Caterina Vizzani (1719-1743). La ragazza che si finse uomo per amare le donne
Articolo di Piero Meldini pubblicato su La Nazione del 9 aprile 2016, pp.34-35
“La vita a rovescio“, terzo romanzo di Simona Baldelli (Giunti, pagg. 416, euro 16), narra la storia di Caterina Vizzani (1719-1743) che per otto anni da tutti, o quasi, fu creduta un uomo. La vicenda era già stata raccontata due anni fa in forma di saggio dal sociologo Marzio Barbagli, pubblicato dal Mulino. Fonte di entrambi i libri è l’operetta, tra fa biografia e il caso clinico, “Breve storia della vita di Catterina Vizzani romana“, pubblicata a Venezia nel 1744 da Giovanni Bianchi, in arte Jano Planco, medico, naturalista, filosofo, antiquario e infaticabile poligrafo.
Chi era dunque Caterina Vizzani? Romana, figlia di un modesto commerciante di legname, sfigurata dal vaiolo e di carattere focoso e ribelle, si senti attratta dalle sue coetanee fin dalla prima adolescenza. Questa inclinazione pare fosse nota alla famiglia, in particolare alla madre, e sostanzialmente accettata. La prima di cui si innamorò si chiamava Margherita.
Si conobbero a una scuola di ricamo e fu un amore ricambiato che durò più di due anni: fin quando, cioè, il padre di Caterina non sorprese le due ragazze in quelli che Bianchi, pudicamente, chiama «gli ultimi termini dell’amore». La minaccia di una denuncia – il delitto di sodomia comportava, al tempo, la pena capitale – innescò la metamorfosi di Caterina che, tagliati i capelli e vestita da uomo, assunse l’identità di Giovanni Bordoni.
In questi panni, che non abbandonerà più, Giovanni riparò a Viterbo. In seguito entrò al servizio del governatore di Anghiari, che ne aveva un’ottima opinione: Giovanni era capace, fra l’altro, di pettinare parrucche; radere barbe, cucinare, preparare la cioccolata. Per di più sapeva leggere e scrivere. Una sola cosa gli rimproverava il padrone: di essere un assatanato donnaiolo che correva dietro a tutte le gonnelle e passava allegramente di letto in letto.
Per mimetizzarsi meglio, Giovanni si era confezionato un “piolo” di cuoio e stracci che teneva sotto la camicia, ma è difficile credere che nessuna delle sue conquiste si fosse accorta, nell’intimità, della petite difference. Evidentemente doveva essere un buon amante; quali che fossero le frecce al suo arco, se la sua vero identità non fu mai smascherata.
A Giovanni non furono fatali le molte avventure galanti, ma l’amore. Quello per la nipote del parroco di Librafratta, una località vicina a Montepulciano. Fuggito in calesse alla volta di Roma con l’innamorata e la sorella minore, fu raggiunto dal cappellano dello zio e da due servitori del governatore, uno dei quali incitato dal prete, gli sparo, ferendolo alla coscia sinistra.
Giovanni-Caterina morì nell’ospedale di Siena, dov’era stata portata, dopo alcuni giorni di aspre sofferenze. Aveva ventiquattro anni. Sentendo avvicinarsi la fine; confidò a una donna che l’assisteva che era una ragazza e che era illibata. Quasi, a volersi riconciliare col proprio sesso, dopo “una vita a rovescio”, chiese che vestissero la sua salma con abiti femminili e le ponessero sul capo fa ghirlanda delle pulzelle.
L’autopsia ne confermò puntualmente sia il sesso che la verginità, comprovata da un «imene bellissimo e intatto». Che verrà donato a Giovanni Bianchi, il suo primo biografo, e che andrà ad arricchire la sua rinomata collezione di reperti anatomici. (…)