E’ tempo di Ruah. Il cammino dei cristiani LGBT del nord-est
Intervista di Armando a Benedetto e Francesco del gruppo Progetto Ruah, cristiani Lgbt di Trieste
Il cammino del Progetto Ruah nasce durante il Forum Nazionale di Cristiani LGBT di Albano Laziale (Roma) nel 2010, quando tre persone originarie del Friuli Venezia Giulia si sono incontrate e hanno avuto l’idea di avviare l’esperienza di un gruppo di persone omosessuali credenti, anche nella regione più a nord-est d’Italia.
Il gruppo è nato con l’intento di creare un “luogo” di accoglienza delle persone omosessuali che cercano quegli strumenti per superare le conseguenze generate dall’omofobia e dal pregiudizio della società e di una parte della chiesa cattolica; e che vogliono vivere la propria vita da omosessuali alla luce della fede e della ricerca di Dio.
Attraverso il passaparola, le reti di amicizie e conoscenze, e attraverso i siti di incontri per omosessuali, il gruppo si è allargato; e oggi conta una quarantina di persone che gravitano attorno ad esso, di cui circa la metà in modo costante. All’inizio il Progetto Ruah è stato accolto dalla comunità valdese di Trieste, il cui pastore è stato ed è tuttora una guida spirituale, il quale ha fornito una nuova luce sulle Sacre Scritture e sulla comprensione dell’omosessualità. In seguito, il gruppo ha trovato anche ospitalità presso una parrocchia cattolica triestina, e due sacerdoti si sono succeduti nell’essere una nostra guida spirituale. Collaborano anche altri sacerdoti friulani e veneti; infatti, il Progetto Ruah è presente non solo a Trieste, ma in tutta la regione Friuli Venezia Giulia e anche nel vicino Veneto.
E del cammino pastorale del Progetto Ruah, cosa ci raccontate?
Il Progetto Ruah è prima di tutto un progetto che nasce da un bisogno: quello di amare Dio, di sentirsi amati da Dio, di riconciliarsi con sé stessi e con il mondo. Il nostro percorso si fonda sulla Parola, la quale porta riconciliazione, pace e speranza. Centrali sono gli incontri di preghiera e condivisione della Parola; durante i quali, ognuno può esprimersi liberamente, senza giudizi e nella certezza di essere accolto con delicatezza e discrezione: l’accoglienza e la crescita sono strade che corrono in parallelo.
Il Progetto è anche una realtà fatta di persone che stanno condividendo un percorso di vita assieme, persone che stanno scoprendo e strutturando rapporti di fraternità. Inoltre da 5 anni il Progetto Ruah propone un week-end di riflessione e biodanza: uno strumento importantissimo per entrare in contatto col proprio corpo e le proprie emozioni. Il cammino del Progetto Ruah vuole portare le persone ad amare e riconoscere sé stesse come creature ispirate da Dio e come strumenti del Suo Amore nei confronti degli altri, dei prossimi e anche di chi ci giudica.
L’accompagnamento spirituale dei pastori valdesi e dei sacerdoti cattolici è fondamentale, perché dà nutrimento, sostegno, conforto e ha creato uno spirito di fratellanza. La compresenza cattolica e valdese è un elemento che dà complementarità al nostro cammino di fede; perché ci piace pensare che i protestanti in materia di amore omosessuale siano semplicemente arrivati prima della Chiesa cattolica nel discernere lo Spirito.
Ci sono realtà cristiane che hanno accolto il Progetto Ruah?
Come detto prima, sia parrocchie e preti cattolici che la comunità valdese.
Com’è nata questa accoglienza?
Rintracciando gli elementi più dialoganti nelle realtà ecclesiali del territorio. Le diocesi del Friuli Venezia Giulia raccolgono storicamente realtà orientate allo spirito del Concilio Vaticano II, a un rapporto maggiormente inclusive dei laici, e a un discernimento “riformista” del Magistero della chiesa cattolica. Questi elementi valgono per una visione ecclesiastica generale di rinnovamento e valgono anche per una inclusione della realtà LGBT nella Chiesa.
Questa accoglienza com’è stata vissuta e che bene vi ha generato?
È stata sempre vissuta nell’ottica del dialogo, della complementarità tra laici e religiosi; ma allo stesso tempo, nella scelta di mantenere una propria autonomia. Il Progetto Ruah, anche se formato quasi esclusivamente da cattolici, rimane un “progetto” prima di tutto cristiano, cioè si interroga sulla sequela di Cristo nella nostra vita, e rimane una realtà aperta alle varie realtà ecclesiali e laiche del territorio; senza necessità di sentirsi incorporato o incardinato all’interno della Chiesa.
Attualmente, come descrivereste questi rapporti di accoglienza?
Ci sono realtà di base, come comunità e parrocchie, che ci hanno accolto molto positivamente. Purtroppo, ci sono state delle problematiche aperte con dei vescovi.
Ci sono nuove realtà cristiane con cui si è iniziato un cammino di accoglienza?
Sì, con la realtà degli scout.
Avete attese e speranze da questi dialoghi, vecchi e nuovi?
La speranza è quella di rompere i tabù laddove sussistono ancora, creare realtà ecclesiali integrate tra omosessuali e non omosessuali; ma anche discendere più profondamente sul territorio locale, tra zone meno urbanizzate dove finora c’è stata poca risposta.