La Maddalena, tre donne e un’unica devozione
Articolo di Enrico Gatta pubblicato su QN La Nazione il 24 ottobre 2016, pp.26-27
Accanto a Cristo, è sempre stata «l’altra». Maria era stata prescelta come madre perché senza peccato; la Maddalena invece conosce bene il peccato, ma è accettata dal maestro così com’è, e ritrova la purezza nella assoluta donazione di se stessa. Anche redenta, conserva la sua dimensione umana: la bellezza, la sensualità, la forza della passione fin nel dolore più atroce, fino alle lacrime e all’urlo.
Per questo tanti artisti l’hanno prediletta, come testimonia la doviziosa mostra «La Maddalena tra peccato e penitenza» che Vittorio Sgarbi ha curato presso il Museo della Santa Casa di Loreto (sino al 8 gennaio 2017). In realtà una delle prime cose che si evincono da questa mostra lauretana, che resterà aperta fino all’8 gennaio 2017, è che di Maddalena non ce n’è una sola. È stata la tradizione a costruire un’unica identità attorno a personaggi che nei Van-geli sono diversi. C’è la peccatrice senza nome che in casa di Simone il fariseo bagna di lacrime e asciuga con i capelli i piedi di Gesù; c’è la sorella di Marta e di Lazzaro che cosparge il maestro di oli pro-fumati; c’e infine Maria di Magdala, che segue Cristo fino al Calva rio e poi è la prima a vederlo risorto. Biblisti a parte, per tutti queste tre donne sono «la Maddalena».
Altri elementi sono stati aggiunti dai vangeli apocrifi e da storie medievali di scarsa attendibilità. Secondo la «Legenda Aurea» – che dalla seconda metà del XIII secolo è il principale testo di riferimento per l’agiografia dei santi – la Maddalena, naufragata col fratello Lazzaro in quel di Marsiglia, avrebbe vissuto gli ultimi trent’anni da eremita in Francia, vestita solo dei suoi capelli.
Così la vediamo in una splendida scultura lignea di metà Quattrocento che in base a una testimonianza del Vasari è attribuita a Desiderio da Settignano e che ha sicuramente come modello quella celeberrima di Donatello, che è statica; mentre questa figura accenna a un passo, sembra uscire dall’eremo con in mano il vasetto degli unguenti, uno degli oggetti simbolo della sua santità.
Nell’incantevole tavola che apre la mostra, opera di Simone Martini, proveniente da Orvieto, la Maddalena porta un elegante vasetto in stile gotico, ma è ammantata in uno stupendo panno rosso, che evoca fasti lontani.
Di rosso vestita la santa è anche nella tavoletta preziosa di Bernardo Daddi, nelle tre di Cenni di Francesco provenienti dai Musei Vaticani e perfino, per tornare agli anni settanta del XV secolo, in un’anta del Polittico di Montefiore dell’Aso di Carlo Crivelli. Qui la “penitente”, tra velluti, sete e broccati, è in linea con i più aggiornati dettami dell’haute couture veneziana e getta ai fedeli uno sguardo malizioso.
Ma è giusto così: la Maddalena, affranta nel momento del Compianto — come si può vedere in due eccezionali frammenti, che già da soli meritano il viaggio, di Guido Mazzoni in terracotta ed Ercole de’ Roberti su affresco – era poi talmente colma dell’amore di Cristo che di null’altro aveva bisogno, come appare evidente nel legno scolpito da ignoto per la chiesa di Ripatransone, nel quale la santa è raffigurata in una guaina di riccioli d’oro fino ai piedi, con due gote rubiconde che sprizzano perfetta letizia.
Per secoli ha prevalso tuttavia una visione più riflessiva e dolente, comunque attenta a coniugare, nelle diverse situazioni, la seduttività della figura femminile con il pathos del suo rapimento spirituale.
I dipinti selezionati da Sgarbi sono di grande qualità, da Palma il Giovane al Tintoretto, da Guido Reni a Carlo Dolci. Unica puntata nel Novecento, tempo poco propizio alla pittura religiosa, si ha con Ottavio Mazzonis, che vede in Maddalena una raffinata dark lady. Tenebrosa e piena di mistero.