La battaglia delle persone LGBT in Africa, tra tolleranza e repressione
Articolo di Tashwill Esterhuizen pubblicato sul mensile Courrier de l’ACAT, N°343 dell’aprile 2017, pp.40-41, libera traduzione di Marco Galvagno
In Africa la comunità LGBT rimane vulnerabile di fronte all’omofobia, alle persecuzioni e alle discriminazioni, perpetrate a causa dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere, reali o presunte che siano. Oltre a criminalizzare le pratiche sessuali tra persone dello stesso sesso varie disposizioni penali perpetuano e promuovono gli stereotipi facendo aumentare la vulnerabilità della comunità GLBT.
Le persone GLBT sono private dell’accesso alle cure sanitarie e non vengono nemmeno informate su come prevenire le malattie sessualmente trasmissibili. Ma in questi ultimi due decenni ci sono stati progressi significativi per i diritti fondamentali delle minoranze sessuali ovunque in Africa. Sul terreno legale il Sud Africa è diventato, nel 1995, il primo paese africano ad inserire nella propria costituzione la protezione dalle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere. Dopo varie sentenze della corte d’appello superiore e della corte costituzionale del paese, il parlamento sudafricano ha varato una legge che consente il matrimonio per le coppie dello stesso sesso.
Battaglie coraggiose
In molti casi le riforme in favore dei diritti delle persone GLBT sono il risultato di battaglie coraggiose condotte dagli attivisti, che hanno osato protestare per fare rispettare i loro diritti pubblicamente, in paesi in cui le pratiche sessuali tra persone dello stesso vengono stigmatizzate. Là dove la battaglia contro lo stato non ha prodotto frutti, hanno portato con successo le loro cause in tribunale, rendendo così le società nelle quali vivono più inclusive e tolleranti.
Il Botswana ne è l’esempio più emblematico. Dopo che nel 2013 lo stato ha negato all’organizzazione LEGABIBO (lesbian gay bisexual of Botswana), che esisteva dal 2001, il diritto d’esistere e di ricevere nuove iscrizioni. L’associazione ha fatto causa davanti alla corte d’appello del paese, che il 29 aprile del 2016 ha deciso di registrarla ufficialmente come la prima organizzazione in difesa dei diritti GLBT del paese. Il potere giudiziario ha deciso che il rifiuto del governo di registrare LEGABIBO era illegale e violava il diritto d’associazione degli attivisti. Nel marzo 2016 aveva considerato che non era rilevante che i punti di vista dell’organizzazione risultassero impopolari e inaccettabili per la maggior parte della popolazione.
Rifiuto dell’odio
L’argomento, allora sostenuto dal governo, era quello che registrare LEGABIBO avrebbe perturbato la pace sociale e avrebbe scandalizzato la morale pubblica. In modo considerevole la corte d’appello ha riconosciuto che il Botswana è “ una nazione di compassione, giustizia e amore e sebbene i membri della comunità GLBT sono una minoranza inaccettabile per alcuni per motivi religiosi, fanno parte della ricca diversità della nazione e hanno pienamente diritto di esistere in Botswana, come di vedere protetta la loro dignità. Da allora in poi i comportamenti dei botswanesi verso i diritti degli GLBT si sono un po’ addolciti.
Nel settembre 2016 il governo ha persino espulso il pastore americano Steven Anderson, reo di aver incitato la gente ad uccidere le persone GLBT dai microfoni della radio nazionale. Questa decisione è stata sorprendente da parte di uno stato che poco tempo prima aveva negato alle persone LGBT il diritto d‘associarsi e giungeva dopo che il Malawi e il Sud Africa avevano vietato al controverso pastore l’ingresso nei loro paesi. Nei tre paesi la motivazione è stata la stessa: era fuori luogo accettare manifestazioni cariche di odio.
Nello stesso modo l’alta corte del Kenia ha sottolineato che ogni essere umano indipendentemente dal sesso e dall’orientamento sessuale dispone di diritti riconosciuti dalla costituzione e in quanto cittadino doveva essere protetto. Come in Botswana la corte ha ritenuto che il fatto di essere attratti da persone del proprio sesso non è un reato.
Nel maggio 2015 è stata l’Alta corte dello Zambia che ha confermato l’assoluzione dell’attivista dei diritti dell’uomo Paul Ksankomana giudicando che non era un reato difendere i diritti delle persone LGBT, nonostante i rapporti omosessuali rimangano un reato.
Potente vettore di cambiamento
Le persone GLBT restano tuttavia estremamente vulnerabili di fronte all’intolleranza, alla violenza, alle persecuzioni e agli arresti illegali ed arbitrari. Sfortunatamente certi governi non sembrano voler seguire i passi avanti ottenuti sul terreno giudiziario. Sono vari quelli che limitano e restringono i diritti delle persone GLBT, invece di tener fede agli impegni internazionali presi o di seguire le legislazioni degli stati vicini che li obbligherebbero a diffondere una cultura di tolleranza nella società.
Nel 2013 la Nigeria ha vietato il matrimonio e l’unione civile tra persone dello stesso e ha imposto sul suo territorio la cancellazione dai registri civili, di quelli contratti all’estero, ha inoltre vietato a qualsiasi associazione di rappresentare le persone GLBT.
Tuttavia tappe importanti che vanno verso il riconoscimento delle persone GLBT avvenute in tutta l’Africa. Riconoscendo il diritto di associazione degli attivisti LGBT le corti di giustizia hanno creato spazi significativi in seno ai quali i governi e le società possono costruire spazi di accettazione e di tolleranza della diversità sessuale. Ma il diritto dei militanti di esprimersi liberamente sui propri diritti va protetto con vigore, dato che è un potente vettore di cambiamento.
Testo originale: L’Afrique, entre tolérance et répression
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