L’Italia si desti. La casa degli spiriti degli omosessuali credenti
Riflessioni di Mattia Morretta*
Con l’emersione del sommerso è diventato evidente che nella galassia della religiosità a tonalità arcobaleno le contraddizioni abbondano, generando un assemblaggio confuso tra entità persino antitetiche, coabitazioni inverosimili e stramberie con verniciature teologiche. Così, mentre si chiedono aperture coraggiose alle istituzioni ecclesiastiche, si mantiene una chiusura oscurantista sulle situazioni scabrose interne ai gruppi di omosessuali credenti; non solo non si fa pulizia a casa propria, ma si dà per giunta spazio a personaggi equivoci e a contenuti che definire espressione di relativismo è un complimento, essendo ai confini del nichilismo.
I più convinti predicatori, che sovente partono dal vissuto di preti mancati, non nascondono l’ambizione di vedersi riconosciuti porporati honoris causa per poter trattare con gli ufficiali e i generali della Santa Sede, indossando la tonaca della milizia cattolica preferibilmente coi gradi superiori.
Infatti officiano compunti la cerimonia contro le vittime dell’omofobia e si danno da fare per sfilare su un tappeto rosso in quanto oggetti privilegiati di cura pastorale, richiedendo accompagnatori dedicati e un trattamento speciale riparativo della vetusta condanna morale. Certi caratteri pretenziosi si affannano soprattutto a indurre i superiori a pensarla come loro e a seguire il loro parere, benché siano più esperti di pratica che di teoria dell’omosessualità.
Il caso limite sono gli spogliati d’autorità dallo stato religioso imperterriti nel definirsi “don”, ministri del culto di se stessi e della teologia queer, promotori del “non binarismo”, cioè del deragliamento sulla via di Sodoma. Interessati al proprio nome in cartellone e non alla condizione omosessuale, fondano le loro consorterie e amministrano i sacramenti in versione gaia, proclamando dogmi alternativi, quali l’ispirazione divina del coming out e la santità della pratica sadomasochistica.
Essendo “post-denominazionali”, ovverosia oltre ogni definizione dogmatica e distinzione tra confessioni, annullano la religione tout court optando per la presunta libera ricerca spirituale. Dissociati mentalmente e dalla Madre Chiesa (che all’inizio aveva tenuto uniti i lembi di personalità fragili), parlano ex-cathedra da blog e pulpiti improvvisati evocando gli spiriti e facendo traballare i tavolini della credulità, promuovendo lo smaltimento indifferenziato delle identità e delle sessualità in nome dell’amore cieco. Son personaggi da teatrino oratoriano, però andrebbero tenuti alla larga con aglio e crocefisso, poiché come vampiri possono succhiare il sangue delle vittime del loro “fascino” e sono serpi in seno quando accolti in contesti frequentati da eterni ragazzi ingenui.
La questione della veste è centrale nei primi e nei secondi, non solo perché è l’originario sogno nell’armadio (dire messa dall’altare), ma anche perché si tratta di lupi travestiti da agnelli, il cui cammino spirituale è occultamento dello spiritismo, la vantata sensibilità è sensitività morbosa, l’anelito alla trascendenza una sete bruciante di potenza terrena. L’autoreferenzialità traspare dall’autoinvestitura, ciascuno si farebbe papa ed è pronto a nominare cardinali e vescovi, indifferente ai mille altri anti-papi. E si indorano tanto bene da non vedere in se stessi quasi alcun difetto, una colpa o imperfezione; né operano davvero per costruire reti di solidarietà ed esser di aiuto al prossimo, tutto e tutti servono per avvalorare la loro grandiosità narcisistica o franca mitomania.
Si fatica a credere che ci sia chi prenda per buono e sul serio un tale carnevale o manicomio, non fosse che nella nebulosa del credo glbt è di fatto ammesso il consociativismo con l’alibi della dichiarazione di fede e di omosessualità al contempo, titoli di merito nel curriculum vitae senza ulteriore comprova. Per questo si può giocare col peccato fingendo di sentirne il peso e facendolo rimbalzare a mo’ di palla contro il muro di una falsa coscienza. Ed è perciò possibile simulare la fratellanza mirando allo stato di figlio unico tra poveri di spirito.
Mal che vada l’ultima parola spetterà all’esorcista.
* Mattia Morretta è psichiatra e sessuologo, impegnato sin dalla fine degli anni Settanta nell’analisi della condizione omosessuale, ha collaborato con la rivista Babilonia ed è stato cofondatore della prima associazione italiana di volontariato sulla problematica Aids (ASA di Milano). Nel 2013 ha pubblicato con l’editore Viator “Che colpa abbiamo noi – Limiti della sottocultura omosessuale” e nel 2016 “Tracce vive – Restauri di vite diverse”. Una sua ampia raccolta di articoli e saggi è disponibile sul sito web http://www.mattiamorretta.it/