Omosessualità. Cosa insegna la chiesa cattolica e cosa non dice
Testo di Jerry Furlong tratto da “Let’s Talk About Homosexuality – Putting a Human Face on Homosexuality”, parte 8, edito da Fortunate Families USA (Genitori cattolici con figli LGBT), 2008, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
“L’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore” (1 Samuele 16:7). “Alla luce dell’esperienza omosessuale cristiana” scrive John McNeill “due questioni fondamentali di morale sessuale vanno riesaminate. La prima: cosa rende un atto sessuale pienamente umano? La seconda: qual è il punto di vista biblico sugli atti omosessuali?”. (1)
I teologi cattolici di stampo tradizionale obietteranno a McNeill che tale esame non sarebbe né utile né costruttivo. È un esempio di insegnamento ufficiale che “richiede un consenso interiore e rispettoso” ma non costituisce una proclamazione infallibile; l’invito di McNeill al dialogo rispettoso è visto da molti come l’ennesimo fastidioso tentativo da parte di un teologo di minare alla base la legittima autorità. In realtà ci sono molti teologi progressisti e moderati, negli Stati Uniti, che stanno tentando di riesaminare la questione assieme ad altri studiosi di vari Paesi. Nel capitolo finale di questa serie cercheremo di esplorare le due questioni sottolineate da McNeill brevemente e a mo’ di introduzione, di modo che il lettore interessato possa venire a conoscenza del dibattito che si sta svolgendo nella sua Chiesa.
La prima questione – cosa rende un atto sessuale pienamente umano – è direttamente legata a cosa si intende per orientamento: si tratta di capire se l’orientamento omosessuale ha un fine naturale, uno scopo nel progetto di Dio, una “finalità”, per dirla in linguaggio teologico. L’orientamento eterosessuale trae la sua finalità dall’essere “aperto alla trasmissione della vita”. Ma, e l’omosessualità? Essa non può avere un fine procreativo; perciò, come insegna la Chiesa, l’orientamento omosessuale manca di una finalità e va considerato “intrinsecamente disordinato”. Tale orientamento, di conseguenza – pur essendo parte dell’identità sessuale che ci definisce e pur essendo qualcosa che non si sceglie ma si scopre -, va considerato meno che “umanamente normativo” meno che “pienamente umano”? Va considerato qualcosa di estraneo al piano divino, privo di un ruolo da assolvere nella società umana?
“La domanda fondamentale posta dai cattolici gay e delle cattoliche lesbiche è questa: perché l’eterosessualità viene giudicata la norma della piena umanità e sessualità? Su cosa si basa tale pretesa? Dobbiamo esaminarla assieme a tutte le sue fonti, comprese quelle bibliche, psicologiche e teologiche? L’eterosessualità è davvero una parte intrinseca dell’autentica natura umana, senza la quale l’individuo è in qualche modo carente o inferiore? La natura umana è la stessa in tutte le epoche o stiamo scoprendo sempre di più cosa si intendeva un tempo per normativo? Forse dovremmo essere un po’ più umili nel definire i nostri insegnamenti sulla sessualità alla luce delle nuove informazioni forniteci dalla scienza, come suggerisce [l’arcivescovo] Rembert Weakland (1980)?” (2)
Analizzando le positive dichiarazioni pastorali sull’orientamento contenute in Sono sempre nostri figli, il vescovo Thomas Gumbleton riconosce che i vescovi “devono comunque fare di più. Dobbiamo guardare in faccia la realtà: c’è un’incoerenza di base nell’insegnamento cattolico sull’omosessualità. Questo viene sottolineato in maniera molto acuta da Andrew Sullivan [noto studioso gay cattolico]… Sullivan… fa notare come, secondo la Chiesa, l’omosessualità sia priva di finalità. Nelle sue parole: ‘È bizzarro che qualcosa possa accadere naturalmente ed essere privo di fine naturale. Penso sia una dottrina più unica che rara…’ Nota poi come la Chiesa ammetta nel Catechismo “Che l’omosessualità… è un orientamento… ed è involontaria. Alcune persone sembrano essere costitutivamente omosessuali’.
Ma la contraddizione, o incoerenza, di questo insegnamento sorge con l’espressione di tale condizione, quando la persona omosessuale agisce secondo la sua costituzione umana. Come dice [Sullivan]: ‘Eppure l’espressione di questa condizione, che è involontaria e quindi priva di peccato… è sempre e comunque peccaminosa! Be’, potrei spremermi le meningi per trovare una dottrina cattolica così contraddittoria, senza poterla trovare. Filosoficamente è incoerente, fondamentalmente incoerente… Ora, ho cercato di comprendere questa dottrina perché la mia vita sta o cade con essa. Credo che Dio ritenga che esista un fine per me e gli altri, legato alla nostra essenza di immagini di Dio stesso e di persone chiamate ad amare noi stesse e gli altri…
Penso che siamo chiamati all’impegno e alla fedeltà e questo lo vedo attorno a me, nel mondo gay. Vedo… un’attività chiara come il sole che conduce verso questo fine, che è impegno e amore: il bisogno, il desiderio, la fame di queste due cose. Questo è il sensus fidelium [vale a dire, il modo in cui i fedeli comprendono la dottrina] e non esiste alcun tentativo, ora nella Chiesa, di ispirarsi, nell’insegnamento, al sensus fidelium o di discutere l’insegnamento alla luce di questo. Potete vederlo anche nei documenti [della Chiesa]: da una parte c’è scritto compassione, dall’altra disordine oggettivo. Un documento che se ne esce con la frase ‘evitare ogni ingiusta discriminazione’ è contorto perché, con questa dottrina, la Chiesa sta andando in due direzioni diverse: da una parte, riconosce l’umanità dell’individuo; dall’altra, non permette a quell’essere umano di essere pienamente umano”. (3)
Le conseguenze pratiche di questa “incoerenza di base” del magistero porta con sé seri dilemmi morali per gay e lesbiche cattolici. Consideriamo per esempio l’imperativo morale della castità. La persona gay o lesbica, esattamente come quella eterosessuale, è invitata dalla Chiesa a vivere una vita casta: “L’orientamento omosessuale non è considerato come una condizione peccaminosa; come l’eterosessualità, esso rappresenta una situazione in cui ci si trova a vivere, il punto di partenza per la propria risposta alla vocazione alla perfezione che viene da Cristo. Per rispondere a tale vocazione è necessario soddisfare le esigenze della castità all’interno di tale orientamento”. (4)
Cosa dobbiamo intendere con “esigenze della castità”? Probabilmente alla maggior parte di noi è stato insegnato, in gioventù, che la castità equivale a non pensare né agire in certe maniere sessuali o erotiche, in particolare prima del matrimonio, ma questa visione ristretta non coglie il significato della virtù della castità.
In Sono sempre nostri figli i vescovi statunitensi scrivono: “Con l’aiuto della grazia di Dio, tutti sono invitati a praticare la virtù della castità nella relazione. Castità significa integrare i propri pensieri, sentimenti e azioni nel campo della sessualità umana in modo da rispettare e dare valore alla dignità propria e a quella degli altri. Essa è ‘l’energia spirituale che libera l’amore dall’egoismo e dall’aggressività’” (Pontificio Consiglio per la Famiglia, Sessualità umana: verità e significato, 1995, n° 16). In una prospettiva relazionale centrata sui valori umani, sulla dignità, sul rispetto per la persona e la considerazione, priva di egoismo, per il prossimo, i vescovi invitano tutti noi, quale che sia la nostra condizione di vita, a vivere castamente nell’ambito della nostra identità sessuale, donataci da Dio.
Per alcuni, questa interpretazione della castità potrebbe essere l’ideale da raggiungere per un’unione omosessuale impegnata, amorevole e fonte di vita, altrettanto bene di quanto lo sia per un amorevole matrimonio eterosessuale; ma i vescovi non intendevano dire questo. Pochi paragrafi dopo, leggiamo: “Vivere e amare castamente significa comprendere che solamente all’interno del matrimonio il rapporto sessuale simboleggia pienamente il progetto duale del Creatore in quanto patto d’amore dotato del potenziale di co-creare una nuova vita umana”. Per la persona gay o lesbica, perciò, castità diventa necessariamente sinonimo di celibato. Questo solleva problemi per i teologi cattolici, per non parlare dei cattolici gay, delle cattoliche lesbiche, di molti genitori e parenti.
Il celibato era tenuto in grandissimo onore sia in epoca precristiana che nella Chiesa primitiva, solennemente riconosciuto come un dono di Dio. Possiamo però chiederci: come può il celibato essere un dono e, al tempo stesso, essere obbligatorio?
Scrive John McNeill: “Secondo la tradizione cattolica, il celibato è un dono speciale di Dio, concesso ad alcune persone in vista del Regno. I pochi omosessuali che ricevono questo dono sono anch’essi benedetti. Il clero sceglie la vita celibataria volontariamente, ma i laici [omosessuali] non hanno scelta: a loro viene detto che devono obbligatoriamente vivere nel celibato. Ma non c’è nessuna ragione di credere che Dio garantisca questo dono a ogni lesbica e a ogni gay”. (5)
Il teologo Joseph Selling fa notare come “… il celibato non viene considerato [dai concilii della Chiesa] una negazione della sessualità, bensì un modo di vivere la propria umana sessualità. [Tuttavia] ci si potrebbe chiedere, a ragione, se… l’unico modo di adempiere correttamente al fine della sessualità umana sia adempiere o ‘essere aperti’ alla procreazione. Chiaramente non è così”. (6)
Monsignor Thomas Gumbleton riconosce il problema: “Anche le persone gay e lesbiche devono lottare per imparare ad amare. Anch’esse devono imparare ad integrare la sessualità con la genuina intimità con un’altra persona. In che modo fare questo quando non si ha nessuna vocazione al celibato è un qualcosa che la teologia morale non ha mai affrontato seriamente. Sappiamo, certo, cosa Dio vuole per tutti noi. La volontà di Dio è che ciascuno e ciascuna di noi diventi una persona pienamente umana, pienamente sviluppata, una persona in pace con se stessa, che sviluppa i talenti e le capacità a lei concesse. Questa accade per mezzo delle nostre relazioni amorevoli e, per la maggior parte di noi, per mezzo di una relazione speciale con un’altra persona, in una maniera particolarmente amorevole ed educativa”. (7)
La seconda questione “fondamentale”, che secondo McNeill deve essere riesaminata, è il punto di vista biblico sugli atti omosessuali. Nella ricerca del significato divino nelle Sacre Scritture gli studiosi utilizzano il termine ermeneutica, vale a dire “la corretta lettura e utilizzo delle Sacre Scritture, o il modo in cui consideriamo la Sacre Scritture nell’esame delle questioni morali della contemporaneità”. Tale “corretta lettura” è un compito assegnato ai teologi, ai biblisti e agli storici della Chiesa. Non sorprende che sull’argomento omosessualità questi esperti non siano sempre in perfetta armonia.
Nel 1986 la Lettera ai vescovi cita, come gravemente erronea, “una nuova esegesi della Sacra Scrittura, secondo cui la Bibbia o non avrebbe niente da dire sul problema dell’omosessualità, o addirittura ne darebbe in qualche modo una tacita approvazione, oppure infine offrirebbe prescrizioni morali così culturalmente e storicamente condizionate che non potrebbero più essere applicate alla vita contemporanea”. (8) Scrive Gerald Coleman, noto teologo cattolico: “I singoli testi biblici devono essere interpretati con attenzione e tenendo conto del contesto, ma non c’è dubbio che sia l’Antico che il Nuovo Testamento proibiscano la condotta omosessuale. Nemmeno l’assenza di un insegnamento esplicito di Gesù può giustificarla”. (9)
I teologi e gli studiosi che aspirano a una revisione dell’insegnamento ufficiale concordano con padre Coleman sul fatto che il comportamento omoerotico è chiaramente condannato dalla Bibbia, tuttavia si chiedono come tale comportamento fosse inteso dagli antichi autori.
Scrive il professore di Nuovo Testamento Victor Paul Furnish: “È solo verso la fine del XIX secolo che gli studiosi di medicina e psicologia cominciarono ad elaborare delle teorie sull’origine e la formazione dell’identità sessuale. Fino ad allora non era stata possibile nessuna distinzione tra l’orientamento ‘eterosessuale’ e quello ‘omosessuale’. Anche se a tutt’oggi sappiamo molto poco su come si sviluppa l’identità sessuale, perlomeno sappiamo che è un processo di grande complessità, che coinvolge molti diversi fattori. Gli autori biblici e il mondo antico in generale non avevano nessuna nozione del genere, perciò nessuna lingua antica, né l’ebraico né il greco, possedevano termini specifici per ‘sessualità’, ‘eterosessualità’ o ‘omosessualità’”. (10)
La Bibbia non dice nulla sull’omosessualità in quanto orientamento sessuale, condizione o (per dirla con i vescovi statunitensi) “dimensione profondamente radicata della personalità”. In sei passi molto citati, tuttavia, la Scrittura sembra parlare del rapporto genitale tra persone dello stesso sesso. Tali passi sono stati tradizionalmente utilizzati come base dell’insegnamento scritturale della Chiesa secondo il quale l’attività omosessuale è moralmente sbagliata. Tuttavia, utilizzando dei metodi di interpretazione biblica approvati da papa Pio XII (Divino Afflante Spiritu, 1943) e dal Concilio Vaticano Secondo (Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione, 1965), un certo numero di teologi, biblisti e storici cattolici contemporanei hanno messo in discussione l’interpretazione tradizionale di questi passi. Nel suo libro What the Bible Really Says about Homosexuality (Cosa dice veramente la Bibbia riguardo l’omosessualità) il teologo cattolico Daniel Helminiak scrive (11): “I documenti della Chiesa affermano che, a partire dal libro della Genesi fino al termine delle Scritture Cristiane si trova una costante opposizione agli atti omogenitali. Tuttavia, i biblisti contemporanei hanno sollevato numerose obiezioni. Letta nel suo contesto storico e culturale, la Bibbia non parla di relazioni omosessuali mature e basate sull’amore come le conosciamo noi oggi”.
Per meglio comprendere questi differenti punti di vista, metteremo a confronto le interpretazioni “esposte in breve” nella Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali, emanata nel 198 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede con i riassunti, proposti da Helminiak, delle interpretazioni che riscuotono il consenso di alcuni biblisti contemporanei (12). Ecco i sei passi in questione:
Genesi 1-3
Lettera della CDF: “Dio, nella sua infinita sapienza e nel suo amore onnipotente, chiama all’esistenza tutta la realtà, quale riflesso della sua bontà. Egli crea a sua immagine e somiglianza l’uomo, come maschio e femmina. Gli esseri umani perciò sono creature di Dio, chiamate a rispecchiare, nella complementarietà dei sessi, l’interiore unità del Creatore. Essi realizzano questo compito in modo singolare, quando cooperano con lui nella trasmissione della vita, mediante la reciproca donazione sponsale. Il cap. 3 della Genesi mostra come questa verità sulla persona umana quale immagine di Dio sia stata oscurata dal peccato originale. Ne segue inevitabilmente una perdita della consapevolezza del carattere di alleanza, proprio dell’unione che le persone umane avevano con Dio e fra di loro. Benché il corpo umano conservi ancora il suo «significato sponsale», ora questo è oscurato dal peccato”.
Proposta contemporanea: “Genesi 1-3 descrive come Adamo ed Eva siano stati creati per la compagnia reciproca e la procreazione. Questi racconti utilizzano la relazione umana più comune per trasmettere un insegnamento religioso. Il punto qui è l’amore e la saggezza di Dio, che ha fatto buone tutte le cose e non desidera il male per noi. Niente suggerisce che gli autori biblici intendessero parlare di orientamento sessuale”.
Genesi 19
Lettera della CDF: “Così il deterioramento dovuto al peccato continua a svilupparsi nella storia degli uomini di Sodoma (cf. Gen 19:1-11). Non vi può essere dubbio sul giudizio morale ivi espresso contro le relazioni omosessuali. In Levitico 18:22 e 20:13, quando vengono indicate le condizioni necessarie per appartenere al popolo eletto, l’Autore esclude dal popolo di Dio coloro che hanno un comportamento omosessuale”.
Proposta contemporanea: “Il racconto di Sodoma in Genesi 19 parla dell’offesa verso il sacro dovere dell’ospitalità. Ezechiele 16:48-49 e Sapienza 9:13-14 interpretano in questo modo il passo. Il tentato stupro dei due uomini ha la funzione di sottolineare l’atrocità di quest’offesa [la mancata ospitalità]”.
Romani 1
Lettera della CDF: “In un altro passaggio del suo epistolario egli [Paolo], fondandosi sulle tradizioni morali dei suoi antenati, ma collocandosi nel nuovo contesto del confronto tra il Cristianesimo e la società pagana dei suoi tempi, presenta il comportamento omosessuale come un esempio della cecità nella quale è caduta l’umanità. Sostituendosi all’armonia originaria fra il Creatore e le creature, la grave deviazione dell’idolatria ha condotto a ogni sorta di eccessi nel campo morale. San Paolo trova l’esempio più chiaro di questa disarmonia proprio nelle relazioni omosessuali (cf. Rom1:18-32)”.
Proposta contemporanea: “Romani 1:27 menziona gli uomini che hanno rapporti con altri uomini ma i termini utilizzati per descriverli significano ‘disonorevoli’ e ‘privi di vergogna’ e si riferiscono deliberatamente alla disapprovazione sociale, non a una condanna etica. Inoltre, nell’uso che ne fa Paolo, diverso da quello della filosofia stoica prevalente al suo tempo, para physin (‘innaturale’) va tradotto piuttosto come ‘atipico’ o ‘fuori dall’ordinario’, senza alcun riferimento alla legge naturale né condanne etiche, in quanto, in Romani 11:24, Dio agisce para physin. Paolo considera il sesso gay impuro (vedi Romani 1:24), alla stregua della mancata circoncisione o del mangiare cibi proibiti, e la menziona per chiarire il punto della sua lettera, ovvero che le regole di purità della Legge giudaica non sono rilevanti in Cristo Gesù”.
Levitico 18, 1 Corinzi e 1 Timoteo
Lettera della CDF: “In Levitico 18:22 e 20:13, quando vengono indicate le condizioni necessarie per appartenere al popolo eletto, l’Autore esclude dal popolo di Dio coloro che hanno un comportamento omosessuale. Sullo sfondo di questa legislazione teocratica, San Paolo sviluppa una prospettiva escatologica, all’interno della quale egli ripropone la stessa dottrina, elencando tra coloro che non entreranno nel regno di Dio anche chi agisce da omosessuale (cf. 1 Corinzi 6:9). […] Infine, in perfetta continuità con l’insegnamento biblico, nell’elenco di coloro che agiscono contrariamente alla sana dottrina, vengono esplicitamente menzionati come peccatori coloro che compiono atti omosessuali (cf. 1 Timoteo 1:10)”.
Proposta contemporanea: “Levitico 18:22 proibisce certamente il sesso tra uomini, definendolo ‘abominio’, ma questo termine significa semplicemente un’impurità o un tabù religioso, come mangiare carne di maiale. Come nel caso della vecchia proibizione cattolica di mangiare carne di venerdì (peccato mortale), l’offesa non stava nell’atto in sé ma nel tradimento della propria religione. Gli antichi Ebrei dovevano evitare certe pratiche comuni tra i Gentili impuri.
“1 Corinzi 6:9-10 e 1 Timoteo 1:8-10 citano gli arsenokoitai tra coloro che saranno esclusi dal Regno di Dio. Questo termine oscuro è stato tradotto con ‘omosessuali’ ma il suo esatto significato è oggetto di discussione. Certamente non include le donne ma solamente qualche tipo di molestatore sessuale maschio e deve essere interpretato alla luce degli abusi e della licenziosità comunemente associati al sesso tra uomini nell’Impero Romano (vedi Robin Scroggs, The New Testament and Homosexuality [Il Nuovo Testamento e l’omosessualità]”.
Lo studioso cattolico William H. Shannon fa riferimento a un principio di interpretazione biblica citato nella Lettera del 1986. Tale principio, scrive Shannon, “afferma chiaramente che i modi di pensare e di esprimersi che si trovano nella Bibbia differiscono da un periodo della storia biblica all’altro e anche tra il periodo biblico e l’epoca contemporanea. (13) […] Non si può pensare che una coerente comprensione del termine ‘omosessualità’ e un utilizzo inequivoco del termine ‘omosessuale’ siano esistiti inalterati attraverso i vari periodi in cui fu scritta la Bibbia e le diverse fasi della storia della Chiesa. […] Gli autori biblici parlano di omosessualità a volte nel contesto della prostituzione maschile sacra, altre volte (forse in Genesi 19?) nel contesto dello stupro di gruppo, altre volte ancora come comportamento innaturale per degli uomini eterosessuali. Per questo sembra abbastanza plausibile suggerire che il comportamento omosessuale chiaramente condannato da Paolo in Romani 1:27 coinvolgeva uomini eterosessuali, o perlomeno considerati tali da Paolo. Gli autori biblici non sapevano nulla di una condizione omosessuale non ‘scelta’ ma ‘data’ e certamente non avevano nessuna idea dell’omosessualità come modo di relazione umana con un’altra persona in un contesto di amore, fedeltà e reciprocità.
“Non sto assolutamente suggerendo che tale modo di relazionarsi sia moralmente giustificabile oppure no, intendo semplicemente dire che è questo che le persone omosessuali intendono oggi quando parlano di comportamento omosessuale responsabile e intendo dire anche che tale modo di concepire l’omosessualità sarebbe stato fuori dall’orizzonte degli autori biblici. Possiamo anche giudicare che ciò che alcuni chiamano ‘comportamento omosessuale responsabile’ non è per nulla responsabile e va condannato, ma la nostra condanna dovrebbe basarsi sulla nostra particolare concezione della sessualità, non su un’ermeneutica [vale a dire, interpretazione] che richiede agli autori biblici di condannare qualcosa che non avrebbero mai potuto immaginare”.
Il teologo cattolico John McNeill pone così la questione (e la sua importanza): “Possiamo semplicemente accettare che ciò che si intende per omosessualità nelle traduzioni in lingua inglese della Bibbia rappresenti, nella mente degli autori biblici, ciò che noi intendiamo con questo termine? […] È importante che il moralista tenga ben presente la distinzione tra attività omosessuale e condizione omosessuale. Infatti, per quanto riguarda il giudizio morale, vi è un importante differenza tra persone eterosessuali che indulgono in attività omosessuali e persone omosessuali autentiche che indulgono nel medesimo comportamento in quanto espressione del loro amore”. (15) Così il dibattito biblico continua, tra studiosi che cercano di portare l’acqua al proprio mulino, politici che cercano di approfittarne, dubbi di fede per chi è più direttamente coinvolto e discussioni infuocate che portano ben poca luce.
Il teologo Richard Gaillardetz tenta di fare il punto del dibattito nel suo studio Christianity and Homosexuality: The State of the Question in Contemporary Biblical and Theological Studies (Cristianesimo e omosessualità: il punto del dibattito negli studi biblici e teologici contemporanei). Gaillardetz è professore di studi cattolici all’Università di Toledo e scrive: “In tutte questa controversia le discussioni si sono troppo spesso limitate a una polarizzazione ‘pro o contro’ e sono scadute in facili stereotipi ‘liberali o conservatori’. In tutto questo si è spesso persa di vista la seria riflessione accademica cominciata in molte differenti tradizioni cristiane. Ritengo che il dibattito sull’omosessualità sia uno dei più importanti per le Chiese in questo secolo e a nulla servono le polarizzazioni ideologiche e le demonizzazioni retoriche che vogliono sostituire il dialogo informato e ragionato tra e all’interno delle Chiese”.
Se volete approfondire il tema Scritture e omosessualità vi rimando alla bibliografia in Appendice per opere sia pro che contro.
Le due questioni citate da McNeill – la finalità dell’atto sessuale e il punto di vista biblico sugli atti omosessuali – sono certamente fondamentali per l’insegnamento della Chiesa. Oltre a questo, tuttavia, nei suoi documenti ufficiali la Chiesa condanna esplicitamente gli atti omosessuali sulla base di altri insegnamenti del Magistero, tra cui la tradizione vivente della Chiesa, le argomentazioni basate sulla legge naturale e la teoria della “complementarietà” come requisito essenziale dell’atto sessuale. Non tratteremo qui queste considerazioni, che tuttavia alimentano considerevoli discussioni nella letteratura accademica e nelle comunità. Se siete interessati a saperne di più sugli aspetti teologici e storici del Magistero della Chiesa – e sulle questioni attuali alla luce del Magistero stesso – forse può esservi d’aiuto la lista di “Letture correlate” alla fine di questa serie.
Perciò, parlando di omosessualità, la complessità è evidente. Ci sono molte questioni in gioco: “La nostra esperienza conferma o smentisce l’assunto secondo il quale l’omosessualità è, semplicemente e senza nessuna eccezione, ‘un’offesa contronatura’? Il Levitico e Paolo consideravano l’omosessualità un vizio perché presumevano fosse una scelta deliberata che ‘sopprimeva la verità di Dio’. È corretto dire questo dell’omosessualità per come noi siamo giunti a comprenderla? Ovviamente è una distorsione grossolana parlare di ‘omosessualità’ come se questi autori intendessero qualcosa di chiaramente definibile. Ma molte persone che hanno amici o parenti gay o lesbiche sono arrivate alla conclusione opposta: per molte persone l’accettazione della propria omosessualità significa accettare di essere state create in quel modo e, nel modo più assoluto, non è un vizio che si può scegliere. Se questa conclusione è corretta, quali sono le implicazioni ermeneutiche?
“Un altro ordine di problemi è la connessione dell’omosessualità con la porneia [vale a dire, qualsiasi forma di immoralità sessuale]. È chiaro che la Chiesa non può accettare la porneia, ma qual è l’essenza dell’’immoralità sessuale’? Il grado di moralità dell’atto sessuale va definito biologicamente come utilizzo di determinate parti del corpo oppure in termini di responsabilità e atteggiamenti personali? Non è forse la porneia essenzialmente un’attività sessuale al di fuori di un patto, come la castitas è la virtù sessuale sia all’interno che al di fuori del matrimonio, in quanto sessualità al servizio di un patto?
“Se la virtù e il vizio sessuali vengono definiti in termini di patto anziché in termini biologici, allora diviene possibile porre l’attività omosessuale nel medesimo contesto di quella eterosessuale”. (16)
Perciò, la Chiesa può accettare le persone gay e lesbiche in tutta la loro umanità? Monsignor Kenneth Untener afferma che uno dei tratti distintivi del cattolicesimo è che siamo “una Chiesa straordinariamente inclusiva”: “Quando eravamo piccoli mio papà ci portava alle partite di baseball al Tiger Stadium [di Detroit, n.d.t.] (che allora si chiamava Briggs Stadium) e ci sedevamo sempre nei settori popolari. La gente che siede nei settori popolari è diversa dal pubblico dei settori distinti. Soltanto a distanza di anni, dopo aver studiato ecclesiologia, ho capito che la gente che sta nei settori popolari dello stadio è una buona immagine di come dovrebbe essere la Chiesa: lì c’è ogni sorta di umanità. Questa è l’immagine che mi viene in mente quando leggo i vangeli e immagino le persone che si lamentavano di Gesù e il genere di persone che sembravano camminare assieme a lui. Fin dalla nostra fondazione da parte di questa persona che camminava con i peccatori, mangiava con loro e fu accusata di essere un beone e un mangione, siamo sempre stati una Chiesa estremamente inclusiva…
“I cattolici bevono, giocano d’azzardo, bestemmiano e fumano. Forse dovremmo riflettere un po’ su questi comportamenti. Mi sembra interessante che, di tutte le maggiori denominazioni cristiane, i cattolici abbiano una certa, caratteristica mondanità. Tra le altre cose, noi facciamo il funerale ai gangster!
“Possiamo andare fieri dell’inclusività della Chiesa ma non siamo mai stati perfetti. È un paradosso: mentre facciamo il funerale ai gangster, lo neghiamo alle persone divorziate. Pur essendo sempre stati lontani dall’essere perfettamente inclusivi (cosa che non saremo mai), nessuno può dubitare che fondamentalmente siamo una Chiesa molto inclusiva”.
E come si manifesta tale inclusività nei riguardi delle persone gay e lesbiche? Luke Timothy Johnson, che insegna Nuovo Testamento e origini cristiane alla Candler School of Theology, ci offre un’analogia: “La questione è analoga a quella affrontata ai primordi del cristianesimo, quando i Gentili cominciarono ad essere convertiti. Accettato il fatto che avessero ricevuto lo Spirito Santo, potevano essere accettati in seno al popolo di Dio così com’erano o dovevano prima ‘diventare Giudei’, ovvero essere circoncisi e obbedire a tutte le esigenze rituali della Torah (i cinque libri di Mosè)?
“Fate bene attenzione ai paletti: i Gentili erano ‘per natura’ impuri e, per di più, contaminati dall’idolatria. Noi siamo ossessionati dalla dimensione sessuale del corpo; il mondo mediterraneo del primo secolo lo era dalle implicazioni sociali del cibo e della condivisione della tavola. La decisione di permettere ai Gentili di rimanere così com’erano e di inaugurare la condivisione della tavola con loro, notate bene, entrava in conflitto diretto con l’interpretazione generalmente accettata della Torah e con ciò che Dio voleva dagli esseri umani.
“Una decisione non era facile da raggiungere. La lettera di Paolo ai Galati fa intravedere il conflitto. Persino l’irenico Luca dedica cinque interi capitoli degli Atti (10-15) al racconto di come la comunità cercava di tenere il passo con le intenzioni di Dio, inciampando a ogni passo tra confusione, dubbi, sfide, disaccordi, divisioni e discussioni. Ci sarebbe stato molto da soffrire prima che le implicazioni della domanda di Pietro: “Se dunque Dio ha dato a loro lo stesso dono che a noi per aver creduto nel Signore Gesù Cristo, chi ero io per porre impedimento a Dio?” (Atti 11:17) trovasse piena risposta: “Noi crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati [noi Giudei] e nello stesso modo anche loro [i Gentili]” (Atti 15:11).
“La base della decisione della Chiesa fu allora l’opera che Dio stava compiendo tra i Gentili: portarli alla salvezza attraverso la fede. Sulla base di questa esperienza dell’opera di Dio, la Chiesa non si fece scrupolo a reinterpretare la Torah, trovandovi un’inaspettata legittimazione alla sua fedeltà alle vie sorprendenti di Dio (Atti 15:15-18). In che modo la Chiesa venne a sapere di quest’opera di Dio? Attraverso i racconti di fede di Paolo, Barnaba e Pietro, la loro testimonianza personale di come i “segni e prodigi” avevano operato tra i Gentili (Atti 15:4, 6-11, 12-13).
“Proprio di tali testimonianze ha bisogno ora la Chiesa da parte dei cristiani omosessuali. L’omosessualità è compatibile con una vita santa? Il patto d’amore omosessuale conforme alla ‘mente di Cristo’ è un’autentica realizzazione di quella identità cristiana che ha per autore lo Spirito Santo, e quindi anche le Scritture, nonostante le ‘autorità’ che lo squalificano?
“La Chiesa può discernerlo solamente sulla base della testimonianza di fede. L’onere della prova che si richiede per rovesciare i precedenti scritturali è pesante, ma non siamo i primi a doverlo portare. La Chiesa non deve e non dovrebbe definire se stessa in base alle pressioni politiche o ai sondaggi d’opinione, bensì è chiamata a discernere l’opera di Dio nelle vite umane e ad adattare la comprensione che ha di se stessa in risposta a tale opera. L’inclusività deve derivare dall’evidenza della santità: c’è qualche racconto di santità omosessuale che dobbiamo cominciare ad ascoltare?” (18).
1 John J. McNeill. “Homosexuality: Challenging the Church to Grow”, in Homosexuality in the Church, ed., Jeffrey S. Siker, (Louisville, KY: Westminster John Knox Press), p. 55.
2 Robert Nugent. “Theological Contributions of the U.S. Church”, in Building Bridges:Gay & Lesbian Reality and the Catholic Church, terza ristampa, Robert Nugent e Jeannine Gramick, (Mystic, CT: TwentyThird Publications), p.154.
3 Thomas J. Gumbleton. “A Call to Listen: The Church’s Pastoral and Theological Response to Gays and Lesbians”, in Sexual Diversity and Catholicism: Toward the Development of Moral Theology, eds., Patricia Beattie Jung con Joseph Andrew Coray, (Collegeville, MN: Liturgical Press,2001).
4 “Ministry and Homosexuality in the Archdiocese of San Francisco”, pubblicato come Piano Pastorale dell’Arcidiocesi dal San Francisco Senate of Priests, in Voices of Hope, eds., Jeannine Gramick e Robert Nugent (New York: Center for Homophobia Education, 1995), p.109.
5 McNeill, p. 51.
6 Joseph Selling. “The Development of Catholic Tradition and Sexual Morality”, in Embracing Sexuality: Authority and Experience in the Catholic Church, ed., Joseph Selling, (Aldershot, Hampshire, England: Ashgate, 2001).
7 Gumbleton, op. cit.
8 “Lettera ai vescovi della Chiesa Cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali” emanata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, 1986.
9 “Homosexuality: Catholic Teaching and Practice”, (New York: Paulist Press, 1995), vedi il capitolo sulla documentazione biblica, pp.56-72.
10 Victor Paul Furnish. “What Does Scripture Say? How Shall We Listen? The Bible and Homosexuality”, in Open Hands, estate 1993.
11 Daniel Helminiak, in Catholicism, Homosexuality and Dignity, 1996.
12 Queste posizioni sono ribadite nella Lettera del 1986 e dall’opera di Heliminiak citata sopra.
13 William H. Shannon. “A Response to Archbishop Quinn”, in The Vatican and Homosexuality, (New York: Crossroad Press, 1988), eds., Jeannine Gramick e Pat Furey, pp. 20-27.
14 Ibid.
15 McNeill, pp 38 and 39.
16 Luke Timothy Johnson. “Disputed Questions: Debate and Discernment, Scripture and the Spirit”, Commonweal, 28 gennaio 1994.
17 Kenneth E. Untener. “Hallmarks of the Church”, discorso pronunciato al Simposio di New Ways Ministry, 28 marzo 1992.
18 Luke Timothy Johnson. Op cit.
Testo originale: Moral and Pastoral Considerations: Other Catholic Voices: Shared Thoughts on Vatican Documents