Perché se le persone emarginate soffrono, anche il resto della società è nei guai
Riflessioni Kevin Jennings* pubblicata sul sito di Arcus Foundation (USA) il 26 maggio 2016, liberamente tradotte da Silvia Lanzi
Di recente, sono stato invitato a parlare ad una tavola rotonda riguardante i bisogni di lesbiche, gay, bisessuali e transgender (LGBT) e dei nativi due-spiriti (indiani d’America gay o trans che nella cultura tradizionale rivestivano spesso il ruolo di sciamani) ad una conferenza per la raccolta di fondi sponsorizzata da Funders for LGBTQ Issues e International Funders of Indigenous Peoples.
Quando è arrivato il momento del dibattito, qualcuno del pubblico si è alzato chiedendo: “Visto che le persone LGBT sono una piccola minoranza, e i nativi americani lo sono ancora di più, la popolazione dei nativi americani LGBT non è statisticamente insignificante?”. Il partecipante ha poi aggiunto: “Perché dovreste dire ad una fondazione di sovvenzionare una popolazione statisticamente insignificante, quando sarebbe preferibile che i suoi finanziamenti avessero un grande impatto?”
È una domanda interessante.
Su basi strettamente matematiche è vero: stiamo parlando di popolazioni esigue. In un censimento statunitense del 2010, solo 2,9 milioni di persone si identificavano come nativi americani/nativi dell’Alaska (AI/AN). Quindi gli AI/AN sono solo l’1% della popolazione degli USA. Sfortunatamente, il censimento ufficialmente non raccoglie dati sul numero delle persone LGBT, ma, al di fuori dei sondaggi la percentuale si attesta al 6% della popolazione totale. Così, se parliamo di numeri assoluti, chi ha posto la domanda tecnicamente ha ragione.
Detto questo, vorrei precisare che la domanda non ha colto l’essenziale, per tre motivi:
Un impatto diverso. Sembra che le popolazioni molto piccole siano rappresentate in modo quasi spropositato quando si parla di raccolte-fondi. Prendete i senza fissa dimora. Mentre i giovani LGBT sono solo il 6% della popolazione, la loro percentuale tra i senza fissa dimora arriva al 40. Un esempio calzante possono essere i risultati educativi. In South Dakota, in cui abita una percentuale relativamente ampia di nativi americani, il 91% dei bambini bianchi di quarta elementare leggono bene mentre solo il 34% dei nativi americani lo fanno. Come possiamo risolvere problemi dei senza fissa dimora e degli scadenti risultati educativi se non vogliamo capire perché parte della popolazione è in svantaggio rispetto all’altra? Se non si inquadra la sovraesposizione delle cosìddette popolazioni “insignificanti” in un contesto più vasto e articolato, sarà più difficile porvi rimedio.
L’argomento del “canarino nella miniera di carbone”. Dal momento che discendo da abitanti degli Appalachi, la metafora del canarino nella miniera di carbone ha un’eco molto profonda in me. Nei “tempi andati” i minatori portavano con sé un canarino in gabbia per accorgersi del monossido di carbonio e di altri gas tossici. Se il canarino moriva, era un segnale della tossicità dell’aria ed era il momento per i lavoratori di uscire all’aria aperta. Lasciando da parte la crudeltà sugli animali, questa è un’analogia significativa per le sfide che ci sono ancora oggi. Come mi ha detto una volta un attivista: “Se l’America starnutisce, gli Appalachi prendono la polmonite”.
Ugualmente, Lani Guinier e Gerald Torres nel loro libro The Miner’s Canary affermano che i malanni sociali che minano la democrazia americana sono più pronunciati tra la gente di colore, e così la soluzione dovrebbe proprio iniziare e concentrarsi su di essa. In altre parole, se le popolazioni emarginate non stanno bene, anche il resto della società è nei guai.
Se vuoi uguaglianza, comincia con l’uguaglianza. Quando il partecipante alla tavola rotonda ha posto questa domanda provocatoria, il mio primo impulso è stato quello di rispondergli semplicemente: “Perché è la cosa giusta da fare”. Se vogliamo dedicarci significativamente all’argomento dell’uguaglianza – qualcosa che molti raccoglitori di fondi proclamano a gran voce di fare – dobbiamo iniziare a concentrarci su quelli che nella società ne hanno meno. I nativi americani LGBT e le altre etnie possono non essere demograficamente rilevanti, ma sono spesso i più vulnerabili e vittime di un sistema ingiusto che nega alle persone accesso alle varie opportunità. Quando più tardi, alla conferenza fu chiesto a Kristi Andrasik della Cleveland Foundation perché in qualità di program officer aiutasse le persone LGBT, ha risposto condividendo la filosofia della fondazione: se non tutti, nessuno.
Veramente devo dire che rifiuto la premessa alla base della domanda originale. Cos vuol dire “significativo”? In momenti come questi, mi ricordo del racconto di una persona che incontra un bambino sulla spiagga circondato da migliaia di stelle marine. Guarda il bambino agitare le mani piene di quelle creaturine per gettarle nell’oceano. Alla fine chiede: “Perché figliolo? Non puoi salmarle tutte. Sono troppe”. In risposta il bimbo prende una singola stella marina, la mette in acqua e dice: “Per questa, ho fatto la differenza”.
La filantropia non può risolvere tutti i problemi della società, ma può fare una differenza significativa per alcuni tra i più vulnerabili. Mettiamo queste comunità al centro del nostro lavoro, ne beneficeremo tutti.
* Questo articolo è stato pubblicato originariamente il 28 aprile 2016 su Philanthropy News Digest’s PHILANTOPIC blog.
Testo originale: Why Fund ‘Insignificant’ Populations?