A Natale gli esclusi diventano i protagonisti. E tu dove sei?
Riflessioni di Gianni Geraci, del gruppo Guado di Milano, 20 dicembre 2010
Nel suo Vangelo, Luca, descrive la nascita di Gesù con queste scarne parole: «Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo» (Lc 2,6-7).
Arrivano i giorni del parto. Maria da alla luce il suo figlio primogenito. Lo avvolge in fasce e lo depone in una mangiatoia. Perché non c’era posto per loro nell’albergo. Di recente Benedetto XVI ha concesso una lunga intervista a Peter Seewald, un giornalista tedesco che ha poi pubblicato il testo dell’intervista in un libro che è diventato un importante evento editoriale. In questa intervista il papa, a un certo punto afferma che: «l’omosessualità non è conciliabile con il ministero sacerdotale» anche perché, sempre secondo il papa: «rimane qualcosa che è contro la natura di quello che Dio ha originariamente voluto».
Quando ho letto queste parole ricordo di aver pensato che, forse, per quelli come me non c’è posto nella Chiesa che ha in mente il papa: non c’è posto per un servizio legato al ministero ordinato, perché, come del resto ricordano più di un documento emanato di recente dalla Santa Sede, una persona che non nasconde la propria omosessualità non dovrebbe essere ammessa a questo tipo di ministero; non c’è posto per una scelta di consacrazione specifica, legata a qualche congregazione religiosa, perché anche in questo caso, la Santa Sede raccomanda di respingere i candidati omosessuali; non c’è infine posto nella normale vita di coppia che una persona, che non si sente chiamata a una particolare consacrazione, desidera vivere per realizzare un progetto comune con qualcuno che le sta a cuore, per uscire dalla sua solitudine, per rispondere alla scelta con cui Dio, dopo aver constatato che «non è bene che l’uomo sia solo» decide di creare per lui «un aiuto che gli sia simile».
Nel rileggere il vangelo di Luca, mi è venuta in mente una riflessione che avevo fatto nel leggere il libro intervista del papa, perché le parole che mi erano venute in mente allora, si sono ripresentate quasi identiche nel racconto della nascita di Gesù, quando l’evangelista osserva che: «Non c’era posto per loro nell’albergo».
Quante volte ci accorgiamo che «non c’è posto per noi»? Quante volte viviamo sulla nostra pelle quel senso di esclusione che avranno senz’altro vissuto Maria e Giuseppe, mentre cercavano a Betlemme un posto in cui portare a termine in tranquillità il travaglio che avrebbe preceduto la nascita di Gesù? E quanti sono gli uomini, quante sono le donne che constatano con amarezza che «non c’è posto per loro»? In questo momento, proprio perché disoccupato e alla ricerca di un nuovo lavoro, sto sperimentando in forme completamente nuove questo senso di esclusione.
E proprio perché lo sto sperimentando in forme nuove che hanno una loro specifica drammaticità mi sto interrogando su quello che provano tanti uomini e tante donne omosessuali come me che, di fronte alle proibizioni della chiesa di Benedetto XVI si accorgono che: «non c’è posto per loro».
Qualcuno, addirittura, non riesce a reggere alla delusione del rifiuto e sceglie di togliersi la vita. Ricordo ancora il viso pacioso e tranquillo di Luca, un mio conoscente che ha deciso di farla finita dopo che i responsabili del seminario che frequentava, gli hanno detto che per lui non c’era posto tra i presbiteri di santa madre chiesa.
Ricordo ancora la faccia tirata di Ferruccio quando fuori da una grande chiesa in cui eravamo andati insieme mi ha detto che il prete da cui si era confessato e a cui aveva raccontato della bella relazione di coppia che stava vivendo, si è sentito dire che per quelli come lui non c’era posto nella chiesa.
Ricordo le tante storie che mi sono state raccontate dalle persone che sono approdate al Guado convinte che, per loro, non ci fosse posto nella comunità dei credenti.
A tutte queste persone vorrei dire che, anche per Gesù, in quella notte a Betlemme, «non c’era posto» e che quindi: tutte le volte che ci ritroviamo in fondo a una chiesa e ci sentiamo estranei, Gesù è lì, accanto a noi; tutte le volte che ci ritroviamo in fondo a una chiesa e ascoltiamo un’omelia in cui si parla di noi con disprezzo e con arroganza, Gesù è lì con noi; tutte le volte che siamo in fondo a una chiesa e vediamo nello sguardo di qualcuno un sorriso di disprezzo, Gesù è lì con noi.
Con noi, perché come noi, anche lui ha fatto l’esperienza di chi non ha trovato posto nell’albergo dove dormono le persone «per bene» e, quando è nato, è stato deposto su una mangiatoia.
Pensate che ribaltamento delle convenzioni e dei ruoli! Nella notte in cui Gesù è nato le persone per bene, quelle che trovano sempre posto negli alberghi, non hanno potuto vivere quella grande manifestazione della benevolenza divina che si è realizzata con la nascita di Gesù.
Al contrario, quelli che non avevano trovato posto, quelli che dormivano sempre all’addiaccio perché nemmeno ci pensavano che gente come loro potesse dormire in un albergo, gli animali che stavano nella stalla dove si trovava la mangiatoia, hanno invece visto gli angeli che, dal cielo, dopo aver glorificato Dio nell’alto dei cieli, annunciavano, in terra, la pace a tutti gli uomini di buona volontà.
Gli esclusi, la notte di Natale, diventano i protagonisti.
Gli omosessuali, per cui non c’è posto tra il clero, per cui non c’è posto negli istituti religiosi, per cui non c’è posto nelle famiglie che piacciono alla chiesa cattolica, diventano quelli che sono più simili a Gesù e si sentono interpellati ad annunciare la pace a «tutti gli uomini di buona volontà».
Se ci pensiamo bene, quella che ci viene data durante la notte di Natale, è una responsabilità grande:
essere in prima fila proprio grazie ai motivi per cui le comunità cristiane ci lasciano volentieri in fondo alle navate dei loro templi è una sfida che molti di noi non accettano, scegliendo di mimetizzarsi, di nascondersi, di non confidare ai fratelli nella fede la propria condizione di omosessuali.
La paura di tirarsi indietro e di non lasciare che la luce di quel bambino posto in una mangiatoia porti allo scoperto la nostra omosessualità è sempre in agguato. Ma se la paura prende il sopravvento corriamo il rischio di allontanarci da Gesù, per rifugiarci tra le mura dell’albergo dove le persone, tranquille nei loro letti, non si accorgono del miracolo che sta avvenendo. Se la paura prende il sopravvento corriamo il rischio di non accogliere il Verbo di Dio che viene in mezzo a noi.
Giovanni, nel prologo del suo vangelo è molto chiaro: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto. A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,9-12).
Noi da che parte vogliamo stare?
Dalla parte di chi, distratto dalle comodità dell’albergo non riconosce Gesù o dalla parte di quelli che, non avendo trovato un posto tra le persone che nascondono la loro vita dietro a una patina di rispettabilità, si trova fuori dall’albergo, nei campi che circondano la stalla in cui nasce Gesù e, sentendo l’annuncio degli angeli, decidono di aprire al Verbo di Dio il loro cuore? Dobbiamo chiedercelo, durante questo Natale.
Dobbiamo chiedercelo perché intorno a noi stanno diventando tantissime le persone per cui non c’è posto: ci sono quelli che muoiono di freddo dentro città ricche e piene di comodità che però fanno di tutto per impedire a chi è escluso di raccogliere anche solo le briciole di queste ricchezze e di queste comodità; ci sono quelli che sono costretti a vivere in clandestinità, perché hanno fatto l’errore di essere arrivati nel momento sbagliato nel paese sbagliato; ci sono i tanti giovani che si chiedono quale futuro li aspetta e che rischiano di farsi vincere dalla disperazione di chi non ha più niente da perdere; ci sono quelli che non hanno più niente da chiedere alle istituzioni e alla politica, perché hanno perso qualunque fiducia nella possibilità che ci sia qualcuno a cui veramente sta a cuore il bene comune.
Noi omosessuali possiamo scegliere di non nasconderci e di essere solidari con tutti costoro e accettare l’esperienza di chi non trova posto. Ma possiamo anche scegliere di indossare la nostra maschera di persone per bene che trovano posto nell’albergo in cui non trovò posto Gesù.
Noi omosessuali siamo forse gli unici che hanno questa opportunità. Ma proprio per questo motivo, noi omosessuali possiamo davvero rappresentare l’avanguardia di quanti, dopo aver scelto di «uscir fuori», fanno proprio l’annuncio degli angeli e dicono a tutti che Dio si è incarnato per portare la pace a tutti gli uomini e a tutte le donne di buona volontà.