Il nostro Stonewall cattolico. Per una chiesa aperta a noi e ai nostri figli
Riflessioni della teologa Mary E. Hunt* lette al convegno del CPCSM (Comitato Pastorale Cattolico sulle Minoranze Sessuali), Minneapolis (Stati Uniti), 17 febbraio 2006, liberamente tradotte da Laura C.
Il termine “Kyriarchia”** è da aggiungere al nostro vocabolario. Se ricordate il “kyrie eleison” vi ricorderete che “Kyrie” è la parola greca per “signore”. Kyriarchia significa strutture di dominio. La teologa Elisabeth Schlüssler Fiorenza ha coniato la parola per allontanarci dalla semplice visione del mondo suggerita da termini di genere come “patriarchia” o “rule by the fathers” (governato dai padri).
Se il sessismo è un problema, come possiamo attestare dalla nostra esperienza personale nella Chiesa Cattolica, esso difficilmente esiste senza il razzismo, suo compagno, che a sua volta difficilmente si riscontra dove non c’è oppressione economica, la quale va di pari passo con l’imperialismo e il colonialismo, e presenta come costante l’eterosessismo.
Sono tali forme di oppressione ad essere strutturalmente intrecciate tra di loro e poi usate come fondamenti ideologici per le istituzioni culturali che costituiscono la kyriarchia. La chiesa Cattolica Romana istituzionale è uno degli esempi più espliciti di kyriarchia: è un modello gerarchico con un piccolo gruppo di uomini che prendono la maggior parte delle decisioni. Le donne sono virtualmente escluse.
Prevalgono gli uomini occidentali; le persone di colore si trovano raramente in posizioni di potere a livello internazionale o in posti dove predominano i bianchi. A partire dal Concilio Vaticano II c’è stato uno sforzo studiato da parte dei cattolici progressisti affinché la chiesa cambiasse tale modello e seguisse le linee guida del Concilio verso approcci più aperti, partecipativi ed egalitari.
Ma Giovanni Paolo II prima e il cardinale Ratzinger poi, insieme ad altre potenti figure vaticane, comprendendo che tali mosse avrebbero avuto come risultato una diminuzione del proprio potere e molti cambiamenti nella vita della chiesa, cominciarono a fare marcia indietro; insistendo sul fatto che le porte e le finestre aperte dal Concilio fossero di fatto state aperte solo a un livello sperimentale che non doveva essere inteso come permanente, hanno cominciato a dichiarare che era tempo di chiuderle e di tornare a lavorare come sempre.
L’opposizione ai loro sforzi viene da quelli di noi che appartengono al movimento delle donne nella chiesa, ai circoli di riforma ecclesiale, e alle comunità progressiste come questa, che cerca di agire come in un’ecclesia, non una kyriarchia. Un’ecclesia è un congresso o un’assemblea, la comunità di coloro che vogliono diventare “discepoli di eguali”, per usare un’espressione felice di Elisabeth Schlüsser Fiorenza.
Ci organizziamo e ci rendiamo responsabili secondo i modelli partecipativi che ci sembra funzionino meglio per noi. Così alla vecchia scusa che “la chiesa non è una democrazia” molte persone rispondono che “dovrebbe esserlo, e la renderemo tale”. O, per meglio dire, la kyrirchia non è democratica ma l’ecclesia lo è.
Questa lotta tra quelli che vogliono una chiesa aperta e partecipativa in cui tutto sarebbe piuttosto diverso e coloro, incluso l’attuale papa Benedetto XVI e altri conservatori, che credono che una chiesa più piccola e più omogenea sarebbe migliore – quello che sono arrivata a pensare della loro linea “di meno e più cattivi” – è una battaglia che forma il contesto o lo sfondo per la maggior parte della nostra esperienza contemporanea di chiesa.
Non citerò la pedofilia dei preti e gli scandali della copertura dei vescovi perché ne avete avuto di recente una lettura da parte di Gary Schoener, che, sono sicuro, ha ben trattato l’argomento. Ma lasciatemi osservare che queste ingiustizie indicibili hanno portato la natura kyriarcale della chiesa all’attenzione del mondo.
Se l’abuso sessuale è un problema primario che l’intera comunità deve affrontare, conoscere e prevenire, oltre ad assicurare la giustizia per le vittime e la condanna per i colpevoli, le coperture sono quello che lascia l’impressione duratura che qualcosa sia radicalmente sbagliato nel sistema.
È il sistema quello di cui voglio occuparmi questa sera, non i casi individuali, ciascuno dei quali è deplorevole. […] la linea chiara e coerente della politica episcopale, ovvero la scelta dei vescovi di tenere nascoste tali informazioni alla polizia, trasferendo preti colpevoli da una diocesi all’altra sguinzagliando, negli ambiti più vulnerabili di una comunità che non sospetta niente, persone la cui competenza professionale e ministeriale era al di sotto dello standard, rivela tre problemi fondamentali:
1) i vescovi godono di un potere illimitato che francamente nessuno ha la competenza di controllare; 2) sono state prese delle decisioni che favoriscono il clero come clero anziché dare la priorità al servizio e al benessere dei fedeli, specialmente dei giovani; 3) poco è cambiato nonostante la portata del problema.
… Le dinamiche delle prese di decisione gerarchiche da parte del vertice, il privilegio clericale e la resistenza efficace alle pressioni per il cambiamento sono evidenti in merito a molti altri temi. Pensiamo all’omosessualità, ad esempio.
Il recente pronunciamento contro i seminaristi gay è uno sforzo per collegare l’attività criminale dei preti pedofili all’omosessualità e per distrarre dal comportamento reprensibile dei vescovi che ne hanno coperto la condotta sbagliata.
Questa è una mossa assurda da parte del Vaticano; l’omosessualità non ha nessuna relazione con l’abuso sessuale dei bambini. Da notare di nuovo queste tre dinamiche:
(1) Il Vaticano ha la pretesa di pronunciarsi su qualcosa che la comunità nel suo insieme non approva, la leadership gerarchica nel suo aspetto peggiore. Mi unirei a loro negli sforzi per sradicare l’eterosessismo, il vero problema in questione, ma questo non avviene e stanno semplicemente muovendo i loro muscoli stanchi, questa volta invano.
(2) Il Vaticano si concentra sui seminaristi, mancando ancora una colta il bersaglio a causa della miopia del clericalismo. La maggior parte dei ministri cattolici oggi non sono ordinati; l’ottanta percento sono laici e l’ottanta percento di essi è donna. Così anche come metodo per risolvere il problema della cattiva condotta sessuale, cacciare un po’ di seminaristi gay è un approccio inefficacie.
Un buon inizio potrebbe essere dotare tutti quelli che lavorano nelle nostre chiese di una formazione sui legami professionali e sulle condotte interpersonali appropriate come quella offerta dal Seattle – based – Faith Trust Institute.
Il problema non è l’orientamento sessuale dei seminaristi, ma l’accoglienza, l’educazione e la formazione che la nostra comunità offre a tutti quelli che vogliono diventare ministri non solo alla piccola percentuale che sarà poi ordinata. Diventa sempre più chiaro quindi che il clericalismo, oltre ad essere offensivo, è anche pericoloso.
(3) La resistenza al cambiamento, infine. Per quanto tempo ancora, o Dio, dovremo elencare gli stessi argomenti tratti dalla legge naturale che sono stati sollevati nel documento contro i seminaristi gay secondo i quali gli uomini gay non possono avere giuste relazioni affettive con nessuno – per favore!
Ora c’è anche la prima enciclica del papa attuale a non ispirare fiducia. La seconda parte di essa, in effetti, è stata riciclata dal suo predecessore. Ma la prima parte dà l’impressione di un seminario accademico sull’amore relativamente benigno, fino a quando non ci rendiamo conto che si tratta dell’amore eterosessuale.
Secondo il tipico approccio ratzingeriano (generico richiamo sulla base della legge naturale, spiegazione teo – etica, adempimento della politica pubblica), la Deus Caritas Est pone le basi filosofiche e teologiche per lo status quo etico e fornisce le basi logiche per i pronunciamenti della politica pubblica contro il matrimonio omosessuale, il divorzio, i secondi matrimoni e simili. Dio, dopo tutto, è amore, e solo un amore monogamo, impegnato, aperto alla procreazione può andare bene a Dio. A riguardo dico che l’esperienza umana ammette per fortuna molte più varietà, cosa positiva.
Allora come portare questa Buona Novella sulla stampa e nelle chiese?
Chiamo questo movimento il nostro Stonewall. Lo Stonewall era un bar gay a New York dove nel 1969 i clienti hanno opposto resistenza all’arresto durante uno dei regolari raid della polizia omofoba. Invece di adattarsi al mobbing continuo che manteneva un “minuetto nevrotico” (una meravigliosa espressione del teologo John Fyre) tra la polizia e i padroni del bar, le persone gay, bisessuali e transgender coraggiose si ribellarono, parlarono chiaro e resistettero. Probabilmente sorpresero anche se stessi per la forza della loro giusta indignazione.
Credo che i Cattolici dovrebbero rispondere nello stesso modo all’ultimo atto oppressivo del Vaticano nei confronti dei seminaristi. Dopo decenni in cui il Vaticano ha messo in atto un sistema che toglie autorità alle comunità locali e pretende di imporre il proprio volere ai cattolici che non possono pensare per se stessi, è tempo per i cattolici di ribellarsi, parlare chiaro e resistere, non solo sull’istanza della sessualità e della riproduzione, ma anche sulla guerra, l’ecologia, il razzismo, la povertà e i molte questioni sulla giustizia in merito alle quali la kyriarchia ha poca credibilità per parlare.
È ormai dimostrato che i cattolici americani non supportano molte delle linee di mentalità chiusa della nostra chiesa.
In opposizione alle convinzioni della gerarchia maschile secondo le quali ordinare sacerdoti donne sarebbe un tradimento teologico, più del 60 percento dei cattolici americani, secondo il più recente sondaggio Zogby/LeMoyne, dicono che appoggerebbero le donne nel sacerdozio.
Un altro sondaggio, condotto dal Boston Globe nell’arcidiocesi di Boston – dove l’ incidenza degli abusi sessuali da parte dei preti è stata tra le peggiori – riporta che quasi il 60 percento dei cattolici si oppone alla messa al bando dei preti gay.
Si consideri questo insieme alla chiara mancanza di attenzione dei cattolici americani nei confronti dei punti di vista medievali della chiesa sul matrimonio, il divorzio e il controllo delle nascite, e il numero sempre più grande di cattolici che ritengono l’aborto moralmente accettabile in determinate circostanze.
Diventa ovvio che ci troviamo in una chiesa che tratta dei nostri problemi quotidiani dicendo cose che non hanno significato, e che non ha autorevolezza neanche sui temi della guerra, del razzismo, dell’ingiustizia economica o della distruzione ecologica.
Il Vaticano, nella sua camera d’eco patriarcale, continua a ritrarre i valori occidentali come parte della moralità decadente di una società secolarizzata. Ciò facendo la chiesa istituzionale tratta milioni di fedeli cattolici in America non come adulti spirituali, ma come eterni adolescenti bisognosi di una guida dall’alto.
È arrivato il momento per noi cattolici americani di reclamare la nostra cittadinanza battesimale e di chiedere pubblicamente dei cambiamenti nelle politiche ecclesiali sulla sessualità, l’ordinazione, le relazioni e i ministeri. Considerando l’enorme influenza economica e politica della chiesa americana, se i cattolici in questo paese si opponessero davvero ai propri vescovi, a voce alta e numerosi, il Vaticano non avrebbe altra scelta che ascoltare.
C’è una prova crescente che, nonostante i tentativi di dissimulazione da parte della gerarchia, i cattolici americani si rifiutano di lasciare che la chiesa tratti i preti gay, il femminismo e la modernità come capri espiatori della teologia fuori moda del Vaticano.
La Conferenza dei Superiori maggiori degli ordini maschili negli Stati Uniti (Conference of Major Superior of Men), ad esempio, formata dai leader degli ordini religiosi maschili, ha annunciato di voler mandare delle delegazioni a Roma per opporsi alla linea anti-gay.
In una risposta ad un regime Vaticano inflessibile, il superiore dei gesuiti della Provincia di New York, Fr. Gerald J. Chojnacki, ha scritto: “sappiamo che gli uomini gay … hanno servito bene la chiesa come preti – e quindi perché dovrebbe esserci chiesto di fare delle discriminazioni solo in base all’orientamento contro coloro che Dio ha chiamato e invitato?” .
La stessa cosa si potrebbe chiedere in merito alle donne e agli uomini sposati.
Scelte da affrontare
Il movimento di Stonewall a cui siamo di fronte non è soltanto in materia di sessualità. Questa, piuttosto, in tutta la sua grazia, apre la comunità ad alcune scelte nuove. L’alternativa non è quella di lottare infinitamente sui temi sbagliati – l’omosessualità anziché l’eterosessismo, l’ordinazione delle donne invece che i nuovi modelli di ministero, il potere anziché la cooperazione.
Altri gruppi religiosi sono arrivati a questo tipo di momento storico in cui prevalgono le differenze apparentemente inconciliabili. I protestanti hanno una lunga ed orgogliosa storia di formazione di nuove denominazioni e noi possiamo imparare da loro. Gli ebrei hanno pensato a come raggrupparsi secondo le proprie credenze e pratiche in ortodossi, conservatori, riformati e ricostruzionisti rimanendo tutti ebrei. Potremmo imparare anche da loro.
I cattolici, invece, lottano per mantenersi all’interno di un’unica organizzazione, obiettivo che potrebbe rivelarsi questa volta al di là delle nostre capacità. Abbiamo sì la Chiesa Vetero-cattolica, e la Chiesa Cattolica Americana, e numerosi altri gruppi che riconoscono la loro connessione con la comunità cattolica senza voler affermare i loro legami con Roma. Capisco il loro ragionamento.
Ma penso che il potere del Vaticano – le sue risorse finanziarie, il suo vantaggio in materia di comunicazione, oltre al suo capitale simbolico – sia molto poco intaccato da gruppi simili, che spazza via come apostati o superficiali.
Ritengo che ci sia un bisogno di cambiamento strutturale che implica la “rivendicazione del centro”, come la femminista Bell Hooks ha descritto l’obiettivo degli emarginati.
Il movimento dal margine al centro non significa sostituire un papa con un altro, una curia con un’altra; implica piuttosto un ripensamento del centro in modo che i molti che ora sono ai margini siano presi più sul serio, e l’intera configurazione della chiesa cambi da un modello gerarchico a uno invece paritario costituito da comunità interdipendenti.
Un’utopia, potrete pensare, ma lasciateci prendere in considerazione questa possibilità, prima di capitolare di fronte alle forze attuali lasciateci immaginare e dilettarci all’idea dell’energia che tali cambiamenti potrebbero sprigionare. Nel laboratorio di idee del futuro avremo molto concretamente a che fare con le strategie.
Un approccio femminista cattolico
[Nello stesso tempo] penso che sia un valore mantenere i legami con la nostra tradizione, rivendicando che quello che siamo e quello in cui crediamo è centrale per la vita ed il benessere della comunità. Questo è ciò che hanno fatto le teologhe femministe; invece di lasciare la chiesa ci proclamiamo chiesa, invece che lottare con la kyriarchia cerchiamo di creare l’ecclesia. Penso che mettere in pratica questi propositi sia difficile, ma penso anche che l’integrità spirituale ci richieda di fare quello che possiamo.
Altrimenti opteremmo per l’approccio protestante, o per il modello ebraico, che sembra funzionare bene per noi. Come cattolica voglio continuare a provare senza sacrificare la mia integrità.
Un giorno forse mi renderò conto che stavo sbagliando, ma per ora suggerisco di fare affidamento sui punti di riferimento tradizionali della chiesa, che è una, santa, cattolica e apostolica per tracciare alcuni parametri della chiesa che vogliamo condividere con i nostri figli oggi così come quando loro celebreranno in memoria di noi.
1) Una. L’unità è a volte sopravvalutata, penso. Quando si realizza a costo della conformità, la violazione della coscienza di qualcuno, l’offesa dello spirito, penso che non ne valga la pena. Ad esempio, non vado a Messa regolarmente, sicuramente non sostengo finanziariamente la parrocchia, sapendo che sarò offesa dal linguaggio esclusivo, respinta da una parte delle immagini usate, e mi verrà fatta ricordare l’esclusione delle donne dalla leadership sacerdotale, tutto questo prima del sermone.
Ma penso che ci siano molti modi di essere cattolici, inclusa la comunità di base femminile (SAS, Sister Against Sexism) dove sono andata a Messa e ho trovato sostegno per più di trent’anni. L’“unità”, quindi, non deve assomigliare al nostro modi di essere cattolici. La nostra unità è nella nostra intenzione e nel nostro tentativo di essere in comunione gli uni con gli altri.
In un tempo in cui, inoltre, il pluralismo religioso è un fenomeno diffuso come non lo è mai stato in questo paese, dove ci sono più musulmani che presbiteriani, le istanze che ci dividono come cattolici sono insignificanti, data la nostra uguaglianza culturale e spirituale, in confronto con le vere sfide di oggi: ad esempio comprendere come prega un musulmano, cosa crede un indù e questioni simili, che sono la materia dell’emozionante lavoro interreligioso che ci sta di fronte. Nello stesso tempo mi trovo più in comunione con gli ebrei progressisti e i musulmani che con i fondamentalisti cristiani, compresi i fondamentalisti cattolici.
Quelle che erano le vie diritte della tradizione e della denominazione sono ora linee che si incrociano nella vita di tutti i giorni. Vedo tutto questo come un regalo della sapienza, della Sofia – che ci spinge verso un’unità spirituale che possiamo solo immaginare ma che il nostro fragile pianeta richiede per il nostro bene comune.
(2) Santa. Cosa c’è di santo in tutto questo? È facile perdere traccia della vocazione alla santità che è parte della consapevolezza religiosa quando le trappole della kyriarchia ci confondono così tanto. Il funerale del papa l’anno scorso e il conclave che ne è seguito mi hanno lasciato con un profondo senso di disperazione. Le donne, infatti, erano confinate ai margini nei loro veli tanto che un osservatore casuale avrebbe pensato che questa sia una religione che accetta solo uomini, solo chierici.
La natura tutta maschile del conclave sembrava andare persa nei media. Una suora francescana mi ha fatto notare che “quando quelli che sono al potere pensano di essere guidati dallo Spirito Santo, dobbiamo vedere se ci sono delle piume bianche fuori dalla porta, un segno sicuro che lo Spirito ha sbattuto le ali contro i vetri ma non ce l’ha fatta ad entrare”.
Ho visto un mucchio di piume bianche fuori dalle porte chiuse a chiave della Cappella Sistina, un bel mucchio, dopo che il conclave era finito ed era stato eletto un nuovo papa. Il conclave è stato un processo privo di un input da parte delle donne, dei laici, dei bambini, non-democratico ed elitario oltre ogni ragionevole limite.
Mi sono resa conto che l’unica cosa che avrebbe potuto salvare la scena penosa del Vaticano da quello che prevedo sarà un giudizio molto duro della storia sarebbe potuto essere che le porte si fossero aperte e una donna africana malata di AIDS con il suo bambino in braccio fosse uscita dal balcone proclamando l’amore di Dio per tutta la creazione.
Che simbolo di unità sarebbe stata. Dietro di lei avremmo visto i cardinali uscire fuori in punta di piedi, togliendosi i loro vestiti estrosi mentre se ne andavano. Le loro teste sarebbero state piegate mentre cercavano di mischiarsi nella folla per paura che qualcuno li notasse e si rendesse conto che erano stati coinvolti in un processo scandaloso in cui avevano clonato se stessi per creare un’altra persona di potere invece di innalzare qualcuno, questa donna, come segno di unità.
Allora e solo allora sarebbe stata chiara la presenza dello Spirito Santo – le sue ali che sbattevano libere, le sue piume intatte. Le nostre lacrime di gioia per un miracolo simile avrebbero purificato questo mondo. Nella scena che immagino, poi, ci sarebbe stata una Chiesa Cattolica degna di questo nome. Piango il fallimento dell’immaginazione religiosa più di ogni altra cosa. È là che si trova la santità, nella nostra immaginazione collettiva, è là che troviamo le risorse per fare nuove tutte le cose.
(3) Cattolica. La parola “cattolico” assume quindi nel nostro tempo un nuovo significato. Non voglio dire che rinunciamo, che cediamo il titolo ad altri. Penso piuttosto che abbiamo bisogno di insistere sul fatto che, proprio come ci è stato insegnato, “cattolico” vuol dire “universale”, possiamo imparare che “cattolico” arriva in molte forme.
La pena di morte, ad esempio, è un argomento su cui c’è una grande diversità di opinioni tra i cattolici americani impegnati. È quindi possibile, lo ritengo sconsiderato ma devo ancora ammettere che c’è un modo cattolico di pensare riguardo alla pena di morte che include la risposta affermativa. Non voglio condividere questa visione delle cose ma sono sicura che quelli che la sostengono lo fanno da cattolici.
Oppure i giudici cattolici che la comminano lo fanno senza rischio per la propria fede, anche se mi auguro che sia altrimenti. Immaginiamo lo stesso tipo di pensiero sull’aborto o l’omosessualità o su un numero di argomenti riguardo ai quali abbiamo un’ampia varietà di punti di vista. Credo che il cattolicesimo non sia un accordo inflessibile sulle questioni quanto piuttosto un impegno per fare giustizia e tornare ogni volta alla tavola dell’ecclesia per rendere grazie con pane e vino, per acquistare forza, e per unirsi in carità con i compagni che condividono lo stesso impegno.
(4) Apostolica. La dimensione apostolica dell’ecclesia è a un tempo la più conflittuale e la più ovvia. Da un lato, il tema della successione apostolica nel presbiterio, la questione sul lignaggio papale rasenta la condizione di feticcio teologico. I feticci teologici vengono da una visione del mondo in cui era in voga il biologico piuttosto che il simbolico.
Tale quantificazione biologica – la mano che ha toccato le mani che hanno toccato le mani – è imbarazzante a livello intellettuale ma ancora molto viva e in buona salute presso i circoli kyriarcali. Dall’altro lato, lo spirito apostolico che ha infuso la nostra tradizione dall’inizio resta vivo e in buona salute nelle ecclesie.
Noi vogliamo servire; vogliamo condividere; vogliamo spezzare il pane e bere il vino in memoria di lui e di lei, e un giorno lo stesso sarà fatto in memoria di noi. In questo consiste Cattolicesimo apostolico. Vale la pena condividerlo.
Come possiamo far accadere questo mandando o senza mandare tutto all’aria?
Proponiamo che il banco salti. Proprio come per le donne cattoliche, le lesbiche, i gay, bisex e trans (LGBT) cattolici, i divorziati e le persone risposate, gli ex preti, i giovani che lottano con il problema di come essere fedeli nel XXI secolo. Non dobbiamo preoccuparci quindi di far saltare il banco; è già successo.
Il problema è invece come condividerlo con chi lo tiene. La domanda della condivisione è complicata – chi stabilisce cosa è cattolico, ci sono dei limiti, si può essere buddista e cattolico allo stesso tempo?
Ma le domande dell’appartenenza sono ancora più difficili – chi decide cosa può succedere alla proprietà cattolica, chi paga il conto quando il cattolicesimo corporativo va in fallimento, e, ancora più dolorosamente, chi è ammesso alla mensa quando si svolgono le celebrazioni? Ritengo che queste siano alcune delle istanze a cui dobbiamo dedicare le nostre energie.
Chi sono i nostri alleati?
Facendo questo, prima di tutto guardo ai miei alleati, quelli che vogliono realizzare questa “dottrina degli eguali” nella nostra vita, non solamente per i nostri figli e nipoti. Alcuni alleati sono cattolici, e alcuni sono addirittura parte della kyriarchia, come il Vescovo Gumbleton e alcuni preti che rischiano il loro privilegio in favore dell’ecclesia. Molti di loro sono persone come noi, che torno a considerare come persone che vivono per la giustizia sociale, eterni ribelli per amore.
Alcuni alleati sono il più lontano possibile dal Cattolicesimo – cacciati o rimossi dal contesto kyriarcale, o che semplicemente hanno trovato in altre tradizioni la stessa aspirazione verso una comunità umana giusta e una presenza divina potente.
Francamente li accoglierei tutti senza distinzione, grata del fatto che l’ecclesia sia grande abbastanza per accogliere tutti quelli che arrivano e convinta che tale varietà rifletta le innumerevoli dimensioni del divino.
Conclusione
La mia analisi della situazione attuale, e la mia proposta di compiere un’operazione di chirurgia maggiore e non solo cosmetica nei confronti del modello kyriarcale della chiesa non è che un approccio.
Attendo la nostra discussione e il nostro workshop domani quando potremo affrontare concretamente alcuni dei temi che ho sollevato. Tale azione, forse più di tutto quello che ho detto, segnalerà il nostro impegno a portare avanti queste idee verso nuovi modi di essere chiesa. Allora potremo rendere grazie per il calore dello Spirito anche in una notte fredda.
* Mary E. Hunt è una la teologa femminista cattolica americana studiosa di etica.
** ”Kyriarchia” è un termine coniato da Elisabeth Schlüssler Fiorenza, letteralmente, strutture di dominio. Denota le forme interstrutturate di oppressione – genere, razza, classe, nazionalità, sessualità e simili – che accrescono le differenze e l’ingiustizia.
La parola kyriarchia è usata per distinguere il modello di chiesa gerarchico e clericale dalla più vasta comunità cattolica. Schlüssler Fiorenza include un’utile discussione del kyriocentrismo nel suo Wisdom Ways: Introducing Feminist Biblical Interpretation Maryknoll, NY: Orbis Books, 2001.
*** Nello stesso libro Elisabeth Schlüssler Fiorenza esplora l’“ecclesia delle donne”.
Testo originale: Our Catholic “Stonewall Moment”