Esodo, coscienza e libertà nella riflessione cattolica LGBT. Voci dall’America Latina
Brano tratto dal libro di Carolina del Río Mena*, ¿Quién soy yo para juzgar? Testimonios de homosexuales católicos, Editorial Uqbar, Santiago (Cile), anno 2015, pp.23-26, liberamente tradotto da Dino
Esodo, coscienza e libertà mi sembra che siano tre elementi centrali dell’attuale esperienza di fede. L’essere in cammino consente di prendere coscienza della precarietà delle conoscenze, delle definizioni dogmatiche e della stessa teologia.
Non dobbiamo aver paura di pensare e di parlare. Dobbiamo perdere la paura di entrare negli angoli di quelle vite che non corrispondono ai nostri ideali cristiani o alle norme o a quanto si conosce. La fedeltà al Vangelo non consiste – ritengo – nel non cambiare le cose ma nel sapere che cosa è necessario cambiare e perché.
A mio giudizio, tutto ciò che costituisce un attacco alla pienezza della persona non viene da Dio. Non può venire da Colui la cui gioia e la cui gloria stanno nel fatto che l’uomo – e la donna – Vivano, con la V maiuscola. Sappiamo che niente della nostra umanità è estraneo a Dio e guardare all’altro come a un altro che ha la stessa nostra dignità significa addentrarsi in un territorio sacro e nelle migliaia di pieghe e labirinti della persona, compresa la sua sessualità. Ma è proprio in queste pieghe molte volte dolorose, nascoste e buie che il Dio della Vita mette la sua residenza.
Papa Francesco ci esorta a perdere la paura e a parlare con libertà, a pensare, a rivedere le nostre conoscenze. L’ha affermato con chiarezza nel discorso inaugurale della riunione preparatoria del Sinodo sulla Famiglia: “Una condizione generale di base è questa: parlate chiaramente. Che nessuno affermi: questo non lo posso dire perché altrimenti penseranno male di me. Dite tutto ciò che pensate, liberamente, senza peli sulla lingua. Nello stesso tempo si deve ascoltare con umiltà e accogliere a cuore aperto ciò che dicono i nostri fratelli. Grazie a questi due atteggiamenti si esercita la sinodalità, l’ecclesialità”.
L’esperienza vitale del credente di oggi deve essere un’esperienza di esodo, di essere in cammino e questo essere in cammino è esattamente la nostra biografia. Dio rivela se stesso nella storia di ciascuno ed è il credente che deve scoprirlo nella profondità delle proprie esperienze vitali. Esodo, coscienza e libertà mi sembrano essere tre elementi centrali dell’esperienza di fede attuale. L’essere in cammino permette di prendere coscienza della precarietà delle conoscenze, delle definizioni dogmatiche e della stessa teologia. L’essere in cammino ci spinge a disinstallarci stabilmente, a spostarci dalle nostre zone di comfort per andare incontro all’altro.
Agire con libertà e in coscienza significa ricorrere a questa legge scritta nel cuore di ognuno di noi, nell’obbedienza della quale sta la dignità propria dell’essere umano: essere figli e figlie di Dio. Infine, credo che finché la diversità sessuale non sarà integrata dall’opinione pubblica, finché non entrerà nelle aule delle scuole e nelle università, finché non si renderà visibile con dignità, saremo in debito col Vangelo. Dopo aver conosciuto le vite dei miei intervistati, posso affermare con tutta sicurezza e certezza che essi non sono esseri stravaganti o depravati o peccatori, che non minacciano la stabilità del matrimonio e della famiglia, che non sono un cattivo esempio per i nostri bambini, che non insegnano comportamenti che essi potrebbero imitare, che non fanno alcun danno al tessuto sociale. Sono semplicemente uomini e donne che cercano di farsi riconoscere nella loro realtà di vita così come sono stati creati da Dio, né più né meno.
Abbiamo bisogno di integrare le persone LGBT, non per far loro un favore ma per avere con noi persone migliori, etero e omosessuali, e costruire così una Chiesa migliore e una società migliore. Non dobbiamo aver paura di aprirci a questa realtà. Dobbiamo confidare nel Dio della Vita che vuole che tutti i suoi figli abbiano Vita in abbondanza, anche i suoi figli e figlie LGBT. Dobbiamo sperimentare nuove risposte, nuovi percorsi e senza dubbio anche l’ospitalità e l’accoglienza. E a questo scopo, io direi… parliamo meno di loro e parliamo di più con loro. Il linguaggio dell’amore misericordioso di Dio, che è l’unico linguaggio insegnato da Gesù Cristo, dovrebbe eliminare alla radice ogni pregiudizio e ogni emarginazione nei confronti delle persone LGBT. È necessario immergersi in quelle vite e tornare a pensare partendo dalla domanda che Gesù rivolge al cieco: “Cosa vuoi che faccia per te? Signore, che io veda” (Marco 10:46-52); che tutti noi vediamo.
Vi ringrazio tanto!
* Molte persone e Comunità cristiane ci chiedono di pubblicare la presentazione del libro della giornalista e teologa Carolina del Rio: “Chi sono io per giudicare? Testimonianze di omosessuali cattolici” (Santiago del Cile, Editorial Uqbar, 2015). Testo già pubblicato a cura dell’Instituto Humanitas Unisinos (Brasile) sul sito dell’agenzia Adital il 23 maggio 2016
Testo originale: ¿Quién soy yo para juzgar?