Un mese dopo il massacro di Orlando, il silenzio imbarazzato delle chiese sulla violenza
Articolo di Bob Shine pubblicato su Bondings 2.0, blog dell’associazione cattolica New Ways Ministry (Stati Uniti), il 12 luglio 2016, liberamente tradotto da Silvia Lanzi
Quarantanove persone sono state assassinate un mese ad oggi al Pulse, un nightclub LGBT a Orlando (USA), e più di cinquantatre sono state ferire. Queste vittime, che sono il risultato della peggiore sparatoria di massa della storia statunitense, hanno avuto una commovente dibattito sulla violenza e il pregiudizio anti-LGBT e hanno spinto molti cattolici a commemorarne i caduti.
Suor Jeannine Gramick, co-fondatrice di New Ways Ministry, dice che, anche se si dovrebbe parlare di più di questo fatto, c’è ancora troppo silenzio nel mondo – e nella Chiesa – sulla violenza anti-LGBT. Conoscendo la lunga storia di violenza contro le persone LGBT, e le minacce quotidiane con cui hanno a che fare quotidianamente “minacce verbali, intimidazioni, bullismo e anche incarcerazione, tortura e morte”, ha scritto nel National Catholic Reporter:
“Un tipo di violenza non spesso riconosciuta è il silenzio. Dopo il massacro di Orlando, alcuni, nelle nostre Chiese, si sono resi colpevoli di questo tipo di violenza. Testate di tutto il mondo hanno scritto che la sparatoria si è tenuta in un club gay, ma le dichiarazioni rilasciate dall’ufficio stampa del Vaticano, dalla Conferenza Cattolica dei vescovi statunitensi e dal vescovo di Orlando incredibilmente non hanno detto che le persone prese di mira erano lesbiche, gay, bisessuali o transgender. Anzi, alcuni vescovi non hanno rilasciato alcun commento.
“Il silenzio è violenza quando, come in questo caso, nega l’esistenza di un’intera categoria di persone, persone che sono state oggetto di violenza fisica a causa di quello che sono. Se non riconosco la tua esistenza, non ho bisogno di riconoscere i tuoi diritti; non vedo che hai bisogno di protezione aggiuntiva. Di più, non sono capace di riconoscerti o di relazionarmi a te in maniera significativa.
“’Silenzio=Morte’ lo slogan degli attivisti contro l’AIDS negli anni ’80, non sollecitava solo il silenzio del presidente Ronald Reagan sul male, ma dichiarava anche fortemente che, ed era questione di sopravvivenza, il silenzio sulla repressione delle persone LGBT doveva finire. La violenza del silenzio uccide”.
Suor Gramick riconosce che meno di dieci vescovi statunitensi identificano le vittime di Orlando come persone prevalentemente LGBT. Di questi, solo pochi sfidano i pregiudizi anti-gay nella Chiesa e nella società. Addirittura un vescovo della Florida ne ha criticato un altro che ha riconosciuto coraggiosamente il contributo della Chiesa all’omofobia.
Dal momento che l’accostamento dell’incidente di Orlando alle notizie del Vaticano ha suscitato ulteriori domande di almeno tre congregazioni femminili americane, la Gramick ha chiesto di far smettere il silenzio e la segretezza:
“Le ricerche della Chiesa su persone o gruppi di solito sono ammantare di un velo di silenzio, che ha conseguenze disastrose nella vita della Chiesa stessa. La segretezza instilla paura e permette alle autorità di controllare le menti e le azioni. Quando questioni significative sono segrete rispetto ai fedeli, i leader della Chiesa possono non dichiararsi responsabili delle loro azioni e i fedeli non possono avere conversazioni consapevoli su argomenti importanti…
“Il silenzio può anche distruggere quella famiglia spirituale che chiamiamo Chiesa…Se la nostra Chiesa fosse una democrazia e questo un anno di campagna elettorale, sui miei manifesti si potrebbe leggere, “Abbasso la violenza del silenzio e viva la vittoria della parola!’”
Altri cattolici di tutto il mondo hanno parlato, dalla sparatoria di Orlando un mese fa, ricordando le vittime e rinviando alla causa della giustizia per le persone LGBT.
I cattolici LGBT di Westminster, si sono riuniti alla Farm Street Jesuit Parish a Mayfair, Londra, e hanno ricordato le vittime in una messa alla fine di giugno. Fra’ Tony Nye che ha tenuto l’omelia ha sfidato i suoi ascoltatori a mettere alla prova le loro priorità, visto ciò che era successo ad Orlando chiedendo loro:
“Mettiamo Dio e la sua giustizia al primo posto nei nostri pensieri? Sarebbe bello che potessimo controllare la nostra rabbia e scoprire il pregiudizio che c’è nei nostri pensieri; che potessimo essere pronti al prezzo che la sequela di nostro Signore potrebbe comportare, il costo di alzarsi ed essere pronti alla giustizia, al rispetto del nostro prossimo chiunque possa essere, alla vera ricerca della volontà di Dio, nel nostro tentativo di seguire la chiamata di Cristo”.
Il Gay and Lesbian Outreach (pastorale per le persone LGBT) dell’arcidiocesi di Chicago ha ricordato le vittime durante la messa della settimana seguente, mettendo le loro foto davanti all’altare e leggendo il nome e l’età di ogni persona, come ripotrato da Crux. È stata letta una lettera di cordoglio dell’arcivescovo Blase Cupich, che includeva la sua dichiarazione alle persone LGBT che lui e l’arcidiocesi erano al loro fianco.
Il National Catholic Reporter racconta che per un fastidioso incidente, la messa del 24 giugno per le vittime tenuta a San Juan, Puerto Rico è stata interrotta da una bomba e la comunione è stata distribuita fuori dalla chiesa. Le paure per uno zaino abbandonato, più tardi rientrate, mostrano l’alto grado di vigilanza che molti hanno provato durante le commemorazioni.
L’arcivescovo di San Juan Roberto Gonzalez Nieves ha legato la commemorazione alla festa di san Giovanni Battista che, come ha detto l’arcivescovo “è stato anche lui una vittima di capriccio e odio”. Gonzalez ha chiesto che finisca la discriminazione con cui si confrontano le persone LGBT, implorando ai cattolici di convertirsi come Giovanni Battista, dalla violenza a Cristo.
Oltre a ricordare semplicemente le persone uccise al Pulse, i memoriali dei cattolici includono atti di denuncia profetica. Hanno fatto posto nella Chiesa alle persone LGBT, riconoscendo che non solo ora stanno soffrendo, ma la loro continua presenza nelle nostre comunità e il contributo che offrono alla Chiesa stessa. Alfred Pang ha riflettuto recentemente riflettuto su questo blog sul modo in cui i festeggiamenti del Pride hanno funzionato nel “risveglio” di Orlando. The Global Network of Rainbow Catholics ha lanciato una petizione di solidarietà con le vittime di Orlando e le persone LGBT degli Stati Uniti che potete firmare qui.
Un’ulteriore petizione, già firmata da 1.300, chiede a papa Francesco di ritrattare il linguaggio offensivo nei confronti delle persone LGBT nel catechismo della Chiesa cattolica, in ossequio ai tentativi di decriminalizzazione delle Nazioni Unite. La petizione, potete trovare qui, dice, tra l’altro:
“Dopo aver avuto a che fare con l’orrore [di Orlando], non è abbastanza deplorare, o anche simpatizzare, dobbiamo combattere e combattere ciò che porta all’odio e al crimine… Papa Francesco, tu puoi combattere l’odio. Annulla subito l’articolo 2357 (1) del catechismo che stignatizza l’orientamento sessuale. La repressione criminale dell’omosessualità, come sappiamo, è un terreno fertile per il passaggio ad atti omicidi, ed è per questo chiediamo di mettere a disposizione l’autorità delle Nazioni Unite e quella del Vaticano, che oggi brillano per la loro assenza, per la decriminalizzazione dell’omosessualità”.
Queste liturgie e questi servizi religiosi, queste dichiazioni e queste parole così chiare – tutto ha ricordato il Corpo di Cristo, rimettendo una tragedia orribile nel contesto della comunione dei santi e della resurrezione. Suor Julia Walsh ha scritto della sua esperienza di questo luttioso e vivificante processo per il Global Sisters Report. La Walsh ha partecipato ad una messa dove c’erano poster con i volti delle vittime, e su questo ha scritto:
“I nostri corpi sono uniti. Noi siamo uno; insieme nel pianto, nella pena e nel trauma. Nessuno soffre da solo; stiamo male insieme, siamo frustrati e feriti insieme…
“Ci siamo riuniti in uno spazio sacro, in un luogo dove possiamo esprimere completamente e in piena sicurezza la nostra esperienza comune e il nostro credo. In qualche modo, non siamo diversi da quelli che sono entrati nel Pulse di Orlando cercando un santuario che li proteggesse da un mondo che li perseguitava per la loro differenza.
Proprio come loro hanno trovato una casa e una comunità che li amava e li accettava, noi cattolici abbiamo trovato la nostra casa intorno alla tavola dell’eucarestia dove siamo liberi di esprimere la nostra fede. Il nostro mare di facce che si inchina davanti al Pane Spezzato per Tutti non è dissimile dal mare di facce che incontravano la sicurezza e la libertà su una pista da ballo.
“Sono entrata in chiesa, con il mio dolore per le vittime di Orlando e fagocitata dalla mia vita piena, aspettandomi la solita liturgia. Me ne sono andata cambiata, stanca e con le guance bagnate da un buon pianto, con impressi nella mia memoria i visi sui poster e la gente nella chiesa”.
Testo originale: One Month After Orlando Massacre, Sr. Jeannine Gramick Decries Silence On Violence