Il coming out, un atto di santità per gli omosessuali
Testo del teologo David R. Weiss* tratto dal suo libro To the Tune of a Welcoming God: Lyrical Reflections on Sexuality, Spirituality, and the Wideness of God’s Welcome, Langdon Street Press, 2008, liberamente tradotto da Massimo
“Uscire dall’armadio”1 non è quasi mai qualcosa di scontato o facile da fare. E in genere è un processo che dura tutta la vita, perchè l’armadio continua a inseguirti e le aspettative della società provano a cancellarti di continuo. Il momento di fare “Coming Out” potrà perciò ripresentarsi di continuo. Quindi superare la fase del Coming Out non vuol dire lasciartelo alle spalle; vuol dire semplicemente aggiungere un’altra azione al repertorio di santità della tua vita, quella che io chiamo l’azione del Tener Fede.
Quando dico che il Coming Out è un atto di santità sto facendo una chiara affermazione teologica. Sto dicendo che, qualsiasi sia la presenza umana con la quale tu decida di fare Coming Out, c’è anche – e soprattutto – una presenza divina.
Che tu decida di rivelarti ad un amico o alla famiglia, ad un pastore o ad un insegnante, in realtà ti riveli in primo luogo davanti a Dio, perché hai il coraggio di essere nudo nel giardino senza vergogna.
Tener Fede, quindi, vuol dire relazionarsi agli altri in modo che, durante il coming out, questa presenza divina venga onorata. E’ qualcosa legato all’etica sessuale, e ha meno a che fare con le regole che con le relazioni. Tener fede alle regole non è un atto sacro, tener fede al tuo nome, al nome di Dio e al nome delle persone che ti circondano – questo è un atto sacro.
Il peccato esiste davvero. Che lo si spieghi in riferimento a una mancanza biblica o che lo si veda come eredità evolutiva della nostra salita che ci allontana da un più primitivo passato, inutile negare che dal momento della nostra nascita – o addirittura prima – siamo alla mercé di forze che ci piegano a compiere azioni che feriscono. Tener fede vuol dire quindi anche riconoscere la possibilità di fare un utilizzo sbagliato della nostra sessualità – ma soprattutto riconoscere la possibilità dei momenti di incarnazione che si svolgono attraverso di essa.
E dico “soprattutto” non per essere ingenuamente ottimista su questo punto, ma perchè quest’altro lato della medaglia, questa possibilità di incarnazione non è andata affatto perduta dentro di noi nel corso della nostra storia di fede. Abbiamo sentito, esplicitamente o implicitamente attraverso la scaltrezza di un silenzio che può rendere sordi, che la nostra sessualità può traviarci.
Ma quasi mai abbiamo sentito che essa può fare a gara con la grazia di Dio. E in assenza di questo messaggio, il meglio in cui abbiamo sperato è stata una sessualità obbediente alle regole – mentre risiedeva nei nostri corpi quella fame di grazia.
Quindi questo “soprattutto” merita proprio adesso la nostra attenzione: tener fede vuol dire imparare quello che c’è da sapere affinché la sessualità possa sbocciare nell’intimità e nell’incarnazione piuttosto che appassire nell’alienazione e nel dolore.
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1 Questa espressione deriva dalla frase inglese coming out of the closet (“uscire dal ripostiglio” o “uscire dal nascondiglio”, ma letteralmente “uscire dall’armadio a muro”), cioè “uscire allo scoperto”. In italiano le espressioni che più si avvicinano alla corrispondente anglofona sarebbero “uscir fuori”, “venir fuori”, “dichiararsi come gay” (Wikipedia.it).
* David Weiss è un teologo luterano americano impegnato a fare “teologia pubblica” attorno ai temi della sessualità, della giustizia, della diversità e della pace e per l’accoglienza delle persone gay, lesbiche, bisex e trans nelle comunità di fede. Scrive per numerosi quotidiani degli Stati Uniti.
David e sua moglie Margaret sono profondamente impegnati nella vita della loro congregazione, la St. Paul-Reformation Lutheran Church Saint Paul, (Minnesota, Stati Uniti). Il suo sito web è http://tothetune.wordpress.com
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Testo originale: Coming Out: An Act of Holiness