Sono un ex bullo, ora prego per la non violenza
Articolo di Delia Vaccarello tratto dal Blog Liberi tutti del 18 gennaio 2011
Non ci sono vincitori e vinti dinanzi alla violenza. Siamo tutti sconfitti. Questa storia è emblematica, che ne pensate?
“Io sono un ex bullo. Da ragazzino avevo le mie vittime consuete. Ho fatto parecchio male ad alcuni compagni più piccoli, ma tanto male che addirittura uno di loro perso di vista per circa 25 anni, riapparendo all’improvviso ha mostrato di avere ancora le ferite aperte nel cuore”.
Il signor C. ha 36 anni e ha cercato di dimenticare. Oggi ricorda, ma non a caso. “Quei ragazzi formavano gruppi di gente allegra, compagni che giocavano a pallone.
Piombavo fra di loro, facevo volare lontanissima la palla e poi iniziava la persecuzione. Botte, schiaffi, calci, spinte, insulti, violenza per annientare la loro felicità, la gioia di stare insieme. Avevo circa 15 anni quando un giorno presi di mira un poveretto con la sua fidanzatina.
Li feci inginocchiare vicino ai giardini pubblici e li costrinsi a pregare fervidamente il Signore nella speranza che non li massacrassi di botte.
Terrorizzati ubbidirono ma nonostante tutta la loro sottomissione, o forse proprio acceso da quella, al termine delle preghiere scaricai su di loro la mia follia, la mia cattiveria malsana.
Mio padre era un anticlericale, ero estraneo a certe attività che invece legavano i miei compagni. Ero un cane sciolto, mi sentivo arrabbiato senza avere alcuna lucidità sulla natura del mio malessere. Ero matto da legare, avevo bisogno di un freno, ma nessuno me lo metteva”.
Il signor C. racconta di sé dopo che ha letto sulla rubrica Liberi tutti storie di giovani gay disperati, vittime del bullismo.
“Ho letto il suo articolo relativo ai suicidi americani, mi ha molto scosso. Sono un ex bullo, ma non omofobico, anzi, sono omosessuale”.
Vuole aiutarci a capire, a muoverci meglio. La violenza è un boomerang che si ritorce contro tutti. Non c’è furbo che la faccia franca.
Da adolescente conviveva con i tormenti. Isolamento, abbandono, rabbia. “Picchiavo, umiliavo, insultavo poi col tempo ho capito che lo facevo perché io stesso ero umiliato, avevo un padre alcolizzato e una madre inesistente, sfogavo la mia rabbia su chi si mostrava più felice di me.
Dopo le mie scorribande tornavo a casa e ascoltavo dischi di Beethoven, di Verdi, di Chaikovski che mio padre raccoglieva con passione.” Vivere era lacerarsi. “La sofferenza più atroce era il senso di solitudine, lo smarrimento, unito al clima terrorizzante che vivevo in famiglia”.
Il suo bersaglio: la gioia altrui, vera o apparente.
“Ritenevo quei ragazzi più felici di me perché sembravano trovare la giusta armonia tra loro, l’intesa che rende magica un’amicizia basata sul divertimento, sulla spensieratezza, mentre io avevo problemi troppo più grandi delle mie forze.
La stessa passione precocissima per la musica classica era una zavorra, uscivo da ogni ascolto profondamente turbato da quelle musiche non composte da ragazzini, ma da uomini estremamente problematici, come erano tutti quei grandi artisti. Non reggevo l’impatto della musica, ero uno snaturato, un corpo da ragazzino e una sensibilità troppo accesa che però non mi impediva di fare cose atroci e villane ai miei coetanei. Non riuscivo a vivere, a trovare la mia misura”.
Cosa prova un ex bullo?
“Ormai sono una persona innocua, arrendevole, paurosa persino, sopratutto della violenza, che odio con tutto me stesso. Ho sempre mostrato rabbia nei miei confronti, soffro di depressione e crisi di panico. Ho ancora numerosi conti in sospeso con quel mio passato. Sensi di colpa che non si attenuano minimamente. Molta solitudine”.
Turbato oggi dalla violenza, omofobica e non, vede il buio e l’urlo annidati nell’animo di chi aggredisce: “Quando leggo dei casi di aggressione ai gay non vedo colpevoli da nessuna parte. Vedo due vittime, il povero ragazzo che subisce e il povero ragazzo che opprime.
Tra i ragazzi che commettono atti violenti di qualsiasi natura si nasconde anche del buono, frustrazione, disperazione. Sono smarriti. Ci possono essere molta stronzaggine e maleducazione, ma anche un malessere fortissimo che trova la più stupida e inutile delle vie di uscita, la violenza, la vigliaccheria su chi si sa più debole”.
Come vive il signor C.?
“Sono diventato un musicista, lontano mille miglia dal desiderare di vedere o conoscere realtà come il bullismo. Il mio lavoro? Sognare e cercare di far sognare chi mi ascolta”.
Contro il bullismo ci aiutano l’arte, l’amore, la cività. Anche la religione, dice, lui crede in Krishna. “Occorre educare i ragazzi alla spiritualità, all’arte, a costruirsi una relazione col Signore, a insegnare la Bellezza di Dio.
Togliere il potere ai criminali che possiedono tv e le usano come armi per abbrutire la gente. Dobbiamo tornare a guardarci in faccia, a condividere quello che ci unisce.
Bisogna insegnare l’amore con la “a” maiuscola, fare lezioni di Amore, siamo troppo invasi da cattiveria, competitività, ingiustizia, maleducazione. Non vedo altre strade”.