“Ci stanno uccidendo!”. Testimonianze dal pogrom ceceno contro i gay
Articolo di Andrew E. Kramer pubblicato sul sito del quotidiano New York Times (Stati Uniti) il 2 aprile 2017, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Doveva essere una serata passata in giro, invece per il giovane uomo che si fa chiamare Maksim, come per moltissimi altri gay arrestati nel pogrom messo in atto nella regione russa della Cecenia, la serata si è tramutata in due settimane di pestaggi e torture. Maksim racconta che tutto è cominciato con una chattata “con un vecchio amico, un ottimo amico, anche lui gay”, che gli ha chiesto di raggiungerlo in un appartamento. Una volta arrivato lì, però, Maksim non è stato accolto dal suo amico ma da alcuni agenti che l’hanno picchiato, legato a una sedia e attaccato cavi elettrici alle mani. Poi hanno cominciato l’interrogatorio: “Gridavano ‘Quali altri gay conosci?’” e gli somministravano scariche elettriche: “Era terribilmente doloroso. Feci appello alle mie ultime forze e non dissi loro nulla”.
I gay non hanno mai avuto vita facile in Cecenia, ma la punizione collettiva e mirata intrapresa lo scorso mese dal leader ceceno, vicino al Cremlino, Ramzan A. Kadyrov, è una svolta nella lunga storia di abusi nella regione. La Novaya Gazeta, giornale di opposizione (ndr Russo), per prima ha dato notizia del pogrom, dicendo che almeno un centinaio di gay erano stati arrestati e tre uccisi nella retata, dati confermati da Human Rights Watch. Questa pulizia è stata fortemente condannata dai governi occidentali, dalle Nazioni Unite e dai gruppi di difesa dei diritti umani. Gli attivisti(ndr LGBT) russi hanno messo in piedi una rete clandestina per far fuggire le vittime dalla Cecenia sotto falso nome, per proteggerle dalle rappresaglie potenzialmente violente da parte delle loro famiglie, ma non solo.
Il seguente articolo è basato sul racconto di Maksim, che ha tra i 20 e i 30 anni, e di altri due gay detenuti dagli agenti di sicurezza ceceni. L’omosessualità è argomento tabù in Cecenia e nelle aree circostanti del Caucaso, nella Russia del sud, molte delle quali di religione islamica: “Questa società è fortemente omofoba. L’omosessualità è condannata perché si crede che l’Islam la consideri un grave peccato” dice Ekaterina L. Sokiryanskaya, direttrice del Gruppo Crisi Internazionali per la Russia e autorità in fatto di Cecenia. Tuttavia, prima della mattanza, i gay ceceni potevano perlomeno avere una vita sociale, pur se ultrasegreta, dice Maksim: si incontravano prevalentemente in chat private su alcuni social network chiamati Il Villaggio o Ciò che le Montagne Tacciono: “Quando due gay si incontrano non rivelano all’altro il loro vero nome”, dice Maksim. Si incontravano nei caffè o in appartamenti affittati per una notte: “Nessuno sospettava il mio orientamento sessuale, neppure i miei migliori amici”.
La mattanza è cominciata dopo che GayRussia, un gruppo LGBT di Mosca, ha chiesto il permesso di organizzare alcuni Gay Pride nella regione del Caucaso, causando le proteste dei gruppi religiosi. In Cecenia si è fatto di peggio: una pulizia “profilattica” degli omosessuali, come hanno detto gli agenti di sicurezza ai gay caduti nella retata. Alcuni uomini sono stati detenuti un giorno, altri diverse settimane, secondo Human Rights Watch e chi è riuscito a scappare dalla regione. Alcuni “sono ritornati in famiglia più morti che vivi dopo i pestaggi” dice Tanya Lokshina, direttrice di Human Rights Watch per la Russia. Tra i fatti documentati dall’organizzazione, un uomo morto durante le torture e due altri uccisi in “delitti d’onore” da parte dei parenti una volta rilasciati dalla polizia: “Human Rights Watch ha riportato molti casi di attacco da parte delle forze di sicurezza di Ramzan Kadyrov e sono racconti terribili. È l’ennesimo tentativo di rafforzare la cultura della paura” dice Tanya Lokshina.
La risposta delle autorità cecene alle proteste globali per il pogrom è incredibile. In un’intervista telefonica il portavoce di Kadyrov, Alvi Karimov, ha detto che le notizie a proposito di un pogrom antigay sono sicuramente false perché persone simili non esistono in Cecenia: “Avete mai notato a Grozny degli uomini che, dall’aspetto o dal modo di comportarsi, assomigliano agli uomini che hanno un orientamento sbagliato? Quando ci sono degli ordini ufficiali, vuol dire che c’è un problema. Posso ufficialmente affermare che qui non ci sono ordini ufficiali perché non c’è nessun problema. Se ci fosse un problema, ci sarebbero degli ordini” ha detto in risposta a chi afferma che gli arresti sono stati voluti in alto loco.
In un incontro con il presidente Vladimir V. Putin, trasmesso dalla TV, Kadyrov ha stigmatizzato le notizie secondo le quali le forze di sicurezza cecene perseguiterebbero i gay e il giorno dopo il portavoce di Putin, Dmitri S. Peskov, ha affermato di fronte ai giornalisti che le autorità russe non hanno prove che la polizia cecena abbia eseguito tali arresti.
Subito Maksim e gli altri uomini hanno capito che le autorità cecene stavano usando le medesime tattiche utilizzate dalla Russia e da Kadyrov negli anni precedenti per sopprimere una rivolta islamista. Gli agenti di sicurezza si sono finti gay in cerca di appuntamenti nel Villaggio e in altre chat e hanno persuaso gli uomini arrestati a fare nomi di altri gay. Subito la paura si è propagata tra i gay ceceni: “Se hanno preso lui, arriveranno anche a me” ha pensato uno studente ventenne, che si identifica come Ilya ed è stato intervistato in un luogo sicuro, fuori dalla Cecenia. Ilya è fuggito alcuni giorni prima che la polizia arrivasse a casa sua, come ha saputo in seguito. Le autorità hanno detenuto per breve tempo un altro giovane, che si fa chiamare Nohcho, dopo che un amico aveva fatto il suo nome durante un interrogatorio: “Non è colpa sua. Non siamo eroi, siamo solo omosessuali. Ti fanno morire di fame, ti torturano con l’elettricità”.
Questo è sostanzialmente quello che è capitato a Maksim, che da un po’ di tempo aveva una corrispondenza con un altro gay: “Un giorno mi chiese di bere qualcosa insieme. Dato che ci conoscevamo da tempo, non lo sospettavo capace di fare una cosa simile”. Quando Maksim è entrato nell’appartamento in cui dovevano incontrarsi, gli uomini della sicurezza hanno cominciato a picchiarlo. Altri cinque uomini erano nell’appartamento, portati lì con lo stesso trucco.
Il suo racconto degli avvenimenti è coerente con gli altri documentati da Human Rights Watch e con i racconti di due altri gay intervistati separatamente per questo articolo. Tutti i sei uomini sono stati poi trasferiti in una cella provvisoria situata in un edificio abbandonato, dove sono stati torturati uno a uno con l’elettricità. Dopo undici giorni Maksim è stato affidato a un parente, a cui avevano detto che il ragazzo era gay e che, se ci teneva all’onore, avrebbe dovuto ucciderlo. Il padre di Maksim ha minacciato di picchiarlo, ma ci ha rinunciato quando il giovane gli ha mostrato i lividi che già aveva. Il padre comunque gli ha detto “Dovrei ucciderti”.
Temendo per la sua vita, Maksim si rivolge a un gruppo di attivisti di San Pietroburgo, la Rete Russa LGBT, che aveva già organizzato un gruppo di volontari attivo 24 ore su 24 per aiutare i gay a fuggire dalla regione. Per rassicurare le vittime gli attivisti stanno prendendo precauzioni straordinarie, operando in pratica come cellula clandestina dietro le linee nemiche, pur non facendo nulla di illegale secondo la legge russa: “Questi uomini non si fidano di nessuno” dice Olga Baranova, direttrice del Centro Comunitario di Mosca, gruppo di sostegno che fa parte della rete di volontari che sta aiutando molti gay a fuggire dalla Cecenia.
Dopo essere arrivati in un luogo sicuro fuori dalla Cecenia, molti giovani hanno detto di aver sospettato che anche il gruppo di volontari fosse una trappola, ma non avevano alternative se non accettare l’aiuto: “Dicono ‘Non credevamo che foste veri amici, pensavamo che fosse un tentativo di catturare chi era sfuggito” dice Olga Baranova.
La rete di volontari ha acquistato biglietti aerei per i fuggitivi, trovato case sicure e medici disposti a curare le ferite di chi è stato torturato. “I gay in Cecenia e in tutto il nord del Caucaso sono in pericolo mortale. Gli uomini i cui partner sono detenuti hanno tutte le ragioni di temere che verranno arrestati anch’essi. È molto difficile non fare nomi sotto tortura” ha detto al telefono Igor Kochetkov, direttore della Rete Russa LGBT.
Testo originale: ‘They Starve You. They Shock You’: Inside the Anti-Gay Pogrom in Chechnya