Le terapie riparative sono sempre più diffuse nelle comunità mussulmane
Intervista di Albert Torras i Corbella a Samir Yaizidi di Kifkif Spagna, associazione mussulmana LGBT, pubblicata sul suo blog Soy gay y creo en Dios (Spagna) nell’agosto 2014, libera traduzione di Dino
Le associazioni musulmane di difesa dei diritti degli omosessuali sono nate energicamente negli ultimi anni. In vari paesi di forte tradizione musulmana, ma di convinzioni democratiche come il Libano, sono sorti gruppi che lottano per l’integrazione dlle persone omosessuali, in culture fortemente influenzate dalla religione. Nel Maghreb è da poco tempo nata Kifkif, una nuova associazione. Questi movimenti ci consentono di conoscere le differenze esistenti tra i vari paesi musulmani per ciò che riguarda il trattamento dell’omosessualità. Samir ci aspetta con cordialità, presso la delegazione di Kifkif España.
Si può essere un buon musulmano senza rinunciare alla propria omosessualità?
Credo di sì. L’Islam è una religione con varie sfaccettature e ci sono molti modi di leggere i passaggi che teoricamente condannano l’omosessualità, alcuni più aperti di altri. Disgraziatamente oggi la religione musulmana è stata “scippata” dagli integralisti e nessuno si azzarda a fare una diversa lettura della fede. Così ci sono alcuni coraggiosi che mettono in dubbio la veridicità della condanna dell’Islam all’omosessualità, così come la intendiamo oggi. Per esempio in Spagna Abdelnur Prado che ci ha indirizzato a Abdullh Abenyussuf, che abbiamo intervistato).
Credi che la religione musulmana sia quella meno tollerante nei confronti dell’omosessualità?
Non è esattamente così. Non c’è una religione più o meno tollerante verso l’omosessualità, facendo un confronto tra l’Islam, il Cristianesimo e l‘Ebraismo. Tutto dipende dal modo di interpretare i singoli passi. Il problema è che esistono paesi in cui la legalità tiene conto della legge religiosa, e pertanto si condanna duramente l’omosessualità, soprattutto si tratta di paesi musulmani.
Sei a conoscenza di terapie “riparatrici” per l’omosessualità effettuate da sacerdoti, religiosi, imam, ecc. nel nostro paese?
Disgraziatamente sì. Io stesso ne sono stato vittima.
In cosa consistevano queste terapie alle quali sei stato sottoposto? Cosa sentivi? Perchè accettasti di sottoporti ad esse?
Appartengo ad una famiglia conservatrice, così quando i miei genitori vennero a conoscenza della mia omosessualità la prima cosa che pensarono fu di parlare con l’Imam. Ho dovuto sopportare ore ed ore di chiacchiere con l’Imam. Alla fine disse ai miei genitori di portarmi da uno psicologo.
Queste terapie riparatrici hanno tendenza a sparire?
No. Noi di Kifkif siamo una struttura che lavora soprattutto con la comunità LGTB musulmana e il fenomeno delle terapie riparatrici è sempre più comune tra i religiosi della nostra comunità.
La fede e la religione per gli immigrati omosessuali che vengono nel nostro paese sono più importanti che per gli omosessuali di qui?
Sicuramente sì. I livelli di religiosità della popolazione immigrante sono molto superiori a quelli della popolazione autoctona.
Allora, com’è l’integrazione dell’omosessuale straniero nel nostro paese? Ha influenza la sua religione d’origine?
La religione ha un peso notevole. Kifkif è la prima organizzazione LGTB musulmana in Spagna e la nostra linea di lavoro ci ha fatto vedere che gli omosessuali musulmani di qui a volte patiscono una discriminazione peggiore che nei loro paesi d’origine.
Perchè?
Per la doppia condizione di essere nello stesso tempo immigrati musulmani e omosessuali. Sono due gruppi sociali minoritari e pertanto sono oggetto di una doppia discriminazione.
Come vi rapportate con loro?
Il nostro principale modo di lavoro è basato soprattutto sulla fiducia.
I paesi occidentali come il nostro possono costituire un rifugio per le persone che, senza smettere di praticare la fede musulmana, possono vivere la loro omosessualità in modo pieno senza nasconderla, oppure come avviene nei loro paesi d’origine, devono tenerla nascosta alla loro comunità?
Qui abbiamo per lo meno la possibilità di cercare di vivere la nostra vita. Anche se molte volte, come nel mio caso, il prezzo è quello di rompere con la comunità stessa.
Com’è possibile aiutare dall’occidente i musulmani che sono perseguitati nei loro rispettivi paesi per il fatto di essere omosessuali?
Dal mio punto di vista, se non esiste una volontà politica, si può fare ben poco. Noi omosessuali non siamo in agenda a nessuno, nessuno reagisce quando ci imprigionano o ci uccidono. Tuttavia nell’ultimo caso avvenuto in Malawi, dopo la rivolta mediatica che ha provocato, si è ottenuto di veder liberare i gay detenuti. E’ necessario lavorare in questa direzione.
Testo originale: Samir Yaizidi