La rivelazione. Scoprire di essere innamorata di una persona gay
Riflessioni di Marta*, semplicemente una madre
In quel periodo avevo deciso, dentro di me, che ce l’avrei fatta. Non sarebbe trascorsa un’altra estate inutilmente. E mi sarei avviata verso l’autunno in giusta compagnia. Si trattava solo di starci dietro, di avvolgerlo il più possibile con la mia disponibilità, con la mia amicizia, con il mio calore.
Non avrebbe potuto resistere ancora per molto. Mi sentivo vicino alla meta. Era troppo evidente la sua gioia, i suoi sorrisi, quando eravamo assieme, perché potessi sbagliarmi. Anche Paolo mi voleva bene, lo sapevo. Ne ero certa. Una volta, ricordo, per salutarlo lo baciai sulla guancia. Un bacio chiaro, non dubitabile. E appena mi scostai da lui, lessi nei suoi occhi lo scoramento. Lo confusi per timidezza. Lo confusi. Come era possibile stare così bene assieme, e … e poi basta?
Il dubbio iniziò troppo tardi.
Ero da lui, con i miei figli. Avevamo trascorso un bel pomeriggio, con Paolo e altri suoi amici. Sul tardi, vedendo che non facevo cenno ad andarmene, mi chiese fino a che ora mi sarei fermata. Strana domanda, pensai. Ma lo rassicurai che me ne sarei andata dopo poco, prima di cena. Solo che, di discorso in discorso, il tempo passò. Eravamo tutti fermi in cortile, nelle ultime chiacchiere.
Arrivò una macchina. Parcheggiò. Ne scese un ragazzo che non avevo mai visto. Eppure di amici suoi ne conoscevo ormai tanti! Sorrideva, ed aveva in mano una piccola borsa, come di chi si porta il necessario per fermarsi a dormire. Mi presentò Fabio. Ma la voce di Paolo era cambiata. Del tutto cambiata. C’era un tremolio che non avevo mai colto prima. Era un misto di imbarazzo e di gioia. Anche le guance gli si arrossarono, quando mi presentò Fabio. Era alto, Fabio, alto, troppo alto per me, per riuscire a guardarlo negli occhi, se non si chinava.
Ci fu imbarazzo da entrambe le parti. E un po’ di curiosa attesa degli eventi da parte di Antonio, l’amico che a Paolo era molto caro, e che viveva lì vicino, assieme alla moglie.
Compresi nei mesi successivi che significato avesse quella strana sensazione di venir osservata, mentre Paolo mi presentava Fabio.
Ma io mi sentivo tranquilla. Avevo appena avuto da Paolo la rassicurazione che nel fine settimana successivo sarebbe venuto via con me. Gliela avevo strappata, quella promessa. “Io parto in macchina giovedì mattina, ma tu raggiungimi venerdì pomeriggio, vengo a prenderti al treno. Dove dormo c’è tanto posto, e c’è posto anche per te. Siamo soli. Ho l’abitazione tutta per me. È un posto bellissimo, in mezzo alla campagna. E poi, il giorno dopo, sabato, finito quello che devo fare, torniamo su assieme. Avremo tutto il tempo per chiacchierare, tornando a casa”.
Il viaggio ci avrebbe portato attraverso le valli di Comacchio, che io non avevo mai visto, e magari ci saremmo spinti fino a qualche spiaggia, per un po’ di mare. Programma bellissimo! L’ideale per dare corpo al mio progetto. Sicuramente. Nessuno mi avrebbe fermato!
Così, dopo aver conosciuto Fabio, questo strano, alto ed imbarazzante amico di Paolo, tornai a casa, mettendo a tacere tutti i dubbi che mi si stavano affacciando, sentendo la voce di Paolo cambiare, e il suo imbarazzo, che non aveva alcun senso, ai miei occhi, occhi ciechi, occhi innamorati.
Paolo mi chiamò giovedì sera, quando ero già dove mi avrebbe dovuto raggiungere. “Non vengo domani pomeriggio”, mi disse, e prima di ascoltare la mia delusione, precisò: “Ma vengo sabato mattina, e poi torniamo assieme, come mi hai proposto.”
Non era la stessa cosa. Sfumava la notte. L’obiettivo si allontanava. Pazienza. Avrei giocato al meglio le poche carte che mi rimanevano in mano. In fin dei conti anche tutto il pomeriggio era un tempo buono perché accadessero i sogni.
Il sabato mattina interruppi la presenza dove dovevo essere, e all’orario concordato andai a prenderlo alla stazione dei treni più vicina. Venne con me, si fermò con me. Mi aspettò per il resto del tempo, fino a quando mi liberai dagli impegni. E poi … via! Verso il sogno. Verso il mio sogno!
Raggiungemmo Ferrara. Faceva un caldo incredibile. Passeggiammo un po’. Poi ci fermammo a mangiare qualcosa. E di chiacchiera in chiacchiera, di sorriso in sorriso, ripartimmo. Verso il mare.
Incominciò lui. Mi disse: “Tu ti chiedi perché tra di noi non sia mai accaduto nulla di particolare”. “Sì”, lo incoraggiai, “me lo chiedo, e sarebbe bene parlarne.”. “Ecco, vediamo se riesco a dirlo in modo semplice, poi magari ci ragioniamo …”, mi disse, e gli occhi gli brillavano vivi, incorniciati dal chiaro della pelle, dal nero dei capelli, e resi più vivi dal rosso delle labbra, dal bianco dei denti, appena appena percettibili, attraverso il suo sorriso.
Io lo guardavo incantata. Godevo di quell’immagine di lui, e della sua voce, mentre guidava la mia macchina, e si girava a guardarmi negli occhi, per parlarmi.
Finalmente avevamo ancora ore ed ore davanti a noi, da vivere liberamente assieme, e tutte per noi. Forse, questa volta, prima di sera, io sarei riuscita almeno a baciarlo. Questo io pensavo.
“Vediamo se riesco a spiegarmi …” disse Paolo, e tutto d’un fiato sgranò le sei parole che stavano cambiando per sempre la mia vita.
Colsi appena un tremito nella sua voce, e colsi soprattutto il sorriso che amavo, da sempre, ormai, amavo.
“Io mi sento attratto dagli uomini”, disse, versando velocemente quelle cocenti parole acuminate tra i nostri discorsi.
Ci fu un prima, e ci fu un dopo. Rimasi con il sorriso sospeso, come se non mi ricordassi più il gesto per spegnerlo.
“Sei omosessuale?”, gli chiesi, dopo lunghissimi minuti di silenzio, nei quali l’urlo dentro di me si faceva sempre più forte, ed impossibile da far uscire. Parlai più per smettere di sorridere, che altro. E con le parole cercavo conferme a quanto già un poco sapevo, ma non volevo ancora crederci.
“E’ una parola che non mi piace”, disse Paolo, “Non spiega bene la faccenda. Preferisco dire omorientato”. “Be’, non cambia molto”, provai a rispondergli. Avrei voluto picchiarlo. O forse avrei dovuto?
Mi si fece luce sugli ultimi avvenimenti. Ripensai a Fabio, e alla voce tremolante di Paolo, al suo apparire. “E adesso hai un compagno?” gli chiesi, sfidando la sua sincerità.
“Si”, Rispose, quasi timoroso, in prudente attesa di quello che io stava capendo.
“Lui chi è? Fabio?” gli chiesi, forse ancora un po’ incredula.
“Si”, rispose Paolo, nel silenzio che era improvvisamente calato.
Dopo un tempo che ricordo lunghissimo, capii che era necessario, per quanto doloroso, continuare il discorso. “Lo immaginavo”, risposi. “E questo è l’unico motivo che accetto, l’unico che non mi ferisce, rispetto alla domanda che mi sono sempre fatta del “perché” non accada nulla tra noi.”
Paolo intanto aveva iniziato a spiegare, a parlare fiumi di parole. Quelle parole che solo due anni prima sarebbero state tempestive, e adesso, invece, apparivano terribilmente in ritardo.
Io non capiva molto di quelle parole, ma sapevo che erano finalmente vere, e sapevo anche che ci sarebbe stato tutto il tempo che serviva, negli anni a venire, per capire, per rielaborare.
Adesso sentivo dentro di me solo due sensazioni inconciliabili: la gioia perché il mio amato era capace di amare, ed era innamorato, e il fragore dei miei sogni in frantumi, così assordante che non riuscivo neppure a cogliere la portata di quel fragore immenso, precipitato improvvisamente nella mia vita.
Nessuno dei sogni che avevo fatto si sarebbe realizzato. Nessuno.
Davanti a me i giorni si distendevano ormai bianchi, freddi, vuoti, tutti da re-inventare.
Ma adesso non avevo neppure la forza di pensarci.
Domani, forse, domani.
C’era il sole che scaldava le valli di Comacchio, fuori dal finestrino dell’auto.
Scorrevano verdi ed acquose, bagnate, più che altro. Fredde e bagnate.
* Conosco Gionata.org ormai da anni. È stato il luogo che più ho frequentato in internet per cercare di capire un’altra vicenda fondamentale nella mia vita. Qui ho conosciuto persone molto belle. E ho avuto modo di conoscere di persona anche i webmaster.
Giorni fa, parlando con Innocenzo, gli ho detto che mi piacerebbe scrivere di queste mie vicende su Gionata, ma che non so neppure da dove cominciare, tanto è un groviglio, che non è facile dipanare.
“Fallo a puntate”, mi ha risposto. E allora, se volete, questa può essere una puntata, un po’ diario, un po’ ricordo. Un racconto in itinere. Che un po’ va avanti, e un po’ torna indietro, per cercare di capire, e trovare il filo di una vicenda normale, perché normale è innamorarsi e amare, anche se l’orientamento non è quello normalmente considerato normale. Non ho idea di come andrà a finire, perché si sta ancora svolgendo. E io non ho ancora compreso tutto. Anzi, a volte mi pare di non aver capito niente.