La rimozione dell’omofobia nella Chiesa Cattolica
Articolo del gesuita Klaus Mertes* pubblicato sulla rivista accademica theologie.geschichte (Germania), Bd. 11, 2016, liberamente tradotto da Antonio De Caro
Di “omofobia” si può parlare, propriamente, solo da quando esiste il concetto di “omosessualità”. A sua volta, questo deriva dalla scienza medica del XIX secolo e indica un orientamento duraturo o anche una inclinazione verso persone dello stesso sesso, quale che ne sia l’origine. Il comportamento sessuale degli esseri umani viene a tal proposito distinto in chiare categorie (come è tipico per la scienza moderna). Tale classificazione è ignota alla tradizione neotestamentaria e al primo cristianesimo, come pure alla prima letteratura giudaica.
Nell’accezione odierna, omofobia indica “un rifiuto o un’ostilità sociale rivolta a donne ed uomini omosessuali. Nelle scienze sociali l’omofobia viene associata a fenomeni come razzismo, xenofobia o sessismo nell’unico concetto di «ostilità verso gruppi specifici di persone» e di conseguenza non dipende da un’anomalia patologica […] Il concetto di omofobia rimanda alla paura come causa originaria del comportamento di rifiuto […] La paura è un modello riconosciuto per spiegare il comportamento aggressivo o di rifiuto da parte non solo di giovani, ma anche di adulti nei confronti degli omosessuali, vale a dire non paura di queste persone, bensì una paura profonda, spesso inconscia di alcune parti represse della propria personalità. Tuttavia in tal caso non si tratta di un disturbo fobico in senso clinico e psicologico”. [1]
L’omofobia urta innanzitutto contro il comandamento dell’amore verso il prossimo. Né nell’AT né nel NT il concetto di prossimo è limitato ad un determinato gruppo, nazione o a un determinato genere. Anche nel cristianesimo delle origini vengono superati, attraverso il concetto di “prossimo”, forme di segregazione e rapporti gerarchici profondamente radicati nella società, che possono vantare un’alta legittimazione ideologica come pure una lunga tradizione. Per la Chiesa vale la rivoluzionaria affermazione: “non c’è più Giudeo né Greco, non c’è più schiavo né libero, non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3.28). Sulla base delle espressioni delle lingue moderne si può integrare “non c’è più…omosessuale o eterosessuale…”. Che la Chiesa non riesca a decidersi a rivendicare diritti umani fondamentali per le persone omosessuali; che essa, piuttosto, tolleri che persino alti rappresentanti del clero invochino comprensione per tradizioni culturali in cui le persone omosessuali vengono minacciate di morte, è in contraddizione con il Vangelo.
1. Omofobia ed esegesi storico-critica.
L’omofobia impedisce uno sguardo storico-critico sui passi biblici pertinenti e sui testi tematicamente affini dell’ambiente non giudaico in cui sono nati l’AT e il NT, collocati nel loro specifico contesto storico. Essa è correlata con un’esegesi biblica fondamentalista. Non stupisce, di conseguenza, che ci sia una reciproca attrazione fra gruppi omofobici e gruppi antimoderni. Nella misura in cui testi dell’AT e del NT vengono letti come affermazioni sull’omosessualità nel senso moderno della parola, si producono fraintendimenti gravidi di conseguenze, legittimati nello stesso tempo dal riferimento all’autorità della Scrittura. Ma in questo campo è ampiamente riconosciuto dalla Chiesa Cattolica, fin dal Concilio Vaticano Secondo, il metodo storico-critico: e non semplicemente come uno fra molti metodi possibili per interpretare le Scritture, bensì come IL metodo appropriato per porre in relazione le affermazioni della Scrittura con le conoscenze moderne. Senza un’ermeneutica storico-critica la Chiesa perde la facoltà di parlare.
In ogni caso, non c’è alcun motivo ragionevole per sottrarre i testi biblici sull’ «omosessualità» ad una lettura storico-critica. Il tentativo di fare qui un’eccezione appartiene già ai sintomi dell’omofobia. Di più: proprio in questo caso posizioni omofobiche si collegano all’impulso di rifiutare la modernità, in modo paragonabile alle resistenze dei creazionisti contro la teoria dell’evoluzione.
2. Il Catechismo della Chiesa Cattolica
Sono i punti ciechi e le contraddizioni performative che permettono di riconoscere i pregiudizi, anche quelli di tipo omofobico. Ne offre alcuni esempi il Catechismo della Chiesa Cattolica, che ai numeri 2357-2359 tratta di “castità ed omosessualità”. Tali paragrafi appartengono al titolo precedente, “Offese alla castità” (numeri 2351-2356). Questa ripartizione corrisponde ad un classico impulso omofobico, per cui l’omosessualità è un’offesa alla castità non solo nel momento in cui essa viene praticata in “atti omosessuali”. Tale ripartizione insinua che già gli aneliti e i desideri degli omosessuali, al pari del coming out, siano atti contrari alla castità.[2] Ciò si ripercuote in maniera dolorosa fino ad oggi nell’esperienza quotidiana delle persone omosessuali nella Chiesa. Il tema dell’omosessualità dovrebbe essere trattato sotto la voce “diritti umani” e non essere assegnato all’ambito della “castità”.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica, da una parte, pronuncia al numero 2358 un divieto di discriminazione contro gli omosessuali.[3] Tale divieto di discriminazione, d’altra parte, diviene contraddittorio, poiché stranamente si perde fra affermazioni discriminanti sull’omosessualità.[4] Già solo la formulazione, cioè che si dovrebbero accogliere gli omosessuali con “rispetto, compassione e delicatezza” (nr. 2358) ferisce per la sua condiscendenza. Che l’omosessualità debba essere una croce che gli omosessuali dovrebbero “unire al sacrificio del Signore” (nr. 2358), nasconde le cause reali delle sofferenze degli omosessuali. La croce non consiste nell’orientamento omosessuale, ma nel rifiuto e nell’ostilità dovuti all’omofobia.
L’omofobia impedisce agli omosessuali persino di pregare con le parole del salmo “Ti ringrazio, poiché mi hai fatto come un prodigio”.[5] Essa ricorre ad una “devozione della croce” che è a sua volta invasiva e dannosa. “Se qualcuno vuol venire dietro di me, … prenda la sua croce e mi segua” (Mc 8.34). Ma che cosa sia la “mia” croce, in confronto alla “tua”, non può essere definito dall’esterno, tanto meno per un intero gruppo di esseri umani. Simili attacchi, che arrivano alla violenza spirituale, li hanno subiti moltissime persone omosessuali nella Chiesa Cattolica: una “croce” è stata loro imposta con parole devote dall’ambiente omofobico, e pertanto esse sono state per giunta indotte all’errore anche sul piano teologico e spirituale.
Apertamente discriminatorio è il Catechismo quando definisce l’omosessualità come “grave depravazione” e richiama, come giustificazione biblica, Gen 19.1-29. Nella storia degli uomini di Sodoma si tratta di violenza sessuale, non di omosessualità. La confusione fra omosessualità e violenza sessuale permette di cogliere i pregiudizi omofobici degli autori di questo passo. Essa proviene dalla sensazione di una (presunta) minaccia. Non è nemmeno necessario interpretare Gen 19.1-29 in modo storico-critico per riconoscere l’evidente confusione di cui sono vittime gli autori del brano. Qui si può notare un punto cieco.
Inoltre, il Catechismo rimanda ai passi pertinenti in Paolo: Rm 1.24-27 e 1Cor 6.10 (come anche 1Tim 1.10). Su questi ed altri passi citati come giustificazione si sta svolgendo ormai da molti anni un ampio dibattito esegetico: la condanna di rapporti sessuali fra persone dello stesso sesso in Lev 18.22 (di cui Paolo riprende in parte la terminologia, benché in un altro contesto) può essere ricondotta ai concetti di purità[6] o alla situazione di una minoranza oppressa che voleva esortare i suoi membri alla fecondità e quindi alla sopravvivenza.[7] Il concetto (che deriva dalla tradizione greco-ellenistica) di parà physin (“contro natura”) indica di norma un rapporto sessuale che escluda la fecondità, anche nel caso del coito eterosessuale. Uno stabile orientamento sessuale non è il presupposto di Paolo: altrimenti non potrebbe dire in 1Cor 6.10: “voi un tempo «eravate» (!) effeminati (arsenoi, ruolo passivo) e avevate rapporti con uomini (arsenokoites, ruolo attivo, cfr. Lev 18.22). In Rom 1.24 la passione sessuale parà physin viene adoperata come immagine per la confusione fra il Creatore e la creatura presso i popoli non giudaici. Il tema del passo è la questione circa la necessità della giustificazione per tutti i popoli. Se si prende sul serio l’immagine, Paolo descrive qui i rapporti sessuali parà physin come forma di confusione. Anche da questo punto di vista, pertanto, risulta esclusa l’omosessualità in senso moderno.
Si potrebbe persino dire, inversamente: Paolo stesso vive parà physin, poiché non è sposato (cfr. 1Cor 7). L’accento davvero nuovo che il cristianesimo delle origine ha posto riguardo alla sessualità è stata la valorizzazione del celibato o della continenza sessuale. Essa comportava un tema di libertà: la sessualità umana non è al servizio della crescita della Polis.[8] Il dovere della fecondità, affermato e praticato nella cultura greca, venne messo in discussione dai cristiani e li portò gradualmente ad una esaltazione spirituale della continenza, contro cui i Concili dovettero difendere il valore e la libertà del matrimonio.
3. Complicità maschile
In tutti i diversi approcci, tuttavia, gli studi storici sulla Bibbia sostengono in modo unanime che né l’AT né il NT conoscono il concetto di “omosessualità” in senso moderno. Si aggiunge un altro dato, non meno significativo: nelle società antiche la sessualità era “legata inseparabilmente con le relazioni di potere e di dominio che strutturavano le società di allora… da un lato stavano gli uomini liberi come partner sessuali attivi, dall’altro donne, schiavi, schiave e ragazzi come partner sessuali passivi”.[9] Ne consegue che la norma era stabilita non dalla differenza fra etero- ed omosessualità, ma dalla differenza fra attivo e passivo, insertivo e ricettivo, libero e dipendente. Un uomo greco libero può penetrare donne, schiavi, schiave e ragazzi, ma non un altro uomo greco libero. Dato questo scenario, persino le affermazioni paoline sull’omosessualità, soprattutto Gal 3.28, possono rivendicare un significato emancipatorio. In ogni caso, è consigliabile leggere Rom 1.24 e 1Cor 6.10 in relazione a Gal 3.28.
Nel Simposio di Platone Aristofane racconta un mito sull’origine dell’amore: gli esseri umani avevano in origine la forma di una palla, palle maschili, palle femminili e palle androgine. La perfezione della forma sferica li indusse alla superbia, per cui Zeus li punì spaccando le palle in due metà. “Ognuno di noi è pertanto il pezzo di un unico essere umano, visto che noi siamo, appunto, spaccati, come le sogliole diventano da una due. Ora, dunque, ogni metà cerca sempre la propria altra metà…le donne che derivano da un essere completamente femminile, non si interessano molto agli uomini, ma si volgono piuttosto alle donne…quelli che invece sono metà di un essere completamente maschile, vanno alla ricerca del maschile; finché sono ragazzi essi amano gli uomini, come metà dell’essere maschile. Giacere con gli uomini ed abbracciarli li delizia, e questi sono i migliori tra i ragazzi e i giovani, perché sono i più virili per natura. È vero, alcuni li chiamano spudorati, ma è ingiusto. Infatti non agiscono così per mancanza di pudore, ma perché amano il simile con coraggio ed audacia virile. Ne è una grande prova il fatto che, una volta che si sono compiutamente formati, tali uomini si dedicano preferibilmente alla politica. Ma quando diventano maturi, amano i ragazzi; per natura non hanno alcun impulso verso il matrimonio e la procreazione, ma vi vengono costretti dalle norme sociali; per loro stessi sarebbe sufficiente vivere insieme senza sposarsi”.[10]
Gottfried Bach[11], partendo dalla teologia biblica della creazione, sottopone il mito platonico alla critica che in Platone l’eros sarebbe la conseguenza di una punizione, e verrebbe così giudicato negativamente; l’eros sarebbe quindi “guasto”. A me sembra almeno altrettanto degno di riflessione il fatto che il testo di Platone esprima il maggior valore dell’eros omosessuale maschile rispetto all’eros lesbico e anche rispetto all’eros fra uomo e donna che deriva dalla palla androgina (qui colgo un nesso con l’esigenza del movimento femminile di distinguere dall’omofobia una lesbofobia, cui contribuiscono anche uomini omosessuali e che possiede anche una propria attrattiva quando si lega all’autocompiacimento e alla complicità maschili). Per Platone, gli uomini legati fra loro da complicità di gruppo vengono obbligati alla fecondità per mezzo della legge. La Polis ha bisogno per la sua sopravvivenza di riproduzione, nuovi uomini, i cui “migliori” possono essere iniziati come ragazzi alla società dei maschi per mezzo dei rapporti genitali omosessuali. Ciò implica un’idea puramente utilitaristica di fecondità e un rapporto meramente strumentale con le donne. Lo scopo precipuo del legame fra gli uomini è invece “occuparsi degli affari dello Stato” – un autocompiacimento elitario tipico delle società maschili, collegato con l’ambizione del potere.[12]
Il testo di Platone tocca due cardini della mentalità cristiana. In primo luogo, il suo mito documenta e legittima un ordine sociale dominato dai maschi. In tal senso, possiede un aspetto univocamente spregiativo nei confronti delle donne, ginofobo, e quindi contraddice la lettera e lo spirito di Galati 3.28. Anche Aristotele vede il femminile come passivo “per natura” e il maschile come attivo “per natura”: presuppone quindi rapporti di superiorità ed inferiorità fra maschile e femminile. Questa immagine della donna, allo stesso modo, è stata recepita da tempo in modo problematico nella storia del cristianesimo.
In secondo luogo, il testo legittima la pederastia, quindi amore genitale ed omosessuale in relazioni asimmetriche. Oggi, dopo la scoperta degli abusi sessuali nella Chiesa Cattolica, nelle scuole e in altri istituti, sappiamo meglio di alcuni anni fa che qui viene spalancata la porta all’abuso sessuale sulle persone da proteggere. Nelle relazioni di abuso da parte degli educatori protestanti, motivi platonici giocavano un ruolo importante per la legittimazione delle loro azioni. All’interno della Chiesa Cattolica non c’era, certo, un richiamo esplicito alla tradizione platonica, tanto più che la morale sessuale cattolica condanna nettamente ogni atto sessuale al di fuori del matrimonio fra uomo e donna. Eppure, nel fatto in sé proprio i rapporti di abuso fra clerici e ragazzi hanno il gusto della complicità maschile. Molti ragazzi vittime di abusi riferiscono che la sensazione di sentirsi ammessi ad un gruppo selezionato era un importante fattore di attrazione per la loro relazione con gli autori degli abusi e che questa era collegata con una “responsabilità comune” per manifestazioni liturgiche, sociali e di altro genere.
4. Omosessualità e abuso sessuale
Da quando è stata completata l’inchiesta su “Vatileaks”, promossa nel 2012 da papa Benedetto XVI, circolano nella Chiesa Cattolica voci sulle “reti omosessuali” nella Curia e nella gerarchia. Papa Francesco ha ripreso l’espressione in un dialogo con i superiori degli ordini religioni femminili e maschili dell’America meridionale e ha parlato di una “lobby gay” in Vaticano. Nel viaggio di ritorno dalla sua visita alla Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro ha precisato il senso della sua affermazione, cioè che nel caso delle “lobby gay” il problema è “la lobby”, non l’omosessualità. “Se qualcuno è omosessuale e cerca Dio con buona volontà, chi sono io per giudicarlo?”, ha aggiunto.[13]
Non è un caso che l’anno 2010 abbia riaperto il dibattito sulle “reti gay” dentro e intorno al clero della Chiesa Cattolica. La gerarchia stessa ne è responsabile in misura notevole. Proprio all’inizio del 2010 il cardinale Bertone con le sue tesi su una connessione fra omosessualità e abuso sessuale ha adoperato una strategia argomentativa omofoba, che nella gerarchia cattolica per molti anni ha rappresentato la risposta strategica agli scandali per gli abusi: “Se allontanate gli omosessuali dal clero, non avremo più molestie sessuali” o, per usare le parole del defunto arcivescovo di Fulda sui due modi a lui noti per abbandonare il sacerdozio, “gli uni finiscono davanti all’ufficiale di stato civile, gli altri davanti al pubblico ministero”.
Al congresso “In viaggio verso la guarigione e il rinnovamento” (Università Gregoriana, febbraio 2012), la tesi del nesso fra omosessualità e abusi sessuali è stata confutata per mezzo di dati statistici. Uno studio della Conferenza Episcopale Americana sulle cause e i contesti dell’abuso sessuale da parte di sacerdoti cattolici, citato al congresso, constata espressamente: i dati clinici non confermano l’ipotesi che sacerdoti dall’identità omosessuale abusino sessualmente di minori più di sacerdoti dall’orientamento eterosessuale.[14] Anche le cifre presentate nel contesto da Stephen Rossetti[15] parlano chiaro: più del 95% di tutti gli autori di abusi sessuali sono maschi. La maggioranza delle vittime di violenza sessuale sono donne e ragazze. La maggior parte degli autori di abusi sono eterosessuali. Nel caso degli abusi commessi da sacerdoti, il gruppo più grande di vittime comprende giovani in età postpuberale.[16]
L’ultima constatazione non implica che vi sia una particolare predisposizione dei sacerdoti omosessuali verso la violenza sessuale. Al più, permette di concludere che via sia un numero significativamente alto di uomini omosessuali nel clero della Chiesa Cattolica. Ma ciò non è affatto una novità. Solo che fino a questo momento non se ne poteva parlare senza rischi. Quando il teologo pastorale di Augusta Hanspeter Hainz nel 1996 -per la prima volta in un contesto pubblico di lingua tedesca- stimò al 20% il numero dei sacerdoti omosessuali nella Chiesa Cattolica, venne rimproverato per avere offeso il clero. Oggi le stime sono molto più alte.
Ammesso che in effetti ci sia un numero significativamente alto di molestie e violenze sessuali da parte di sacerdoti omosessuali –in confronto alla percentuale di molestie e violenze sessuali in altri gruppi professionali- nemmeno ciò basterebbe a provare un particolare nesso fra omosessualità e abuso. Piuttosto, si giungerebbe alla conclusione che nel clero vi è un numero significativamente alto di uomini omosessuali che non hanno un rapporto maturo con la loro sessualità. Probabilmente le cose stanno così: ma ciò dipende a sua volta anche dalle strutture ecclesiastiche, che hanno un atteggiamento omofobico. Negli ultimi anni la gerarchia ha ripetutamente affermato l’incompatibilità fra omosessualità e sacerdozio, da ultimo di nuovo lo stesso papa Benedetto XVI nel suo libro-intervista “Luce del mondo”: “L’omosessualità non è compatibile con il ministero sacerdotale”.[17] Ma è possibile raggiungere la maturità sessuale –anche e proprio nella vita celibataria- solo quando si può parlare in prima persona singolare sulla propria sessualità, i propri sogni, desideri e aneliti. Nel caso di candidati omosessuali al sacerdozio già solo questo non può accadere proprio per il fatto che essi in tal modo metterebbero a repentaglio la loro ordinazione sacerdotale. Ci scontriamo qui su una causa strutturale che rende molto difficile, precisamente per i sacerdoti omosessuali, raggiungere un rapporto maturo con la propria sessualità –e ciò produce anche un effetto dannoso per sacerdoti eterosessuali e la loro maturazione psicosessuale. L’obbligo di tacere, infatti, da una parte costituisce un’ingiustizia all’interno del clero per i sacerdoti omosessuali, dall’altro non viene consentito ai sacerdoti eterosessuali di conoscere i loro confratelli omosessuali e di demolire le proprie paure, legate in prevalenza ad un orientamento sessuale loro estraneo.
5. La complicità maschile e il clero.
Nel campo della cultura è noto il termine “omosocialità”. Negli ordini religiosi maschili ci sono solo uomini, in quelli femminili solo donne; nelle scuole per ragazzi solo ragazzi, nelle scuole per ragazze solo ragazze; in chiesa nella parte sinistra della navata siedono solo donne, nella parte destra solo uomini, e così via. Nessuno arriverebbe all’idea di dedurre l’orientamento sessuale dei membri di questi gruppi in base alla loro composizione. L’omosocialità esiste in molteplici forme in tutte le culture e tutte le fasi della vita umana. Appartiene alla convivenza fra i sessi un costante gioco di vicinanza e distanza, anche in situazioni di gruppo.
L’omosocialità diviene d’altra parte un problema quando si intreccia al potere e chiude o limita gli accessi alle posizioni di potere. L’omosocialità maschile diviene complicità maschile quando si chiude all’altro sesso e diviene un fine in sé. I gruppi omosociali tendono alla “complicità” e sono particolarmente attraenti proprio perché sono strutturati in modo omosociale. Nel caso del clero della Chiesa Cattolica questo significa: se il ministero sacerdotale risulta attraente soprattutto perché comporta la compagnia solo di uomini, la struttura omosociale del clero si riduce a complicità maschile.
Con la complicità maschile il clero sviluppa anche un aspetto misogino. Emana un’atmosfera preclusa alle donne. L’esclusività lo rende per alcuni attraente, per altri (soprattutto per le donne) problematico. L’omofobia apre suo malgrado una porta: chi è preso da sdegno omofobico non può, infatti, parlare di “lobby gay” nella Chiesa senza toccare nello stesso tempo anche la questione femminile. Come ha detto papa Francesco, il problema non è il fatto che alcuni nella lobby siano omosessuali, ma il fatto che la lobby sia per l’appunto una lobby.
Il gruppo maschile, a dire il vero, non è omosessuale, ma omofobo. Si occupa –e in ciò si rivela l’aspetto della complicità- della ripartizione di posti e posizioni: “Gli amici degli amici del Papa diventano vescovi”, ha scritto un giornalista, centrando il punto, dopo che era fallito lo scandaloso tentativo della lobby di imporre nella diocesi austriaca di Linz come vescovo ausiliario un prelato che si era presentato, tra le altre cose, con il seguente commento sull’uragano Katrina a New Orleans nel 2005: “L’uragano Katrina ha… distrutto non solo tutti i night-club e i bordelli, ma anche tutte e cinque (!) le cliniche per abortire. Sapevate che le associazioni omosessuali avevano organizzato una parata di 125.000 omosessuali di lì a due giorni nel quartiere francese? Come si capisce lentamente solo adesso, le condizioni amorali in questa città sono indescrivibili…Il notevole moltiplicarsi di catastrofi naturali è soltanto una conseguenza dell’inquinamento ambientale a causa dell’uomo, o piuttosto conseguenza di un inquinamento spirituale? Nel futuro dovremo riflettere intensamente su questo punto”.[18] Il 31/01/2009 papa Benedetto XVI nominò l’autore di questo testo, il parroco Gerhard Wagner, vescovo ausiliario di Linz. A causa della veemente protesta di molti cattolici, compresa la grande maggioranza del clero di Linz e della Conferenza Episcopale Austriaca, il 16/02/2009 Wagner pregò il Papa di revocare la sua nomina. Così fu evitato che diventasse vescovo ausiliario di Linz.
L’omofobia gioca un ruolo attivo nella confusione dei concetti “omosessuali” e “lobby”: distrae l’attenzione da se stessa. Dal momento che l’omofobia, soprattutto in gruppi maschili, tende a nascondere non solo le personali tendenze omosessuali, ma anche le personali ambizioni e il desiderio di potere, essa offre la più forte resistenza a un discorso critico interno. Riflessioni differenziate sul tema dell’omosessualità o anche sul tema del potere suscitano pertanto il sospetto del tradimento. Anche questa, infatti, è una caratteristica dei gruppi maschili: alla chiusura verso l’esterno corrisponde un alto dovere di lealtà verso l’interno.
6. Il pieno potere della parola
Nella seduta plenaria del Sinodo sulla Famiglia (Roma 2014) una coppia australiana di coniugi cattolici ha raccontato della propria reale esperienza di famiglia, di cui fa parte anche un figlio omosessuale unito ad un compagno. Il loro intervento è stato investito da una veemente critica, rivolta meno al contenuto del messaggio, e piuttosto al fatto che si è preteso che il Sinodo ascoltasse il racconto. Ecco qui il volto dell’omofobia. Essa non ammette il confronto. È questo il suo problema. Perché il confronto è come dentifricio che non si riesce più a ricacciare nel tubetto. L’omofobia vive il confronto come una minaccia e lo respinge, invece di prestare ascolto e di argomentare.
L’episodio di Roma, però, mostra anche il potere della parola personale. Il confronto non viene suscitato “parlando di qualcosa” in terza persona singolare, ma parlando in prima persona singolare o plurale. Il più importante contributo per la demolizione dell’omofobia è dunque il confronto avviato da un discorso in prima persona. Nello stesso tempo è anche il più rischioso, poiché non bisogna mai perdere di vista la protezione delle potenziali vittime. Anche per questo motivo esso non può e non deve essere semplicemente delegato solo alle persone coinvolte. L’omofobia viene smascherata parlando in prima persona. Questo “parlare” deriva di norma da una necessità, dal fatto di essere coinvolti, in nessun caso da una tendenza all’esibizionismo, come spesso e volentieri accusano gli omofobi (vedi il rimprovero di “impudicizia”). In ultima analisi, è proprio la violenza dell’omofobia che spinge le persone coinvolte a parlare, cosa che poi rappresenta per gli omofobi la paura per eccellenza.
L’omofobia rimane invischiata nelle proprie contraddizioni. È pericolosa perché in ogni momento, come una belva inseguita, può scattare in avanti senza alcun rispetto, per salvarsi. Coloro che sono spinti dall’omofobia si considerano vittime, anche se sono carnefici. Liberarsene è così difficile in quanto alla base dell’accecamento omofobico vi è una differenza percettiva che può essere risolta solo attraverso una radicale metanoia (Mc 1.13) nella conoscenza e nella comprensione di sé. Il potere di fronte al quale l’omofobia capitola è la verità delle cose, espressa in prima persona singolare. L’ IO che pronuncia se stesso è il piccolo Davide che abbatte il Golia corazzato di molto risentimento, ideologia e verbose razionalizzazioni.
* Klaus Merten è un gesuita tedesco, insegnante liceale, autore e redattore capo. Dal settembre 2011 è direttore del collegio St. Blasien.
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[1] Vedi la voce “Omofobia” in Wíkipedia. L’enciclopedia libera, https://de.wikipedia.org/wiki/Homophobie (consultata l’ultima volta il 20 giugno 2016).
[2] Su questo punto cfr. Ralf Klein, Ich danke dir, dass du mich so wunderbar gestaltet hast (Ti ringrazio, perché mi hai fatto come un prodigio), in Werksstatt schwule Theologie (Officina di teologia omosessuale), Nr.3/2002, pp. 236 ss.
[3] Almeno qui dovrebbero essere menzionati ed inclusi anche i transessuali, per i quali ovviamente vale lo stesso che per gli omosessuali.
[4] Evidentemente anche quelle voci che nell’ultimo Sinodo sulla Famiglia (Roma 2015) si sono espresse a favore della eliminazione del divieto di discriminare cadono nelle stesse contraddizioni del testo.
[5] Klein, ibidem.
[6] Su questo punto cfr. Peter Winzeler, Was sagt die Bibel zur Homosexualität (Che cosa dice la Bibbia sull’omosessualità), in Neue Wege (Nuove vie) 3/1996, Zurigo 1996, pp. 279ss.
[7] Su questo punto cfr. Thomas Hieke, Kennt und verurteilt das Alte Testament Homosexualität? (L’Antico Testamento conosce e condanna l’omosessualità?), in Stephan Goertz (a cura di), Wer bin ich zu verurteilen? (Chi sono io per giudicare?), Friburgo, 2015, p. 1952.
[8] Su questo punto cfr. Peter Brown, Die Keuschheit der Engel (La castità degli angeli), Monaco 1991.
[9] Wolfgang Stegemann, Homosexualität – ein modernes Konzept (L’omosessualità – un concetto moderno), in Zeitschrift für Neues Testament 1 (1998), qui p.62.
[10] Platone, Simposio, 191e-192b.
[11] Der beschädigte Eros – Mann und Frau im Christentum (L’eros guasto – Uomo e donna nel cristianesimo), Friburgo 1989.
[12] Cfr. Ansgar Wucherpfennig, Unveröffentlichtes Vortragsmanuskript Neues Testament und Homosexualität (Il Nuovo Testamento e l’omosessualità), bozza per conferenza non pubblicata, giugno 2016, Francoforte. Devo a questo testo nuove intuizioni.
[13] Cfr. Süddeutsche Zeitung del 30 luglio 2013.
[14] United States Conference of Catholic Bishop s/John Jay College Research Team, The Causes and Context of Sexual Abuse of Minors by Catholic Priests in the United States, 1950-2002, Washington, D.C., maggio 2011.
[15] Stephen Rosetti, Aus Fehlern lernen – Vortrag auf dem Kongress „Unterwegs zu Heilung und Erneuerung“ (Imparare dagli errori. Conferenza al Congresso “In viaggio verso la guarigione e il rinnovamento”), Roma, 7 febbraio 2012.
[16] Cfr. Mary HallayWitte/Bettina Janssen (a cura di), Schweigebruch – vom sexuellen Missbrauch zur institutionellen Prävention (Rompere il silenzio– dall’abuso sessuale alla prevenzione istituzionale), Friburgo 2016.
[17] Benedetto XVI, Licht der Welt – ein Gespräch mit Peter Seewald (Luce del mondo – un dialogo con Peter Seewald), Friburgo 2010, p.181.
[18] Pfarrbrief St. Jakob (Bollettino parrocchiale di S. Giacomo), Windischgarten, Nr. 137, Novembre 2005, p.10.
Temi affrontati nell’articolo:
– La devozione della croce e l’errore spirituale.
– Le contraddizioni dell’omofobia e del Catechismo;
– L’esegesi storico-critica;
– La testimonianza in prima persona;
– L’omofobia evita il confronto e non sa argomentare.
Testo originale: Überlegungen zur Aufarbeitung von Homophobie in der katholischen Kirche