Il valore cristiano della visibilità per le persone omosessuali
Riflessioni di Emanuele Macca del gruppo Il Guado di Milano
In questo mio percorso di riavvicinamento alla Chiesa Cattolica e alla sua universalità, affronto anche il tema del mio orientamento sessuale e spesso mi viene posta la domanda “Ma è proprio necessario dirlo?”.
Ho altresì letto alcuni articoli in riviste cattoliche divulgative che ricalcano questa questione e certuni arrivano a definire il dichiararsi come un’ostentazione e una moda che indica come ormai si sia superato il senso del “pudore”.
Da qui mi è venuto lo spunto di affrontare in modo sistematico in questo articolo una risposta all’obiezione sopra citata. Innanzitutto trovo davvero insufficiente porre una critica a un “evento” senza definire dei criteri chiari che contestualizzino l’evento stesso.
Il “dichiararsi con un orientamento sessuale diverso da quello etero” può essere fatto in vari modi e quando io parlo di visibilità sottintendo tutto i modi possibili con cui una persona può essere visibile.
Spesso si tende a pensare al Gay Pride oppure si associa la visibilità all’ostentazione. Non posso negare che trovo fastidiose nei Pride la parodia del Papa o di altre figure del clero se non addirittura di figure come Gesù o la Madonna.
Queste parodie, portando spesso dietro di sé l’attacco all’istituzione, sono indubbiamente parodie aggressive e non bonarie e capisco benissimo come questa modalità di svolgere i Pride urti la sensibilità di tanti cattolici.
Ma la visibilità in fondo è solo far presente alle altre persone che si è omosessuali o bisessuali. Questa condizione ti rende una persona che è socialmente a rischio di “stigma” e che può scegliere non dichiarandosi di evitare i rischi dello stigmatizzazione stessa (crisi in famiglia che può sfociare in diatribe continue o nella creazione di tabù comunicativi o addirittura nell’allontanamento da casa; rottura di rapporti amicali e/o parentali sia attraverso discussioni aperte sia con un graduale ma continuo distacco; deprivazione di incarichi di responsabilità in strutture ecclesiali; rischio di perdita del posto di lavoro anche semplicemente scegliendo di non rinnovare il contratto).
Io stesso so benissimo che qualora mi trovo di fronte a una persona che mi fa capire con le parole e con il comportamento che la variabile dell’orientamento sessuale è per lui indifferente non ho bisogno di dichiararmi, banalmente perché non ho bisogno di nascondergli nulla (se ho un compagno o meno, se esco con amici in un locale notoriamente frequentato per lo più da gay).
Dichiararsi è quindi una scelta che si fa nel momento in cui si percepisce che una parte di sé potrebbe non essere accettata dall’altro. Altrimenti è un semplice comunicare situazioni di fatto o emozioni al pari di altre situazioni ed emozioni.
Se uno si dichiara vuol dire che si è già posto la domanda : “Ma come reagirà lui, come reagiranno loro se vengono a sapere di me? Mi accetteranno o no?” E’ chiarissimo quanto il semplice porsi questa domanda sia causa di insicurezza e di sofferenza!
Nel rapportarsi con una persona il discorso è duale… Io e lei e basta! Ma noi come individui ci rapportiamo anche con una comunità più o meno stretta.
Per lo più viviamo in relazioni estese comunitarie con continuità (se non scegliamo comunità rigidamente chiuse o l’eremitaggio).
E allora ecco che in questo contesto l’”essere visibili” assume una significato più ampio; significa parlare di sé comunicando con persone con cui non si hanno relazioni effettive.
Certo è che per dare un valore positivo a questa “visibilità comunitaria” è importante saperlo fare e avere ben chiara in mente la motivazione di fondo.
Se la motivazione è l’aiuto verso le altre persone devo capire che l’ “altro” non è solo il simile a me, ma è anche il “diverso da me” e quindi la persona ostile.
Consapevoli di questo allora dobbiamo capire che nella scelta della “visibilità verso la comunità” dobbiamo poter parlare con la stessa attenzione alla persona omo o bisessuale che sta vivendo lontano da noi un’esperienza di sofferenza tanto quanto alla persona e all’istituzione che almeno pubblicamente dichiara di non accettare la diversità dell’orientamento sessuale.
Dovremmo quindi comunicare solo quando abbiamo imparato a pulire da noi quel rancore che ci farebbe essere inutilmente aggressivi e non ci farebbe capire che anche chi non sa accettare e accogliere completamente soffre!
Come tutte le peculiarità, anche l’omosessualità può essere vissuta come fonte, come punto di partenza e non come una situazione fine a se stessa. Così solo possiamo non trasformarla in una ossessione individuale.
Cristianamente oserei dire che può essere una vocazione specifica : cioè una vocazione che ci porta a capire tutte quelle altre situazioni in cui le persone portano dentro di sé una “diversità potenzialmente causa di stigma e non visibile” e quindi che si pongono la domanda “Cosa succede se lo dico? Sarò ancora accolto ed accettato come lo sono adesso?”.
Cito il caso delle persone sieropositive o di coloro che si convertono a religioni minoritarie e talora anche socialmente perseguitate!
Per questo personalmente ringrazio il Signore di avermi creato anche con la mia omosessualità e sono giunto alla conclusione che la volontà di condividere il più possibile questo mio percorso non è altro che uno dei modi per ringraziarLo!
Non intendo ringraziarLo dell’omosessualità in sé e per sé – che in quanto tale potrebbe essere un fatto neutro – ma della crescita umana e delle esperienze che attraverso essa oggi sto vivendo!