Beati gli ultimi? L’assistenza ai giovani migranti nei centri al collasso
Articolo di Claudio Geymonat e Federica Tourn pubblicato sul sito del settimanale evangelico Riforma il 28 settembre 2016
Lo sradicamento segna in particolare i più giovani, che in numero sempre maggiore arrivano sulle nostre coste. Gli hotspot traboccano di minori non accompagnati, ragazzi e ragazze che cercavano una via d’uscita dalla povertà e dalla violenza e si ritrovano ammassati in hangar, container, prefabbricati, a volte addirittura tende, spesso in condizioni igienico-sanitarie inadeguate: luoghi in cui in ogni caso dovrebbero rimanere al massimo 72 ore e dove invece finiscono per rimanere settimane intere.
Sono loro l’emergenza nell’emergenza, questa massa di adolescenti in fuga da povertà e guerre che rischia di cadere in mano alle mafie appena mette piede in Italia, corpi da sfruttare per il lavoro nei campi, lo spaccio o la prostituzione. Il rapporto di Oxfam Italia “Grandi speranze alla deriva”, uscito lo scorso 8 settembre, presenta un quadro desolante: nel 2016 è raddoppiato il numero di minori non accompagnati sbarcati in Europa e sono ben 5222 i ragazzi scomparsi nei primi mesi dell’anno, 28 al giorno, un numero raccapricciante che dimostra da solo tutta l’inadeguatezza di un sistema di accoglienza che non può reggere da solo l’ondata migratoria, che si è ulteriormente ingrossata – com’era prevedibile – dopo l’accordo di Bruxelles con la Turchia dello scorso marzo e la chiusura della rotta balcanica.
Secondo l’Unhcr, i bambini e i ragazzi che viaggiano soli sarebbero addirittura il 15% di tutti i migranti arrivati in Italia: alla fine di luglio erano ben 13.705, rispetto ai 12.360 calcolati alla fine del 2015.
In particolare sono le ragazze ad essere in pericolo: moltissime arrivano in Italia già con un numero da chiamare per entrare nella rete delle maman, dove vengono adescate con promesse di guadagni e fortuna o, più semplicemente, soggiogate con le minacce e i ricatti.
L’urgenza è toglierli da Pozzallo al più presto, inserirli in strutture dignitose, ma i centri dedicati sono tutti pieni. Anche alla Casa valdese di Vittoria ne sanno qualcosa. «Abbiamo vinto un bando per un Cas, un Centro di accoglienza straordinaria, un progetto che originariamente era destinato agli adulti – racconta Melgazzi – abbiamo appena fatto in tempo a inaugurare che è arrivata una mail dalla Prefettura in cui ci chiedevano di ospitare dei minori». Un albergo, di fatto, l’Hotel Sicilia, preso in affitto dalla Diaconia, e che oggi ospita una ventina di ragazze. Al mattino si fanno i corsi di italiano, nel pomeriggio ci sono attività ludiche. «Cerchiamo di tenerle impegnate, di aiutarle come possiamo e soprattutto di ascoltarle», dice Denise Gulino, psicologa, membro dello staff della Casa valdese. «Partono da sole perché non hanno più nessuno – prosegue – spesso i genitori sono morti e i parenti con cui sono cresciute non possono più occuparsi di loro; alcune poi fuggono da matrimoni forzati, altre hanno lasciato a casa dei bambini. Molte, se non tutte, sono state maltrattate e violentate durante il viaggio». Storie di abusi, che spesso le rendono facili prede della tratta. La psicologa conferma: «non lo dicono apertamente ma quando gliene parli, o chiedi se sono stata contattate da qualcuno, cambiano espressione».
Un sospetto rafforzato dal fatto che quasi tutte prima o poi scappano dall’Hotel Sicilia: «da un giorno all’altro non le vediamo più, se ne vanno senza portarsi dietro nulla, nemmeno i vestiti, come avessero ricevuto una chiamata», aggiunge Antonella Randazzo.
Vittoria, grosso centro agricolo da 60 mila abitanti, una marea sterminata di serre, sotto il cui calore le colonie di rumeni e nordafricani, gli immigrati della prima ondata di una ventina di anni fa, fanno spazio oggi ai nuovi arrivati, alimentando un lavoro nero enorme, in un contesto in cui, nelle elezioni dello scorso giugno, i due candidati alla prima poltrona sono indagati per voto di scambio mafioso. Ha vinto Giovanni Moscato, ma vedremo se a guidare il paesone verrà chiamato un commissario.
Come da quasi due anni succede a Scicli, comune sciolto per mafia nel 2014, tanto per capire l’aria che tira. Dove a due passi dalla piazza che ospita le riprese televisive del celebre Montalbano, un altro commissario, per fortuna questa volta una creazione letteraria, sorge dalla fine dello stesso 2014 la Casa delle Culture, che ospita circa 40 adolescenti in condizione di particolare vulnerabilità, segnalati direttamente dalla prefettura di Ragusa. Da allora in questa meravigliosa cittadina barocca, dove è radicata la presenza metodista, ne sono passati quasi 600 di ragazze e ragazzi. «Chi per una notte, chi per mesi» racconta Giovanna Scifo, coordinatrice del centro, che rientra nell’ampio progetto Mediterranean Hope della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia.
Eppure l’inizio non è stato semplice, fra scritte razziste sui muri, slogan di partiti xenofobi e corposa raccolta firme fra cittadini e commercianti che non volevano veder nascere quello che definivano “un ghetto in pieno centro”. «Non ci siamo fermati un istante dall’apertura a oggi – continua Scifo – progetti di integrazione, attività di sensibilizzazione, corsi di italiano, laboratori, feste, convegni, tutto per agevolare l’incontro fra i nuovi ospiti e gli abitanti di Scicli». Che oggi hanno sepolto l’ascia di guerra, anche se nelle vie dello struscio la tendenza al commento razzista rimane, pessima abitudine valida a ogni latitudine. Saliamo le scale di questa ex autorimessa e arriviamo alla sala comune e poi alle stanze, due letti a castello in ognuna, bagni immacolati, e l’odore del cibo che ci attira in cucina dove Maria coordina il gruppo di turno nella preparazione della cena per tutti.
Leggi la prima puntata: Terminal Sicilia. Viaggio nell’isola degli sbarchi