La Bibbia e l’omosessualità. Della condanna dell’idolatria e delle altre proibizioni
Brano tratto dal libro di Carolina del Río Mena*, ¿Quién soy yo para juzgar? Testimonios de homosexuales católicos, Editorial Uqbar, Santiago (Cile), pp.264-270, liberamente tradotto da Dino
Nell’Antico Testamento (AT) troviamo altri passaggi che condannano l’omosessualità che è necessario riesaminare. Oltre al citato testo di Sodoma, in precedenza spiegato, compaiono riferimenti ai “prostituti sacri”, ad esempio: “Non vi sarà alcuna donna dedita alla prostituzione sacra tra le figlie d’Israele, né vi sarà alcun uomo dedito alla prostituzione sacra tra i figli d’Israele. 19Non porterai nel tempio del Signore, tuo Dio, il dono di una prostituta né il salario di un cane, qualunque voto tu abbia fatto, poiché tutti e due sono abominio per il Signore, tuo Dio“. (Dt 23, 18-19).
Lo stesso atteggiamento contrario alla prostituzione delle pratiche del culto pagano si trova in altri testi come il primo libro dei Re e nel libro di Giobbe:
1R 14, 24: “Nel paese ci furono anche prostituti sacri. Commisero gli stessi atti abominevoli dei popoli che Yahvé aveva scacciato davanti agli israeliti“.
1R 15, 12: “Scacciò dal paese i prostituti sacri e allontanò tutti gli idoli fabbricati dai suoi predecessori“.
1R 22, 47: “Spazzò via dalla terra i prostituti sacri che erano rimasti nel paese al tempo di suo padre Asa“.
Gb 36, 14: “…la loro esistenza termina in piena gioventù e muoiono all’età degli ieroduli“.
I testi citati devono essere compresi, senza alcun dubbio, in un contesto di condanna all’idolatria e alla prostituzione, sia femminile che maschile, dei culti pagani. Le esplicite proibizioni del Levitico: “Non giacerai con un uomo come si fa con una donna: è un abominio” (Lv 18, 22) e “Se un uomo giace con un altro uomo, come si fa con una donna, entrambi commettono un abominio: devono morire, il loro sangue sopra di essi” (Lv 20, 13) devono ugualmente essere comprese nel contesto in cui sono espressi. Qual’è questo contesto?
Nel capitolo diciotto (del Levitico) l’agiografo sta facendo un elenco di tutti quei comportamenti abituali del mondo pagano a cui si trovano di fronte gli israeliti. L’elenco comprende il divieto di cedere un figlio per offrirlo in sacrificio a Moloc, di profanare il nome del Signore, il divieto di avere rapporti sessuali con animali, sia per gli uomini che per le donne. Infatti il capitolo inizia con queste parole: “Non farete come si fa nella terra d’Egitto, dove avete abitato, né farete come si fa nella terra di Canaan, dove siete giunti; non dovete seguire i loro costumi” (Lv 18,3).
Lo stesso avviene nel capitolo venti. Yahvé richiama l’attenzione di Mosè sulle pratiche dei pagani e sul loro culto a Moloc. Le loro pratiche di culto erano il punto nodale delle critiche di Yahvé. Nell’elenco delle pratiche immorali di tale culto torna ad insistere sulla proibizione del sacrificio umano, sulla prostituzione religiosa, sul coito di uomini e donne con animali, e vi si aggiungono anche proibizioni dell’incesto, di avere rapporti sessuali con la nuora o con la sorella o con la suocera.
La condanna degli atti omosessuali, allora, deve essere compresa nel contesto dell’idolatria che Yahvé sta condannando. Secondo Alexandre Awi si focalizza “nella sacralizzazione pagana della prostituzione maschile, occupandosi dell’omosessualità esercitata nei luoghi sacri durante i culti orgiastici… Che dire di tutto questo? – si domanda Awi – indubbiamente che la prostituzione è una cosa cattiva, sia con uomini che con donne. Tuttavia le condanne contenute in questi versetti, tradizionalmente interpretati come condanna esplicita degli atti omosessuali, si riferiscono piuttosto alla condanna della prostituzione idolatrica presente nei culti pagani delle religioni vicine ad Israele” (Awi M. Alexandre, “Que dice la Biblia sobri la homosexualidad?” en “Teologia y vida”, Santiago, 2001, vol.42, n.4, pp.377-398).
Altri autori arrivano a conclusioni simili. Perché allora insistiamo a citare questi passaggi biblici come condanne inequivocabili degli atti omosessuali? Quello che risulta chiaro nell’esegesi attuale è che tali versetti dell’Antico Testamento condannano la prostituzione maschile nei contesti di culto pagani, una realtà ormai estranea alla nostra cultura. Ed è proprio questa distanza culturale che ci richiede un maggior rigore al momento di interpretare i testi. E’ indispensabile conoscere il contesto, i costumi, i culti dell’epoca, ecc., per comprendere con la maggior certezza possibile a cosa si stanno riferendo gli agiografi nelle loro affermazioni. Testo e contesto non possono andare ognuno per conto proprio.
Awi, Farley, Mc Neill, Llinares e altri concordano sulla necessità di rivedere il contesto di questa proibizione e intraprendono un’analisi storico-culturale per cercare di ottenere una migliore e più completa comprensione dei testi. José Antonio Llinares afferma:
“Si tratta del ‘codice di santità’ degli Ebrei, che contiene le loro austere norme rituali del culto a Yahvé. In questo contesto si spiega bene la proibizione delle orge sacre dei Cananei, legate ai riti idolatrici della fertilità in onore di Astarté e di Baal. I Cananei erano convinti di avere parte attiva nel rifiorire primaverile dei campi grazie alla comunione vitale con i loro dei di entrambi i sessi, attraverso l’unione carnale con prostitute e prostituti ad essi consacrati nei loro templi. Per questo gli Ebrei davanti ai cui occhi stupiti si svolgevano queste feste rituali dei popoli vicini, spontaneamente associavano gli atti omosessuali alla più depravata idolatria. Bisogna tener conto dell’impronta storico-culturale della religione cananea della fertilità” (Llinares J. A., “La Iglesia y el homosexual segun John J. Mc Neill” in “Ciencia Tomista 351”, 1980, p.175).
Ora, se le proibizioni del Levitico sono un rifiuto del culto idolatrico col quale gli Ebrei convivono e non un rifiuto agli atti omosessuali in se stessi perché sono contrari alla natura e contravvengono alla volontà di Dio, non viene quindi ridimensionato il giudizio morale nei confronti dell’omosessualità che è contenuto in queste proibizioni? Non assume maggior rilievo la condanna dell’idolatria che quella degli atti omosessuali?
Ci sono altre norme del Levitico che possono aiutarci a comprendere l’importanza relativa data a queste proibizioni nel popolo. Il moralista Tony Mifsud evidenzia: “E’ necessario notare che nel numero delle leggi di ogni tipo che troviamo nei quattro ultimi libri del Pentateuco ne troviamo soltanto due riguardanti l’omosessualità. Per quanto concerne la pena di morte, lo stesso castigo era previsto per l’adulterio, la bestialità, l’avere rapporti sessuali con una donna durante il periodo mestruale (Lv 20, 10.15.18)“.
Questa brevissima revisione biblica non sarebbe completa senza affermare, in accordo con Awi, che “l’orrore verso l’omosessualità maschile“, come egli lo definisce, era anche alimentato dal grande valore dato alla fecondità degli sposi ebrei, nei cui confronti le relazioni omosessuali non erano, evidentemente, feconde. Inoltre l’androcentrismo ebraico considerava molto più grave ciò che avveniva ai maschi – le loro azioni, sofferenze e minacce – rispetto a quanto avveniva alle donne, ignorando atroci crimini commessi contro di esse, come raccontato ad esempio in Giudici diciannove (Gdc 19).
Da ultimo, un altro motivo di paura, tipicamente maschile, secondo Awi aveva a che vedere col comportamento dei soldati vincitori in una battaglia: la violenza. E non la violenza alle donne, ma quella agli uomini che si arrendevano alla spada nemica. Violentare il soldato vinto era un comportamento biasimevole, umiliante e inaccettabile per i maschi del popolo di Israele.
In sintesi, è necessario considerare gli aspetti sopra menzionati, che sono nascosti nel profondo dell’immaginario del popolo per avvicinarsi ad una miglior comprensione delle precedenti condanne dell’Antico Testamento. Credo che oggi abbiamo una certezza più che sufficiente per affermare che la grande preoccupazione del popolo israelita era combattere l’idolatria che si infiltrava tra i suoi uomini e le sue donne attraverso le fessure di un’umanità che si trovava a confrontarsi con i culti pagani.
* Carolina del Río Mena è una teologa cattolica e giornalista cilena, madre di quattro figli. Ha conseguito un master in Teologia Fondamentale presso la Pontificia Università Cattolica del Cile ed è docente presso il Centro de Espiritualidad Santa María, inoltre collabora col Centro Teológico Manuel Larraín del “Círculo de estudio de sexualidad y Evangelio”. E’ autrice del libro “¿Quién soy yo para juzgar? Testimonios de homosexuales católicos” pubblicato nel 2015, ed è co-autrice di “La irrupción de los laicos: Iglesia en crisis” edito nel 2011.