come pedofilo, ma anche lui era un adolescente. Iniziò a regnare all’età di sedici anni e ne aveva più o meno diciotto all’epoca delle esecuzioni. Non importa quanto fossero anziani i partner sessuali del re, richiedere sesso pena la morte è più uno stupro che sesso gay tra adulti consenzienti. Il martire più giovane, san Kizito, aveva più o meno quattordici anni.
La crisi iniziò quando il valletto preferito del re, Mwafu, si unì agli altri nel resistere alle sue profferte sessuali. I valletti reali erano membri dell’élite, nobili figli di capi, ma avevano un rango basso alla corte del re. Alcuni di loro si convertirono al cristianesimo e iniziarono a negare a re Mwanga il suo solito “piacere”, così egli radunò i valletti e ordinò loro di scegliere tra lui e il cristianesimo. Solo tre scelsero il re. Il resto dei valletti subirono la sentenza di morte. Un folto gruppo finì col marciare per otto miglia e bruciare sul rogo sulla collina di Namugongo, dove venne costruito un santuario. Le vittime furono ventitré anglicani e ventidue cattolici, incluso il capo dei valletti Joseph Mukasa (il primo martire cattolico nero del continente africano) e Charles Lwanga.
I primi racconti narrano che il re faceva sesso con i suoi paggi, ma nel corso degli anni è sono state sempre più sottolineate le “richieste peccaminose” e la “perversione” del re “dissoluto”. Un certo tipo di agiografia coloniale e tossica ha mischiato l’omofobia con le paure razziste riguardo al “nero” pagano e non civilizzato dell’Africa. I morti furono prontamente proclamati santi martiri e vennero canonizzati ufficialmente dalle Chiese cattolica, anglicana e luterana.
Un’utile analisi queer del martirio ci è fornita da Kenneth Lewis Hamilton, che ha scritto sui martiri ugandesi in molti articoli accademici e nella sua tesi di laurea. Hamilton si identifica “come un missionario ordinato, cattolico, ispirato dall’Africa, postcoloniale e queer”. Scrive in un articolo intitolato The Flames of Namugongo: Postcoloniality Meets Queer on African Soil? (Le fiamme di Namugongo: il postcolonialismo incontra i queer su suolo africano?): “E così, lo stabilirsi del cristianesimo – in particolare quello cattolico e quello anglicano – in Uganda coincide direttamente con il racconto di un desiderio omosessuale trasgressivo. Questo comporta un inizio provocatorio per il discorso cristiano nell’Africa dell’est e la conseguente canonizzazione dei martiri porta un oscuro, pericoloso desiderio proprio nella pelle dell’Uganda cristiana. La canonizzazione, infatti, è un messaggio della predicazione: la narrazione del ‘martirio’ diventa ora parte di un canone di nuovi racconti: quelli su sodomia, razza, desiderio e conquista”. Lo stesso articolo si conclude così: “Voglio mettere più figure dei martiri nelle cappelle e online… voglio più dipinti di questi ragazzi-martiri sulle nostra mura nere e cattoliche. Questi sono i corpi e i clan che ora abitano il paradiso. Ma fanno come hanno fatto gli schiavi: come una presenza sovversiva ti sorridono, ma sono sempre pronti alla rivolta e al liberarsi a vicenda”.
Ispirato da queste parole di Hamilton ho cercato in internet immagini dei martiri ugandesi per accompagnare questa riflessione. Sono rimasto stupito nello scoprire una fotografia di gruppo degli stessi martiri, scattata circa un anno prima che morissero. Per molto tempo non ho potuto staccare gli occhi dalla foto. Ancora oggi i loro volti mi ossessionano.
Sono stato doppiamente sorpreso che l’analisi queer dei martiri ugandesi The Flames of Namugongo includesse una preghiera di uno dei miei libri, Equal Rites (Riti egualitari). Anch’io ho voluto finire questa riflessione con una preghiera. Prima ho dato un’occhiata alle preghiere ufficiali dedicate ai martiri ugandesi, ma si focalizzavano pesantemente sulla fede cristiana e anche sulla “castità, la purezza e la moralità sessuale”.
Non sembravano adatte per una riflessione che cercasse di sviluppare una nuova etica e una nuova spiritualità a favore di relazioni omosessuali basate sull’amore tra adulti consenzienti. Così l’ho avvicinata alla stessa preghiera che Hamilton ha citato da Equal Rites. Queste parole sono state scritte da Elias (Ibrahim) Farajaje-Jones nella sua Invocation of Remembrance, Healing, and Empowerment in a Time of AIDS (Invocazione di ricordo, guarigione e capacità nell’epoca dell’AIDS):
Sì, vi onoriamo, nostre sorelle e fratelli.
Sì, ricordiamo e riconosciamo che ve ne siete andati prima di noi.
Senza di voi, non esisteremmo qui ora.
Attraverso di noi, vivete di generazione in generazione, dall’infinito all’infinito.
E così ci affidiamo allo spirito della resistenza e della vita.
Alziamo in alto la nostra luce, le nostre vite, le nostre speranze, il nostro amore e diciamo coraggiosamente e senza paura, “Mai più”.
Lascio l’ultima parola ad uno dei martiri ugandesi. Queste parole sono state attribuite a Bruno Serunkuma, pronunciate poco prima di essere ucciso: “Un pozzo che ha molte sorgenti non inaridisce mai. Quando ce ne saremo andati, altri arriveranno dopo di noi”.
Testo originale: Uganda Martyrs raise questions on homosexuality, religion and LGBT rights