La Cambogia crudele di Pol Pot. L’amore LGBT ai tempi dei Khmer Rossi
Articolo di Juliette Rousselot pubblicato sul mensile Gay Times Magazine (Inghilterra) del dicembre 2016, pag. 40-45, libera traduzione di Innocenzo Pontillo
Noy Saroeun è nata nel 1949 nella provincia cambogiana di Kampong Thom. Tuttavia solo nel 1976, un anno dopo che i khmer rossi* avevano preso il potere in Cambogia, ha incontrato il suo compagno Noy Sitha in un campo di lavoro dei Khmer rossi nella provincia di Pursa.
Saroeun e Sitha non sono l’unica coppia che si è formata durante questo periodo turbolento della storia della Cambogia, ma la loro storia è unica per un dettaglio fondamentale: Sitha è nato come donna nel 1951. E mentre milioni di cambogiani soffrivano la stessa sorte di Sitha, che era un artista sotto il precedente governo di Lon Nol, come uomo transgender aveva già provato cosa significa vivere “con un bersaglio sulla schiena”, anche se va ricordato che il buddhismo, a differenza del Cristianesimo o l’Islam, non vieta esplicitamente l’omosessualità.
All’età di 16 anni, Sitha, viveva già come un uomo e si era trasferito a Phnom Penh, capitale della Cambogia, da un suo cugino, al fine di proseguire la sua passione per le arti. Era diventato rapidamente un artista di successo, un famoso cantante cambogiano della radio nazionale, una posizione che mantenne sotto i governi Sihanouk e Lon Nol, ma che fu costretto ad abbandonare dopo la salita al potere dei Khmer Rossi, nel 1975.
Il 17 aprile 1975 Sitha, che allora aveva 24 anni, era nella capitale Phnom Penh quando i Khmer Rossi entrarono in città. Come molti altri accolse con favore la fine della brutale guerra civile che aveva contrapposto per anni le forze dei Khmer rossi al governo cambogiano della Repubblica di Lon Nolis.
Ma tre ore dopo l’ingresso nella capitale, i soldati dei Khmer rossi cominciarono a evacuare tutti gli abitanti e li costrinsero a trasferirsi nelle province rurali della Cambogia. Dopo aver trascorso tre mesi nella provincia di Takeo, Sitha fu trasferito di nuovo nella Provincia del Pursat, dove fu costretto a trascorrere le sue giornate in un campo di lavoro, fino a quando i Khmer Rossi furono cacciati nel gennaio 1979. E’ in questo campo di lavoro che Sitha incontrò Saroeun.
Saroeun era stata forzatamente trasferita a Pursat dai Khmer Rossi. Si conoscevano da circa un anno [nel campo di lavoro], prima di innamorarsi. “Un giorno, l’ho portato e thatis quando ci siamo innamorati. Sapevo che era un uomo transgender fin dall’inizio, ma io l’ho amato comunque”, racconta Saroeun.
Per tre anni, Saroeun e Sitha hanno corso il rischio tremendo che la loro storia fosse scoperta, si potevano incontrare solo di nascosto, la notte. I responsabili dei Khmer Rossi del loro campo aveva incaricato una guardia di sicurezza di tenerli d’occhio. La guardia di sicurezza li pedinava qualsiasi cosa facevano, se dormivamo insieme, se si incontravano durante la notte, “ma non ci hanno mai preso”, dice Saroeun.
Sitha aggiunge che “la guardia di sicurezza intorno a mezzanotte andava a dormire, così abbiamo potuto vederci e stare insieme. Il capo del villaggio sapeva di noi, ma non ha fatto nulla perché sapevo cantare bene e sapevo intrattenere [i capi dei Khmer rossi]”. Ma anche se il capo villaggio fu relativamente tollerante con Sithaís e Saroeuní, altre coppie non furono altrettanto fortunate.
Anche se c’è scarsa documentazione disponibile per quanto riguarda il trattamento delle persone LGBT sotto il regime dei Khmer rossi, i dati raccolti indicano che molte persone LGBT subito gravi discriminazioni. In una ricerca, pubblicata nel marzo 2015, il ricercatore Kasumi Nakagawa ha osservato che, durante il periodo del regime dei Khmer rossi, le persone appartenenti a minoranze sessuali, come lesbiche, gay, bisessuali e transgender (LGBT), sono stati costretti a sperimentare la violenza sessuale da parte dei Khmer, cosa che non è stata sperimentato dalla maggior parte della popolazione, ed aggiunge che la paura di essere uccisi a causa del proprio orientamento sessuale era costante.
In quegli anni la politica dei Khmer rossi fu quella dei matrimoni forzati. Numerose testimonianze attestano che matrimoni forzati si verificano durante tutto il periodo del regime, in quasi tutte le provincie cambogiane. Inoltre i rapporti intimi al di fuori del matrimonio erano considerati contro l’approccio collettivista del CPK [Partito Comunista dei Khmer Rossi] ed definiti come immorali, come dei come comportamenti del passato regime.
Di conseguenza le persone LGBT erano particolarmente vulnerabili, perché le loro storie si verificavano tutte al di fuori del matrimonio.
“Le persone LGBT sono state sottoposte duramente alla politica del matrimonio forzato e costrette ad avere rapporti sessuali eterosessuali, sotto lo sguardo dei capi dei Khmer Rossi, che verificavano che consumassero il loro matrimonio”, dice Wan-Hea Lee, Rappresentante dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani in Cambogia .
Questi racconti sono supportati da Sou Southeavy, una donna transgender nata nel 1940, che dopo la caduta del regime dei Khmer Rossi ha descritto in una intervista del 2009, agli investigatori del tribunale, di come fu costretta dai Khmer rossi a tagliare i suoi lunghi capelli, a vestirsi da maschio, di come fu ripetutamente violentata e costretta ad avere rapporti sessuali in cambio di cibo.
Ha anche raccontato dettagliatamente il matrimonio forzato a cui fu costretta con una donna nel 1977, e di come le guardie dei Khmer rossi controllavano le coppie al fine di essere sicuri che i matrimoni fossero stati consumati.
Invece Sitha e Saroeun non hanno sperimentato questo tipo di violenza descritto dalla ricerca di Nakagawaís o da Sou Southeavy, ma non significa che la vita è stata facile per loro. Ogni giorno vivevano nella paura istaurata da leader Pol Pot, “non potevamo muoverci, vivere o lavorare liberamente”, racconta Saroeun.
Dopo che il regime dei Khmer rossi è caduto, Sitha e Saroeun hanno lasciato insieme il campo di lavoro e sono tornati nella capitale Phnom Penh, affrontando un viaggio di quattro giorni a piedi, lì hanno lentamente cominciato a ricostruire le loro vite, così come milioni di altri cambogiani.
Sitha ha recuperato il suo lavoro di popolare cantante alla radio nazionale. Racconta Saroeun “è stato difficile all’inizio, non avevamo nulla da mangiare, ma almeno eravamo finalmente liberi”,
Dopo la caduta dei khmer rossi, Sitha e Saroeun hanno adottato tre bambini, due ragazze e un ragazzo, e oggi sono nonni orgogliosi di sei nipoti. Ma perché le coppie come Sitha e Saroeun, ancora oggi, non possono essere legalmente sposate in Cambogia, Saroeun e i loro figli sono tutti elencati nello stato di famiglia come fratelli di Sithaís.
Anche se l’omosessualità non è criminalizzata in Cambogia, non è riconosciuta in nessun modo nella legislazione cambogiana. Nell’agosto 2014 un rapporto del Centro cambogiano per i diritti umani ha rilevato che le leggi cambogiane non considerano l’orientamento sessuale e l’identità di genere un motivo meritevole di tutela contro la discriminazione, questo influisce sul modo in cui le persone LGBT cambogiane sono viste nella società, e contribuisce ad alimentare la loro discriminazione e marginalizzazione. Ma sia Sitha e Saroeun hanno ancora la speranza che un giorno saranno in grado di sposarsi secondo la legge. Afferma Sitha “una cosa che voglio dire è che vorrei che le persone LGBT, nel mondo intero, siano trattate con equità e considerate come persone normali”.
* Il 17 Aprile 1975, i khmer rossi entrano a Phnom Penh, capitale della Cambogia, mentre la popolazione inneggia ed esulta per il loro arrivo al potere. La tragedia inizia subito: tutti gli abitanti della capitale vengono letteralmente deportati nelle campagne – la città per i khmer rossi è simbolo di corruzione, mentre la campagna rappresenta la patria presso cui educare la “nuova popolazione” – anche i malati e gli infermi ricoverati presso il principale ospedale della città vengono costretti ad un esilio forzato. E’ l’inizio della fine. Dal 17 aprile 1975 al 9 gennaio 1979, anno in cui la Kampuchea Democratica, voluta ed instaurata dal leader Pol Pot, cade ad opera dei vietnamiti – muoiono circa 1.500.000 cambogiani (secondo altre fonti i morti potrebbero essere addirittura 3.000.000). Una cifra non indifferente se si considera che la popolazione Cambogiana contava all’epoca circa 7.000.000 di abitanti. Tre anni di barbarie, in cui i figli venivano tolti ai genitori per ricevere un’educazione che rimandasse unicamente al partito, l’Angkar una sorta di Grande Fratello che tutto sapeva e cui tutto era dovuto. Campi di lavoro, fame, mine, legami familiari spezzati nella perversa logica di creare un uomo nuovo. Il risultato fu per la popolazione della Cambigia una caduta negli inferi che, ancora oggi, non ha trovato giustizia. Basti dire che Pol Pot è morto il 15 Aprile 1998 per un infarto, nella foresta Cambogiana dove si era rifugiato, ma non è mai stato perseguito. Non ha ricevuto nessuna imputazione per genocidio.