Vivere in Uganda dove, in nome di Dio, si uccidono i gay
Articolo di Delphine Bauer pubblicato sul sito del Magazine 360° (Svizzera) il 22 febbraio 2016, liberamente tradotto da Marco Galvagno
Maria, 23 anni pantaloni rosso fuoco, mèches bionde nei capelli voluminosi saltella sorridente e vivace. “Ciao, sono lesbica” ci dice, tanta leggerezza ci sorprende in un paese che nel 2013 ha votato una legge che condannava a morte gli omosessuali. L’Uganda entrava così nel cerchio fortunatamente ristretto degli undici paesi, come l’Arabia Saudita, il Pakistan o lo Yemen, che hanno optato per la pena di morte (per i gay). Ma oggi è una giornata speciale per questa ingegnera free lance che ha fondato la Youth Rock foundation, una ong che opera per difendere i diritti dei gay.
La giornata internazionale di lotta contro l’Aids, il primo dicembre, è stata il pretesto per organizzare un evento gay friendly, nella capitale, a Mulago il più grande ospedale della città, esteso per vari chilometri. Nella sezione delle malattie infettive hanno montato una tenda, distribuiranno pasti caldi, gratis per tutto il giorno.
La giornata prevede incontri sulla prevenzione, ma anche momenti più informali, incontri e danze tradizionali. Uno spazio di libertà relativa che tira su il morale di decine di partecipanti, in gran parte omosessuali, che qua tra le mura dell’ospedale si sentono accettati senza sentirsi giudicati. Maria si è impegnata fin da quando era molto giovane come volontaria nella lotta per i diritti delle lesbiche, dato che la gente ha gli stessi pregiudizi nei confronti degli uomini che delle donne. E riguardo ai trans si chiedono quale sia la loro vera identità di genere.
“Noi cerchiamo di fare accettare le persone come sono” spiega lei accogliendo i nuovi arrivati e gestendo la logistica della giornata. In Uganda dal 2004 alcune associazioni simili a Rock youth fondation sono venute alla luce del sole, ma nessuna di loro è ufficialmente un’organizzazione GLBT. Si tratta di promuovere le cure contro l’Aids, di fare prevenzione per una sessualità più sicura o di favorire l’inserimento professionale dei giovani, il governo dà la caccia ai gay, non tollererebbe una ong apertamente glbt.
La specificità ugandese è che mentre spesso le organizzazioni gay, lesbiche e trans non lavorano insieme qua hanno deciso di unirsi per evitare il fenomeno controproducente della competizione.
Lotta quotidiana
Le problematiche che riguardano le minoranze sessuali sono molto numerose: rifiuto delle famiglie, esclusione sociale, rifiuto di prestare loro cure da parte dei medici in caso di aids, esclusione dal lavoro, linciaggi, aggressioni, omicidi. Maria, che è in coppia da due anni con la sua ragazza, lo sa bene. Ha vissuto il peggio. “Con la mia ragazza volevamo fidanzarci, simbolicamente, ovvio, dato che è vietato. Quando suo zio è venuto a saperlo e l’ha sequestrata per tre giorni privandola di cibo e acqua. Era legata. Lui inoltre mi chiamava al telefono minacciandomi di morte. Una volta ha risposto mia sorella e gli ha detto: «Fai attenzione, sei tu che stai sequestrando una persona, noi possiamo andare alla polizia e denunciarti».
Maria è dovuta andare a soccorrere e salvare la sua amata a notte fonda, si è coperta il viso con un velo e sono riuscite a scappare insieme. “Chi lo sa cosa sarebbe successo alla mia ragazza? Suo zio prevedeva di farle trascorrere la notte in una camera con due uomini. Era nuda. Dato che esiste lo «stupro correttivo» in Uganda. Oggi ne parla con distacco, ma la sua relazione amorosa è una battaglia di tutti i giorni.
Un po’ come per la trans Princess Rihanna, l’invitata d’onore della giornata, la giovane ugandese, di sesso maschile alla nascita, ha incominciato a farsi chiamare così sei anni fa. Eletta miss pride Uganda nel 2009, ne va molto fiera e ha desiderato diventare un simbolo per la comunità gay.
“Siccome sono una principessa devo dare consigli ed educare la gente dappertutto in Uganda”. Ci dice, nella pausa tra due danze, di essere fiera d essere così come è e di non desiderare un intervento chirurgico per diventare donna.
Senza alcuna prova della sua omosessualità Princess Rihanna è stata incarcerata varie volte, una volta la sua detenzione è durata ben 7 mesi. “Siamo stati denunciati, picchiati, mandati in prigione.” Attualmente vive con il proprio compagno, cosa non facile. “Viviamo rischiando continuamente di essere aggrediti. Dobbiamo essere discreti” spiega.
Peggioramento dell’omofobia.
Se l’omosessualità era punibile già a partire dall’epoca coloniale britannica in base all’articolo 145, adottato nel 1950 dal nuovo stato bastava “denunciare una relazione carnale contro natura”, la situazione è molto peggiorata negli ultimi trenta anni. L’arrivo delle chiese evangeliche ha risvolti inquietanti. Nei sermoni dei pastori i discorsi omofobi sono tutt’altro che rari.
Il pastore Scott Lively, fondatore del gruppo Abiding Truth Ministery è stato processato negli Stati Uniti per avere diffuso calunnie e discorsi carichi di odio in cui associava omosessualità, pedofilia e epidemie, sosteneva inoltre che i gay avessero un piano segreto per distruggere la società.
Nel 2011 il militante gay David Kato, padre del movimento GLBT in Uganda è stato assassinato. I suoi cari sono persuasi che la sua morte sia dovuta all’impegno per la causa GLBT, dato che le minacce e le molestie verbali si sono intensificate prima del fatidico giorno del suo omicidio.
Il 2013 è stato l’anno del parossismo: non solo i giornali della peggior specie, come Red Pepper tabloid, sostengono l’esistenza di un complotto gay diffuso ovunque, ma cosa ancor più grave più grave pubblicano foto di personalità pubbliche, presunti gay.
Non si tratta di una solo di una cosa molesta, ma in un contesto sociale già teso lanciano un vero e proprio invito all’odio e all’aggressione fisica.
Nel febbraio 2014 sono state pubblicate ben duecento foto. C’è stata indignazione internazionale. Ma non è tutto. Sul versante politico lo stesso anno il presidente Yoweri Museveni ha promulgato una legge anti gay di una violenza inaudita. È stato suggerito che a proporre il disegno di legge sia stato il pastore integralista americano Scott Lively, per altro, amico del presidente. La legge è stata soprannominata Kill the gays.
Prima che la nuova legge prevedesse la pena di morte essere gay era comunque un reato punibile con una pena fino a 7 anni di prigione. Ma non solo la nuova legge oltre a condannare a morte, spinge anche i cittadini comuni alla delazione nei confronti di vicini di casa che si presume essere omosessuali. “Ci sono state tensioni orribili tra vicini”, si ricorda Ambrose, un militante dell’associazione Kuchu Times, piattaforma web della comunità LGBT. In quel periodo molti gay hanno chiesto asilo politico all’estero o vivevano preda della paura”, ricorda la princess Rihanna.
Sulle ragioni che hanno spinto il presidente a quest’atto i vari attivisti concordano: il presidente ha fatto questa legge in vista dell’approssimarsi delle elezioni politiche. Nel febbraio 2016 ci sono state le elezione in cui l’anziano Museweni (84 anni), al potere da trenta anni ininterrottamente, chiedeva di essere rieletto. Per Ruth, militante di Kuchu Times, abbracciare il tema della lotta all’omosessualità “è stato un modo per controllare i gruppi di disperati che passano tutto il tempo in chiesa, si dà loro qualcosa per distrarli dai problemi reali del paese”.
La legge che prevede la pena di morte è stata bocciata dalla corte costituzionale, ma non sui contenuti, ma solo per vizi formali. Alcuni deputati tornano sempre alla carica proponendo nuovi progetti di legge. “Stavolta conosciamo meglio i nostri diritti, non li lasceremo fare” afferma determinata princess Rihanna.
La resistenza si organizza
Ma se la società non accetta o ancora non vede di buon occhio i gay, le lesbiche e le persone transgender alcune voci di dissenso iniziano a farsi sentire. Se Ruth dichiara che scorre cattivo sangue con quelli che non l’accettano com’è, Maria può contare sul sostegno costante di sua sorella Barbara: “ Non mi è mai venuto in mente di non sostenere mia sorella”.
Stessa musica per uno dei fondatori della Youth Rock fondation, Steven, il cui fratello avendo scoperto che è gay, non lo ha giudicato e gli ha promesso di non fargli mai mancare il proprio sostegno.
Dal punto di vista istituzionale, è vero che ci sono pastori che infiammano la platea con discorsi omofobi come Martin Scempa, che ha chiesto di fare appello contro il pronunciamento della corte costituzionale, ma molti altri hanno scelto la strada della pace e dell’amore.
L’ottantaquattrenne pastore Senyonio, con la sua aria buona e il suo fisico rotondetto, vive in una casetta elegante alla periferia di Kampala. Nel 2001 grazie alla mediazione di un assistente sociale ha incontrato quattro ragazzi gay, cacciati di casa. “Pensavano che Dio non li amasse e che fossero un abominio”. Davanti a tanta disperazione il pastore si mette a difenderli adirandosi con i membri della propria chiesa. “ Per me era impossibile condannarli e ho chiesto che fossero accettati” racconta. Per questo pastore è chiaro che durante gli studi di teologia, i futuri pastori dovrebbero imparare a parlare di sessualità e matrimonio.
“Quando i gay si sposano con una donna non sono felici, ma quando si accettano sono felici e creativi”, analizza lui che ama parlare dell’agape greca, questa forma di amore incondizionato, trattata da Platone. “Escludere delle persone, è questo l’amore?” chiede in modo retorico.
Inserito nella società ritiene che gli ugandesi siano rigidi sul tema dell’omosessualità perché questo li porterebbe a riconoscere che la sessualità non ha come unico scopo la procreazione. Sono rari i pastori che parlano del piacere sessuale e della creatività che vi è insita, come fa invece il pastore Senyoyo, che è aperto e pieno di vitalità.
Per il suo impegno e le sue posizioni aperte, però si è fatto molti nemici all’interno della sua chiesa. Ora non ha più una comunità e quando va a pregare nella chiesa di un confratello deve stare in silenzio. È stato lui a pronunciare il sermone durante il funerale dell’attivista David Kato.
In un altro settore la rivista Bombastic precorre i tempi e si fa portavoce dei cambiamenti. Nel 2014 Kasha Jacqueline Nabagesera, una trentacinquenne militante impegnata, ha fatto uscire il primo numero di questa rivista rivolta alla comunità gay, ma soprattutto a quelli che sanno sui gay solo le calunnie diffuse dalla stampa ufficiale ugandese. La sua volontà è “dare voce ai senza voce”. Nelle pagine della rivista si susseguono le storie di gay lesbiche e trans, descritte con parole semplici e toccanti.
Ruth, 33 anni, una dei membri dell’ associazione ha iniziato il suo impegno dopo aver visto un video con la testimonianza di Kasha. Profondamente colpita ha cominciato a lavorare al suo fianco. Ai suoi occhi è chiaro che la maggior parte degli attacchi ai gay sono orchestrati dai mass media. Il primo numero della rivista, autofinanziata, è uscito nel dicembre 2014 con una tiratura di quindicimila copie. Una bella sfida soprattutto di fronte al ministro della morale del governo che voleva arrestare Kasha con l’imputazione di propaganda gay, ricorda Ruth. Era persuaso che distribuendo la rivista reclutassimo gay.
L’obiettivo del secondo numero, che è attualmente in preparazione, è quello di raggiungere le cinquantamila copie. È stata fatta una campagna d’autofinanziamento, ma ci sono anche sostenitori, provenienti da tutto il mondo.
La copertina dovrebbe rappresentare una donna nera e una trans che si tengono per mano, una provocazione che il Bombastic può permettersi ora più che mai. Con la prospettiva della campagna presidenziale in corso nessun politico ha voglia di attirare l’attenzione internazionale su di sé. Meglio non parlare dei gay e fingere che non esistano, come se non parlandone i gay venissero per magia cancellati dalla cartina dell’Uganda. Obiettivo: fallito.
Testo originale: Ouganda, deux ans après «Kill the Gays»