II grido dell’uomo smarrito colpito dal silenzio di Dio
Lettera di Enzo Fortunato pubblicata sul Corriere della Sera il 27 agosto 2016
Caro direttore, conosco bene il grido dell’uomo nella tempesta del terremoto, perché anch’io ho gridato quel giorno, il 26 settembre del ‘97, all’interno della Basilica superiore di San Francesco, quando il sisma colpì Assisi e molti comuni umbri e marchigiani. Poi — dopo quella lunghissima e terribile scossa — cadde il silenzio, mentre la polvere sollevata dalle volte cadute dall’alto riempiva la navata, lasciando a terra i corpi di quattro fratelli e un pezzo di storia dell’arte.
A essere colpito durante il sonno, ancora una volta, è il centro Italia. Oggi come allora il sisma ferisce i nostri centri storici. La memoria delle nostre tradizioni. Allora come oggi svegliati di soprassalto dal boato e l’attesa, sperando che tutto finisse — e finisca — il prima possibile. Ricordo, diciannove anni fa, la corsa e la conta dei confratelli, drammatiche nel nostro scambio di sguardi perché alcuni mancavano all’appello.
Conosco il silenzio, lo smarrimento e il pensiero a Dio: imbrattato di polvere, la corsa verso l’esterno a respirare aria, a chiedermi perché, a cercare risposte dentro di me, uomo di chiesa.
Il grido dell’uomo, il silenzio di Dio. Siamo noi, forse, chiamati a rispondere alle «domande» che Egli suscita in noi, trasformando la nostra esperienza di sofferenza e di dolore — la nostra «Passione» — in risposte di umanità e di solidarietà. Francesco d’Assisi non spiega la sofferenza ma incontrandola cambia il suo orizzonte. Da una vita per sé a una vita per gli altri.
E se il filosofo francese Albert Camus, di fronte al dolore dirà: non mi inginocchierò mai sotto questo Cielo di sofferenza, noi invece, come figli di Francesco, ci inginocchiamo per lenire e dare senso alla nostra vita.
E allora dov’è Dio? È nella presenza di nuovi angeli custodi, in quei giovani volontari, in quei pompieri, in quelle donne e in quegli uomini di buona volontà che si fanno prossimi, che non fanno battere le lancette dell’orologio ma quelle del cuore. Che non scappano e che rispondono al grido dell’uomo di dolore e disperazione. È la risposta della speranza all’angoscia, della fede alla nostra fragilità.
Ma anche, chi è Dio? Il nostro è un Dio delle parole, dei gesti, dei silenzi, come raccontato nella Bibbia.
Oggi sento di riprendere quei 365 «non temere» che ritmano l’intero percorso del Testo Sacro. È la parola di Dio per ogni giorno dell’uomo. Per quelli tristi come per quelli gioiosi. Per quelli della disperazione come per quelli della speranza.
Il Dio dei gesti è quello del Buon samaritano, del Buon pastore, del Padre misericordioso che lascia tutto per andare incontro all’uomo. Per cercarlo e chiamarlo per nome. Per dirci che ci conosce meglio di noi stessi e che ci aspetta sempre, ci perdona e ci cura con cuore di madre.
Ma il nostro è anche un Dio di silenzi. Come ha ricordato papa Francesco: «Pensate ai grandi silenzi nella Bibbia: per esempio il silenzio nel cuore di Abramo, quando andava con suo figlio per offrirlo in sacrificio. Due giorni, salendo sul monte, ma lui non osava dire qualcosa al figlio, anche se il figlio, che non era sciocco, capiva. E Dio taceva. Ma il più grande silenzio di Dio è stato la Croce: Gesù ha sentito il silenzio del Padre, fino a definirlo “abbandono”: “Padre perché mi hai abbandonato?”». Oggi gridiamolo quel dolore perché ci sono silenzi che non possiamo comprendere né spiegare se non guardando la Croce. Oggi molte lacrime bagneranno visi e bare, esprimeranno l’abbandono di Dio e il suo silenzio. Ma inaspettata, arriverà la Resurrezione.