Le persone LGTBI con l’HIV in America Latina. Tra stigma e criminalizzazione
Articolo di Pablo Trillo* pubblicato sul sito de Lavanguardia (Spagna) il 25 luglio 2017, libera traduzione di Dino
La regione dell’America Latina e il Caribe hanno più di 2,1 milioni di persone affette dall’HIV/AIDS e, benché i dati riguardanti il numero di soggetti in trattamento siano aumentati costantemente dall’inizio dell’epidemia, attualmente solo la metà di essi ricevono la cura. Inoltre, il numero di morti – 50.000 nel 1914 – non è diminuito in modo apprezzabile e il numero di nuovi casi – circa 100.000 nel 1914 – si è ridotto appena del 3% tra il 2005 e il 2013.
Nonostante lo sforzo a tutto campo di centinaia di organizzazioni e l’impegno dei governi della regione allo scopo di ridurre le nuove infezioni e interrompere la pandemia, questi numeri evidenziano diversi problemi e mostrano la necessità di una miglior comprensione della malattia HIV e degli aspetti che ruotano attorno ad essa.
Criminalizzazione, violenza e popolazioni chiave.
I numeri domostrano che questa epidemia riguarda soprattutto alcuni gruppi della popolazione: persone transgender, omosessuali, persone dedite alla prostituzione, tossicodipendenti, carcerati e, in alcuni paesi, comunità indigene. Queste popolazioni si vedono costantemente esposte allo stigma, alla discriminazione e alla violenza diretta.
Di fatto, dei 2.215 assassinii di persone transgender e altri gruppi LGTBI, raccolti da Transgender Europe (TGEU) in 65 paesi tra il gennaio 2008 e l’aprile 2016, 1.654 hanno avuto luogo in America Latina. E questo è soltanto la punta di un iceberg di casi mai segnalati.
Ma la violenza diretta non è l’unica forma di discriminazione e di stigma. “Con eccessiva frequenza le persone LGTBI sono escluse dai sitemi di protezione legale, rifiutati dalle famiglie e dalle comunità e mancano di uguaglianza di trattamento nelle scuole, nei luoghi di lavoro, nelle strutture sanitarie e nelle strade. Le molteplici forme di discriminazione aumentano la loro esclusione sociale, cosa che danneggia la loro salute mentale e la loro vulnerabilità alla violenza sessuale, alla violenza di genere, all’HIV e ad altre infezioni sessualmente trasmesse, creando barriere per l’accesso alla salute universale, che riguarda cioè l’intera popolazione“, sottolinea un rapporto dell’Organizzazione Panamericana della Salute (PAHO).
E le statistiche che riguardano l’HIV, in effetti, evidenziano questo complesso e vulnerabile panorama. Un esempio: in base al paese in cui vivono, gli uomini omosessuali possono avere tra 6 e 20 volte più probabilità di vivere con l’HIV. Un altro esempio: la diffusione dell’HIV tra le donne transgender in America Latina è almeno 49 volte maggiore che nel resto della popolazione e, a seconda del paese, oscilla tra il 10 e il 32%. Questa tendenza si ripete in ciascuno dei gruppi chiave. Più di 1.600 persone LGTBI sono state assassinate in America Latina tra il 2008 e il 2016.
La Bolivia è forse uno dei paesi che tutelano meglio e proteggono i diritti umani delle persone che vivono con l’HIV e delle persone LGTBI, riconosciuti nella sua costituzione e garantiti da varie leggi.
“Tuttavia, malgrado questo contesto, lo stigma, la transfobia e l’omofobia sono enormi“, afferma Julio Cesar Aguilera, attivista gay HIV e attuale vicepresidente del Mecanismo de Coordinacion della società civile in Bolivia. “Per questi motivi c’è un’altissima diffusione dell’HIV in queste popolazioni. E il problema è che la società civile o il ministero non vogliono rendere noti questi numeri perchè non si vuole provocare maggior stigma“.
E’ questo stesso stigma a causare il fatto che molta gente non voglia accettare la propria diagnosi, la propria identità di genere o il proprio orientamento sessuale per il timore di essere rifiutati. Così molte persone muoiono a causa della malattia e anche della paura. “Questa è la violenza con la quale viviamo qui. Non è che ci uccidono per il fatto di essere gay, come può succedere in Honduras o in altri paesi, ma è che lo stigma e la discriminazione sono così grandi che la gente soffre e muore per questo“.
Il dramma della “transizione”
Negli ultimi anni Bolivia, Colombia e altri paesi dell’America Latina e del Caribe sono passati, secondo la classificazione della Banca Mindiale, dalla posizione di paesi a Basso Reddito a quella di paesi a Medio Reddito. Questo simbolico passo avanti sta provocando un dramma importante: il finanziamento di donatori internazionali come PEPFAR o il Fondo Mondiale, focalizzati sui paesi più poveri, non stà più arrivando e la risposta alle pandemie a poco a poco resta nelle mani di governi molte volte incapaci di gestirla, sia per reale incapacità che per disinteresse. In particolare la risposta indirizzata alle popolazioni chiave.
I governi di molti di questi paesi si impegnano soprattutto nell’offerta di cure ai malati e dimenticano una serie di azioni mirate verso questi gruppi che sono di somma importanza. Di quanto la Colombia investe nell’HIV, quasi il 90% è utilizzato per offrire trattamenti e per pagare le assicurazioni affinchè diano assistenza ai malati” afferma Miguel Angel Barriga Talero, direttore esecutivo di Corporacion Red Somos (organizzazione non governativa che si occupa di ricerca, valutazione, gestione ed esecuzione di progetti sociali di impatto comunitario e della popolazione, ndr). Cioè la percentuale investita nell’educazione e prevenzione è minima, e ancora di più quella indirizzata ai gruppi più vulnerabili”.
Il finanziamento di PEPFAR o il Fondo Mondiale hanno smesso di arrivare ai paesi considerati di Reddito Medio.
Così, quando il Fondo Mondiale avrà concluso questo processo di cessazione dell’assistenza – chiamato di ‘transizione’ – in questi paesi, scomparirà gran parte degli investimenti di cui beneficiano le numerose organizzazioni che, di fronte alla mancanza di attenzione da parte del governo, si prendono cura e lavorano con queste popolazioni chiave.
“Le conseguenze si stanno già facendo notare in Colombia” avverte Barriga Talero. “Il Fondo Mondiale ha iniziato il suo intervento finanziando 20 regioni e adesso ne finanzia soltanto tre. Queste regioni sono state abbandonate senza che nessuno del paese o del governo sostenesse le strutture (sanitarie )che erano già esistenti e le conseguenze sono già notevoli“.
“Cesseranno di essere disponibili le analisi diagnostiche per le popolazioni chiave o la distribuzione di preservativi, la diffusione aumenterà, così come la mancanza di diagnosi o le morti a causa della malattia“, lamenta Barriga Talero. “Le conseguenze? Sicuramente non raggiungeremo i traguardi del 90-90-90 fissati dall’ONU per il 2020: 90% di tutte le persone che vivono con l’HIV vengano a conoscenza della loro diagnosi; 90% delle persone infette abbiano accesso al trattamento; 90% delle persone in trattamento non abbiano carica virale. Ma al di là dei pronostici, troppa gente soffrirà“.
“Anche la Bolivia deve affrontare una gigantesca sfida” aggiunge Julio Cesar Aguilera. “Nell’ultimo ventennio il Fondo Mondiale ha finanziato la Bolivia con quasi 100 milioni di dollari per l’HIV, la tubercolosi e la malaria. Eravamo molto dipendenti. Ora, in questo processo di transizione che comincerà nel 2019-2021, il Fondo Mondiale ha annunciato che la Bolivia potrà contare soltanto su 18 milioni di dollari per AIDS, tubercolosi e malaria, e che sarà necessaria almeno una contropartita del Governo del 20% di questi fondi“.
Gli appalti sociali
A mano a mano che il denaro cessa di arrivare, le organizzazioni sociali, praticamente le sole orientate a dare assistenza alle popolazioni chiave, sono in affanno. In Colombia “dei 174 servizi comunitari esistenti fino a qualche anno fa ne rimangono soltanto 112, e non sappiamo che ne è stato di molti di essi. Alcuni ci hanno detto che chiudevano semplicemente perchè non ce la facevano più ad andare avanti“.
Allora, chi adesso darà assistenza e cura a queste popolazioni? La cooperazione internazionale diminuisce, cosicchè è necessario che siano i governi di ciascun paese a gestire i servizi comunitari. “E’ quella che chiamiamo ‘contrattazione sociale'” annota Miguel Angel Barriga.
“Abbiamo ancora alcuni anni per prepararci a questa transizione. E’ necessario che il denaro che attualmente è messo a disposizione dal Fondo venga fornito dal Governo e dagli enti territoriali, e che il finanziamento fatto dal Fondo alle organizzazioni sociali si estenda alla cittadinanza attraverso il Sistema Sanitario, riconoscendo il lavoro di queste organizzazioni. La Colombia, la Bolivia e altri paesi di questa regione da anni stanno lavorando affinchè questa contrattazione sociale diventi effettiva. I governi dell’America Latina, il Caribe e molti altri paesi del mondo a reddito medio devono essere capaci di rispondere ed essere all’altezza di questi processi di transizione. L’eradicazione dell’epidemia dipende dalla capacità di comprendere le problematiche dei gruppi più vulnerabili”.
Questa risposta può realizzarsi solo attraverso la comprensione globale di un’epidemia la cui eradicazione non dipende esclusivamente dall’offrire un trattamento alla propria popolazione, ma dal comprendere le problematiche dei suoi gruppi più fragili, tanto esposti allo stigma e all’oblio. Non facendolo, non essendo all’altezza, il lavoro di tanti e tanti anni in risposta a questa epidemia sarà vanificato. E le conseguenze saranno terribili.
* Pablo Trillo è un giornalista di Salute per Diritto, un’organizzazione che dalla Spagna lavora in difesa della salute e dei diritti umani in tutto il mondo.
Testo originale: LGTBI y VIH: estigma y criminalización en América Latina