L’Italia si desti. Il sonno culturale degli omosessuali italiani
Riflessioni di Mattia Morretta*
Da tempo si constata l’uniformità dei codici di comunicazione sulla tematica omosessuale, tanto che persino esponenti dei gruppi di credenti omosessuali argomentano con leggerezza di “persone glbt” (o lgbt – mutando di posto le consonanti il risultato non cambia). E nessuno che sollevi un’obiezione o chieda: di grazia, perché? Può un vuoto a perdere linguistico riempire di senso e di valore l’esistenza di soggetti sociali già orfani di una lingua propria? Possono gregarismo e omologazione produrre evoluzione culturale? La “realtà lgbt”, infatti, è un’entità fittizia e aleatoria, nonché un’armata brancaleone senza capo né coda, di sicuro non è il popolo di Dio in cammino dall’Egitto versa la terra promessa.
La verità è che le nuove generazioni di omosessuali italici hanno solo un’immagine abbellita o corretta grazie a cure estetiche, non una differente dignità e accettazione; anzi, sono ad alto rischio per l’abbandono di ogni riserva nel seguire i consigli per gli acquisti e crescono in un lievito di opportunismo col sorriso da selfie, mentre quelle precedenti dovevano fare buon viso a cattiva sorte e sovente maceravano nell’odio e nella colpevolezza. I nativi gay trovano bell’e pronto l’abitino dell’identificazione con corredo di pride, wedding e figurine di riferimento sui media, esibendo disinvoltura, insolenza e alterigia da parvenu; promossi e “arricchiti” senza merito scambiano per diritto naturale i benefit dovuti al clima di superficiale tolleranza e per lesa maestà la resistenza o la diffidenza altrui.
Motivo sufficiente per riprendere a tracciare una nostra strada maestra non scimmiottando gli stranieri, poiché il pacchetto “tutto compreso” è stato importato dagli USA con alcune varianti dettate dall’Europa in cattedra, per sudditanza intellettuale e arretratezza organizzativa. Eppure è un contenitore snaturante e inadeguato per noi, se è vero che negli anni Settanta e sino a metà degli Ottanta esisteva un movimento omosessuale autoctono con una propria vivacità e originalità, che ha creato iniziative civiche, editoriali, solidaristiche cancellate dai posteri telecomandati azzerando la memoria storica.
La penetrazione nel territorio di modelli e stili di vita estranei è avvenuta soprattutto con l’adozione del criterio monetario unico, affaristi e imprenditori del mercato parallelo per diversi hanno distrutto quel poco di socializzante e impegnato che esisteva nel Bel Paese, una sorta di bomba atomica sganciata dai produttori di Enola gay sul giardino del mediterraneo di cui nessuno parla per viltà o menefreghismo. L’aiuto insperato e fatale è arrivato dall’Aids, che ha fatto terra bruciata del “prima” e ha consentito dopo la fase epidemica di gettare una colata di cemento armato sul passato, per far spazio ai prefabbricati ideologici prodotti nelle democrazie “avanzate”.
La stessa dicitura “lgbt” costituisce un’abdicazione alla sovranità nazionale, la rinuncia a distinguere tra le differenti espressioni identitarie locali in favore del livellamento conforme alla globalizzazione falsamente aggregante, la bandierina arcobaleno sventolata da tutti con parole d’ordine preconfezionate. E dire che una posizione italiana autonoma avrebbe parecchio da insegnare ai tracotanti statunitensi, abbastanza puritani e abituati al doppio registro da invadere il pianeta con i loro fantasmi pornografici e i contratti matrimoniali senza fare una piega.
Negli ultimi decenni i fanatici della Gay Liberation ci hanno imposto le malattie e le cure, la lettura e l’interpretazione della condizione omosessuale, la promiscuità industriale e il programma di affermazione politica tramite la coppia legalizzata. Pertanto dal punto di vista omosessuale gli Americani non hanno liberato l’Italia, bensì l’hanno colonizzata e ridotta a clone col consenso informato dei leader nostrani.
Restar fermi su idee prese a prestito da coloro che le hanno concepite in altri contesti socioculturali non dà alcuna forza o motivazione, indebolisce spiritualmente e impoverisce razionalmente. È dunque ora di far risuonare le trombe del giudizio, perché non sarà un principe a svegliare con un bacio le schiere di belli addormentati della penisola.
* Mattia Morretta è psichiatra e sessuologo, impegnato sin dalla fine degli anni Settanta nell’analisi della condizione omosessuale, ha collaborato con la rivista Babilonia ed è stato cofondatore della prima associazione italiana di volontariato sulla problematica Aids (ASA di Milano). Nel 2013 ha pubblicato con l’editore Viator “Che colpa abbiamo noi – Limiti della sottocultura omosessuale” e nel 2016 “Tracce vive – Restauri di vite diverse”. Una sua ampia raccolta di articoli e saggi è disponibile sul sito web http://www.mattiamorretta.it/