Sulla strada di Gerico solo un gay si fermò per aiutare
Riflessioni bibliche di Terence pubblicate sul blog My Queer Spirituality (Inghilterra) il 3 maggio 2011, libera traduzione di Silvia Lanzi
Padre Geoff Farrow ha scritto un post sul suo blog “Delivery Salvation”, in cui descrive il suo incontro con un giovane uomo, arrivato alla sua porta, in cerca di salvezza, sotto forma di una vivace conversazione su paradiso e inferno. Questo scenario ci è famigliare. Quanti di noi avrebbero avuto la presenza di spirito di rispondere, come ha fatto lui, citando il Vangelo di Luca?
In Luca 10: 23-37, a Gesù viene chiesto della vita dopo la morte: “Maestro, cosa devo fare per ereditare la vita eterna?“. La domanda, fatta da un dottore della legge, era precisa, perché c’erano ben 614 leggi che un ebreo osservante avrebbe dovuto rispettare. Infranta una, infrante tutte. Nella tradizione rabbinica del domandare/discutere questa domanda era la seguente: “Cosa si aspetta Dio da me?”, “Cos’è centrale, essenziale?”. Si può applicare questa domanda anche alle persone di oggi, a prescindere dalla propria religione (o della sua mancanza), “Cosa devo fare per raggiungere il mio pieno potenziale, per vivere veramente in pienezza e in pace?”.
Ligio alla tradizione rabbinica, Gesù risponde alla domanda del dottore della legge con altre due domande. “Cos’è scritto nella legge [Torah/Bibbia]?” In più, “Come lo leggi?”. Incidentalmente, questa seconda domanda è di importanza critica, perché il motivo per cui leggiamo tutti i testi spirituali, ne determinerà il valore spirituale o il danno che porteranno nella nostra vita.
Il dottore della legge risponde citando un passaggio di Deuteronomio 6: 4-5 “Ascolta, Oh Israele!” che, fino ai giorni nostri, è la preghiera dell’ebreo osservante, come quella dei cristiani è il “Padre Nostro”. E cita anche Levitico 19: 18, “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Gesù approva le citazioni del dottore e dice: “Hai risposto correttamente. Fai questo e vivrai“.
Luca nota che il dottore della legge chiede “dal momento che voleva giustificare se stesso”, “chi è il mio vicino?” e Gesù racconta la parabola del buon samaritano. È interessante che i samaritani siano visti come al di là di ogni speranza di vita eterna, dal momento che avevano contaminato l’ebraismo con credenze e pratiche pagane, viste come mancanti, eretiche ed empie. Gesù sceglie deliberatamente un gruppo minoritario, sospetto e praticamente dannato per mostrarci cosa Dio si aspetta da noi.
Credo che, se Gesù raccontasse questa parabola negli Stati Uniti di oggi, sarebbe la storia del buon frocio. Non c’è bisogno di elaborare ulteriormente il buon samaritano per farlo diventare il buon frocio, ma non ce n’è bisogno, perché è già stato fatto prima, per esempio da Richard Cleaver, nell’introduzione del suo libro “Know My Name“. Qui riassumo quello che dice: Cleaver immagina un moderno viaggiatore che sta andando da Gerusalemme a Gerico, attaccato da borseggiatori e lasciato per morto in un rigagnolo.
Passa un vescovo nella sua cadillac, donatagli da un venditore di auto, uno dei più generosi finanziatori della diocesi. Vedendo il corpo mezzo morto a lato della strada, la prima cosa cui pensa è che sia un mucchio di rifiuti. Realizzando poi che si tratta di un corpo umano, pensa di fermarsi, ma decide diversamente: vede che è nudo e ha paura che mettersi un uomo nudo in macchina causerebbe uno scandalo. Così passa oltre, consolandosi con l’idea che questo tipo di servizi sociali è meglio lasciarli ai professionisti.
Quindi un altro viaggiatore passa lì vicino, un eminente laico cattolico. Anch’egli pensa di aiutare l’uomo sul ciglio della strada, ma poi ne considera le implicazioni. Se l’uomo fosse già morto, sarebbe troppo tardi per aiutarlo e lui si troverebbe invischiato in infinite lungaggini burocratiche. Se non lo fosse ancora e si riprendesse, ci sarebbe il pericolo che potesse trovare una ragione per citarlo in giudizio per un eventuale incidente capitatogli sulla strada per l’ospedale. Ci sarebbe stato anche il problema della nudità dell’uomo: che fine hanno fatto i suoi vestiti? La conclusione più logica è che, visto il suo stato, non si tratta di un uomo buono, o deve aver fatto qualcosa per attirarsi la sfortuna. Così, anche lui, se ne va per la sua strada.
Quindi è la volta di un terzo viaggiatore, un gay che ritorna a casa dal suo ufficio a Gerusalemme, dal quale è stato licenziato, perché qualcuno ha scoperto la sua omosessualità, dopo che il suo compagno è stato picchiato a morte in una spedizione punitiva contro i gay. Quando vede l’uomo ferito, immediatamente si ferma e si ricorda del pestaggio e della morte del suo amato. Capendo che è vivo per il rotto della cuffia, lo carica in macchina e giuda fino all’ospedale più vicino.
“Più tardi i giornali vengono a conoscenza della notizia e vanno a intervistarlo. Il vescovo indice una conferenza stampa, nella quale annuncia che la diocesi darà il premio “Buon Samaritano” a chi ha aiutato la vittima della rapina che egli stesso aveva oltrepassato guidando.
Alla cena della premiazione, tenutasi nel palazzo vescovile, il vescovo, in piedi con il braccio intorno al buon samaritano, tiene una breve omelia sul mostrare misericordia al prossimo in difficoltà. Questo comportamento, conclude, mostra un vero spirito cristiano. Poi si rivolge all’uomo e gli stringe la mano dicendogli: “Dio ti benedica abbondantemente per questo“.
“Oh, non l’ho fatto per motivi religiosi. Mi è solo sembrata la cosa più umana da fare. Non sono più andato in chiesa da quando il mio parroco ha rifiutato di assolvermi dopo che gli avevo confessato di essere innamorato del ragazzo dai capelli rossi che era il capitano della mia squadra di calcio” dice l’uomo sorridendo ai fotografi. Il vescovo intanto cercava di immaginare come districarsi con la domanda che sarebbe venuta dopo (Cleaver, Richard: Know My Name: A Gay Liberation Theology)
Testo originale: The Parable of the Good Faggot