Ho 23 e sono gay. Oggi ho scoperto che sono capace di amare
Testimonianza di Stan, 23 anni, pubblicata da lambdaeducation (Svizzera), liberamente tradotta da Marco Galvagno
A 16 anni ho scoperto di essere gay. Facendo una retrospettiva i miei ricordi d’attrazione verso gli uomini vanno molto più indietro, ma è a questa età che mi sono reso pienamente conto della mia diversità. È successo durante un campo estivo religioso in Grecia, sulle isole Ionie: eravamo una ventina di ragazzi e ragazze dai sedici ai trenta anni.
Di giorno vivevamo all’aperto e di notte dormivamo sotto le stelle. In riva al mare non ci formalizzavamo troppo, quando ci cambiavamo i costumi. Aver visto le ragazze, ma soprattutto i ragazzi mezzi nudi per tre settimane mi ha fatto capire una volta a casa di essere gay. È stato uno shock, mille tonnellate di vergogna, incomprensione e orrore mi sono piombate addosso.
Dalla pubertà in poi non mi sentivo bene con il mio corpo che cambiava portando con sé strane pulsioni. Questa scoperta non ha certo migliorato la situazione. Mi sono messo a provare disgusto per il mio corpo e a odiarlo. Una delle mie prime reazioni è stata quella di prendermela con Dio per avermi donato quel corpo che trascinavo come fosse una palla al piede.
Verso i 17- 18 anni vedevo molte coppie di ragazze e ragazzi formarsi intorno a me, anche mio fratello minore e mia sorella avevano la ragazza e il ragazzo. Mi sono messo a desiderare anche io di avere una relazione, ma con un ragazzo. Fino a quel momento avevo pensato che la mia omosessualità fosse passeggera, unicamente legata a sensazioni fisiche, mi sono reso conto che aveva un’origine più profonda in me. Ho vissuto allora l’epoca peggiore della mia esistenza: mi sono messo a pensare d’ avere un difetto congenito, una tara irreparabile, scolpita dentro la mia essenza.
Mi sono creduto incapace d’amare e pensavo che questa incapacità si manifestasse nella mia omosessualità. Ero più che mai disgustato da me stesso. Come pensavo, e tuttora penso, il tratto che distingue l’uomo dagli animali risiede nella sua capacità d’amare, mi sono sentito escluso dall’umanità. Speravo in un miracolo segreto che mi facesse tornare “normale”. Per essere sicuro che mi lasciassero in pace con la storia delle ragazze mi sono messo a dire agli amici che volevo diventare prete, era meglio che mi considerassero un tipo strano che un gay.
Poi quando avevo venti anni degli amici di famiglia sono venuti a pranzo da noi, praticavano tutti judo. La mamma di questa famiglia mi ha un po’ preso in giro dicendo che ero troppo magrolino e gracilino e che il judo mi avrebbe fatto bene, si offriva di pagarmi lei un anno di arti marziali, se ci fossi andato.
Ho accettato, ho la sensazione che pensassimo entrambi che fosse uno scherzo. Ma è questo scherzo che mi ha consentito di superare la sensazione di vergogna e disgusto verso me stesso. Gli inizi del judo sono stati duri: vedendo le prese a terra che dovevo imparare, avevo molta paura, dovevo coricarmi su un altro ragazzo; ma dopo vari allenamenti le mie paure si sono dissipate. E ho scoperto qualcosa di stupefacente: potevo fare attività gratificanti con tutto il mio corpo, che non era ridotto a mera genitalità, quella che mi ossessionava tanto.
Da quel momento in poi ho iniziato a riconciliarmi con il mio corpo e con me stesso. Durante i due anni successivi mi sono abituato all’idea che sarei rimasto gay tutta la vita e che era inutile lottare contro la mia natura. Pensavo di essere qualcuno con un “cuore” difettoso e mi sforzavo di accettarlo. Un periodo triste e grigio. A ventidue anni e mezzo sono arrivato al punto di essermi rassegnato, ma non potevo tenere quel fardello solo per me ed è spalando la neve sul tetto di casa che mi sono deciso a saltare il fosso. Era il 16 gennaio 1999, ne ho parlato a mia madre.
Avevo molta angoscia, ho pianto per un’ora e mezza tra le sue braccia. Penso che mia madre avesse indovinato, ciò che le avrei detto, ma è stata in silenzio fino a quando le ho confidato che da quando mio fratello usciva con la sua ragazza, anche io aspiravo a stare con qualcuno, ma con un ragazzo. Mia madre è stata fantastica, la prima cosa che mi ha detto è che se la cposa la faceva soffrire, pensava che lo avessi fatto molto più di lei.
Poi ho fatto un secondo salto: sono andato a un gruppo di giovani gay a Losanna, era il mio primo contatto con altri gay. Ero estremamente nervoso, ma alla fine ho osato entrare nel locale, quella sera la discussione verteva sul tema della coppia e della fedeltà. Con mio grande stupore ho scoperto che anche i gay desideravano una vita di coppia, colma di amore e tenerezza. Io credevo che i gay vivessero solo di sesso e che sognassero di collezionare corpi, cadevo dalle nuvole.
Tornando a casa in auto, mi sono messo a cantare a squarciagola: “i gay sono capaci di amare”. Non ho dormito tutta la notte dalla gioia. Tornavo ad essere un essere umano. Da allora ne ho parlato a mio padre e a tutti i miei parenti stretti ed è andata abbastanza bene: mio padre ha avuto qualche difficoltà ad accettarmi, ma non mi ha mai rifiutato.
Ne ho parlato anche ad amici e amiche e per il momento non c’è stato nessun problema. Oggi posso affermare di essere fiero di essere gay. In effetti sono fiero di essere me stesso e l’omosessualità fa parte integrante della mia essenza. Per molto tempo me la sono preso con la vita e ora la ringrazio di avermi fatto come sono. Sono un ragazzo capace di amare.
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Testo originale: L’histoire de Stan