Tutti sono i nostri vicini, nessuno escluso
Riflessioni di Candace Chellew tratta da Whosoever (Stati Uniti) del marzo/aprile 1998, liberamente tradotte da Marta
Due anni fa abbiamo comprato casa in un quartiere periferico, ma in via di espansione. Nel corso di una visita fatta per controllare la casa che poi avremmo comprato, fummo salutati da uno dei vicini.
Era abbastanza cortese, ma era chiaro che stava “valutando” i suoi nuovi vicini.
Voleva sapere chi eravamo, che cosa facevamo, quali erano i nostri piani per la casa e altre cose. Voleva sapere, insomma, se saremmo stati dei buoni vicini.
Non è un fenomeno insolito. Tutti quanti vogliamo dei buoni vicini. C’è una casa, qui nei dintorni, che è in vendita da un bel po’ di tempo e potrebbe rimanere invenduta.
Il motivo? Le case che affiancano da entrambi i lati questa bella casetta sono decisamente malridotte.
Queste case ovviamente sono in affitto e gli affittuari non sembrano essere dei buoni vicini. La casa in vendita potrebbe diventare una villa signorile, ma a causa dei vicini rimarrà vuota.
Quando si tratta di beni immobili, abbiamo il lusso di poter scegliere i vicini. Li possiamo incontrare, conoscere e possiamo assicurarci se saremo in grado, in futuro, di andarci d’accordo o meno.
Come cristiani, questo lusso non ce l’abbiamo. Gesù ci dice chiaramente che tutti sono nostri vicini, nessuno escluso.
Tutti – ricchi o poveri, belli o brutti, gentili o meschini, gay o etero – si meritano il nostro aiuto, il nostro amore e il nostro sostegno.
Eppure, siamo ancora tentati di guardarci attorno per cercare chi non ci è vicino. Vogliamo ancora scegliere chi è meritevole della nostra compassione e chi no.
Ne ho trovato un esempio sorprendente e preoccupante in un numero di Moody Magazine (Novembre/Dicembre 1997). La rivista viene pubblicata dall’Istituto Moody Bible, facente capo ad un gruppo di cristiani ultra-conservatori.
L’intero numero era dedicato a persuadere i lettori ad aiutare i meno fortunati. La prima cosa che mi ha sorpreso, di quel numero, era il suo tono casuale nel trattare il tema della povertà, un tono da “oh, a proposito”.
Trovo scioccante che ad un gruppo di cristiani sia necessario rammentare come uno dei loro obiettivi principali, in quanto cristiani, sia recare aiuto a chi è meno fortunato di loro!
Chi sono i vicini meno fortunati che meritano il nostro aiuto? In un articolo intitolato Perché Dovremmo Aiutare i Poveri? il professor Vernon Grounds fa tutto il possibile per far sì che i propri lettori si sentano legittimati a scegliere quali vicini meritino aiuto.
“[…] dobbiamo riconoscere che un certo tipo di povertà è causato da caratteristiche personali, come l’indolenza, la tendenza allo spreco, la stravaganza, la sete di lusso e la mera stupidità.
[…] Paolo dà un ordine categorico nella Seconda Lettera ai Tessalonicesi [2:8-12] per quel che riguarda i cristiani indolenti. In poche parole, siamo avvertiti, addirittura ci viene ordinato, di non indulgere in una compassione maldiretta nei confronti dei poveri che non meritano la nostra compassione. Il cristiano diligente che obbedisce a Dio non deve sacrificarsi per prendersi cura del cristiano indolente che non obbedisce a Dio”.
Le parole che più mi disturbano in tutto il passaggio sono “poveri che non meritano la nostra compassione”. Da quand’è che siamo diventati giudice e giuria e decidiamo chi è meritevole di compassione?
Il professor Grounds è convinto d’aver trovato il sotterfugio grazie a cui conferirci quel potere, in un brano tratto dalla Seconda Lettera ai Tessalonicesi.
” […] né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato con fatica e sforzo notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi.
Non che non ne avessimo diritto, ma per darvi noi stessi come esempio da imitare.
E infatti, quando eravamo presso di voi, vi demmo questa regola: chi non vuol lavorare, neppure mangi. Sentiamo infatti che alcuni fra voi vivono disordinatamente, senza far nulla e in continua agitazione.
A questi tali ordiniamo, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, di mangiare il proprio pane lavorando in pace”. 2 Tessalonicesi [3:8-12]
I cristiani conservatori danno in escandescenze ogni volta che i loro oppositori usano la Bibbia fuori contesto, ma si sentono liberi di abusare della parola di Dio allo stesso modo.
Il professor Grounds ha estratto il brano dal contesto, per assecondare le proprie necessità. Nella seconda lettera ai Tessalonicesi Paolo fa riferimento ad uno specifico gruppo di persone.
Dobbiamo tenere in considerazione che ai tempi di Paolo ci si aspettava che Gesù potesse ritornare da un momento all’altro. Poiché si aspettavano la fine dei giorni, alcune persone decisero che non valeva la pena lavorare e guadagnarsi da vivere.
Queste persone iniziarono ad esaurire le risorse delle opere di carità locali, così che Paolo decise di istituire una regola, “chi non vuol lavorare, neppure mangi”.
Si tratta di un ordine specifico, per un momento e un luogo specifici. Non è un comandamento valido per sempre. Se vogliamo scoprire chi è il nostro vicino, dobbiamo guardare le parole di Gesù.
Il professor Grounds fa davvero un bel lavoro nell’illustrare chiaramente l’interesse di Gesù nei confronti dei poveri.
“Nel corso del suo ministero, mosso da compassione, Gesù nutrì e curò le moltitudini. Istruì i suoi discepoli affinché fornissero sostentamento agli affamati.
Mise in guardia dalla negligenza nei confronti dei bisognosi, avvertendo che avrebbe recato con sé il più severo giudizio divino, proprio com’era successo con Lazzaro e l’uomo ricco.
E lo sottolineò con la Sua meravigliosa visione di Dio che giudica tutti i popoli, quando eterna condanna sarà pronunciata contro coloro che non si saranno presi cura della povertà degli emarginati sociali”.
Osservate attentamente, amici: Gesù non faceva eccezioni. Egli mette in guardia coloro che non vestono i nudi, o non danno da mangiare agli affamati o non aiutano gli ammalati: le sue parole saranno “Via, lontani da me”. [Matteo 25:41].
Gesù dirà loro, “ogni volta che non avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me”. [Matteo 25:40] Non vedo nessuna eccezione in queste parole.
Il professor Grounds non la vede in questo modo. E’ davvero convinto che le parole di Paolo, usate per un momento specifico, ci concedano il lusso di poter scegliere i nostri vicini. Non dobbiamo aiutare nessuno che sia causa della propria povertà!
Questo ci dà l’opportunità di giustificarci nel rifiutare aiuto più o meno a tutti.
Per esempio, quella madre che riceve sussidi dal governo non avrebbe bisogno di un alloggio popolare se fosse rimasta a scuola.
E non sarebbe lì se non si fosse concessa con quella noncuranza che non porta a nulla di buono e non fosse rimasta incinta! La sua povertà è solo colpa sua e non c’è bisogno che noi l’aiutiamo.
E non è tutto qui. Se quella persona non avesse mollato la scuola e avesse imparato un mestiere, oggi non sarebbe povero. Non si merita il mio aiuto.
Se quel drogato avesse saputo dire di no, non starebbe scroccando all’assistenza sociale i soldi che io ho guadagnato con fatica. Non si merita il mio aiuto!
E così via, finché non ci rendiamo conto che gli unici vicini rimasti sono quelli uguali a noi. Proprio come nel comprare casa, per prima cosa abbiamo controllato il vicinato.
Abbiamo trovato una comunità di cristiani che possiamo chiamare “vicini”, sentendoci a nostro agio! Gesù ci dice che siamo sulla strada sbagliata. Il professor Grounds è proprio come l’avvocato che chiede a Gesù “chi è il mio prossimo?”. [Luca 10:29]
Ci dicono che l’avvocato di questa storia desidera giustificarsi. La sua domanda è insincera. In realtà, la domanda che sta rivolgendo a Gesù è “chi non è il mio prossimo?”.
Gesù racconta all’avvocato la parabola del buon Samaritano. Con questa parabola Gesù dimostra chiaramente che tutti sono nostri vicini. Non ci è permesso fare eccezioni.
Il levita e il sacerdote che passarono accanto all’uomo ferito, sulla strada, non sono gli eroi della storia. L’eroe è il Samaritano, che vede il bisogno dell’uomo e si ferma ad aiutare.
Forse il levita e il sacerdote si erano detti “se quest’uomo non avesse camminato da solo per questa strada pericolosa, non sarebbe stato picchiato e derubato. E’ causa del proprio male. Non si merita il mio aiuto!”.
Il Samaritano non ha pensato così. Ha visto un uomo in una situazione di bisogno. Il Samaritano non si è fermato a chiedersi se l’uomo avrebbe potuto evitare la sua disgrazia. Questo non gli interessa. Lo aiuta. Il benessere del suo vicino è la sua unica preoccupazione.
Le parole che ci rivolge Gesù sono queste: “Va’ e comportati allo stesso modo”.
Testo originale: Choosing our neighbors