Il Vescovo Jean-Luc Brunin: “la pastorale con le persone omosessuali nell’ottica dinamica dell’Amoris Laetitia”
Intervento di mons. Jean-Luc Brunin*, presidente del Consiglio Famiglia e Società della Conferenza Episcopale francese e Vescovo di Le Havre (Francia) tenuto all’incontro nazionale dell’associazione cattolica francese Réflexion et Partage, aprile 2017,libera traduzione di Dino
Nel settembre 2012, il CFS (Consiglio Famiglia e Società della Conferenza Episcopale francese) di cui sono presidente, ha pubblicato un testo per stimolare la riflessione e il dialogo nel momento in cui la società francese discuteva di aprire il matrimonio alle persone omosessuali: “Elargir le mariage aux personnes du même sexe ? Ouvrons le débat !” (Concedere il matrimonio alle persone dello stesso sesso? Apriamo la discussione!). Questo testo è stato ricevuto a dir poco freddamente dalla Chiesa cattolica. Ecco allora alcuni elementi che proponiamo alla riflessione dei cattolici e delle persone di buona volontà.
Rifiutare l’omofobia
Una profonda riforma del matrimonio e della genitorialità riguarda tutti i cittadini e dunque dovrebbe essere oggetto di un’ampia discussione. Questo oggi finisce per scontrarsi con l’accusa di omofobia che condanna qualsiasi discussione.
Il rispetto delle persone
Questa situazione ha le sue ragioni d’essere. Per molto tempo le persone omosessuali sono state condannate e respinte. Sono state oggetto di ogni sorta di discriminazione e di derisione. Oggi tutto questo non è più tollerato, la legge vieta ogni discriminazione e ogni incitamento all’odio, in particolare a causa dell’orientamento sessuale, e dobbiamo rallegrarci di questa evoluzione.
Da parte della Chiesa cattolica, la Congregazione per la Dottrina della Fede fin dal 1976 invitava i cattolici ad avere un atteggiamento di rispetto, di ascolto e di accoglienza della persona omosessuale in seno alle nostre società. Dieci anni dopo, la stessa Congregazione sottolineava che le espressioni malevole o i gesti violenti nei confronti delle persone omosessuali erano meritevoli di condanna. Queste reazioni “manifestano una mancanza di rispetto per gli altri che lede i principi elementari su cui si basa una giusta convivenza civile. La dignità propria di ogni persona deve sempre essere rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni“.[1]
La lenta evoluzione delle mentalità
Se il rispetto della persona è dunque chiaramente affermato, bisogna però ammettere che l’omofobia non è altrettanto sparita dalla nostra società. Per le persone omosessuali, la scoperta e l’accettazione della loro omosessualità spesso dipendono da un processo complesso. Non è sempre facile accettare la propria omosessualità nel proprio ambiente professionale o in quello famigliare.
I pregiudizi sono duri a morire e le mentalità sono lente a cambiare, anche nelle nostre comunità e famiglie cattoliche. Esse sono tuttavia chiamate ad essere in prima linea nell’accoglienza di ogni persona, qualunque sia il suo percorso, come figlio di Dio. Perchè, per noi cristiani, ciò che è alla base della nostra identità e dell’uguaglianza tra le persone è il fatto che siamo tutti e tutte figli e figlie di Dio. L’accoglienza incondizionata della persona non comporta l’approvazione di tutte le sue azioni, ma al contrario riconosce che l’uomo è più grande delle sue azioni.
Il rifiuto dell’omofobia e l’accoglienza delle persone omosessuali, così come esse sono, fanno parte delle condizioni necessarie per poter uscire dalle reazioni epidermiche ed entrare in una serena discussione riguardo alla domanda delle persone omosessuali.
Comprendere la domanda delle persone omosessuali
Una realtà diversificata
Effettivamente, i dati statistici che valutano il numero di persone omosessuali, il numero di persone che vivono una relazione stabile con un partner dello stesso sesso, sono rari e difficili da interpretare. Con queste riserve, molti studi dimostrano che le pratiche omosessuali sono cambiate e che l’aspirazione a vivere un rapporto affettivo stabile la si incontra più frequentemente oggi rispetto a 20 anni fa. Questa realtà non è tuttavia omogenea. La convivenza sotto lo stesso tetto, la relazione sessuale o l’esclusività del rapporto non sempre entrano a far parte degli elementi di una tale relazione stabile.
Una richiesta di riconoscimento di questa realtà
La diversità delle pratiche omosessuali non deve impedire di prendere sul serio le aspirazioni di coloro che desiderano impegnarsi in un legame stabile. Il rispetto e il riconoscimento di ogni persona rivestono ormai nella nostra società una primaria importanza. Le discussioni sul multiculturalismo, il razzismo, il femminismo e l’omofobia sono sottesi da questa richiesta di riconoscimento che oggi si esprime in modalità egualitarista. Il non-riconoscimento è vissuto come oppressione o discriminazione.
Alcuni spingono agli estremi questo discorso egualitarista. Essi ritengono che ogni differenza faciliti il crearsi di un rapporto di potere e di conseguenza un rischio di dominazione di uno sull’altro: dominazione dell’uomo sulla donna, dominazione del bianco sul nero, dominazione dell’eterosessuale sull’omosessuale, ecc. Secondo loro la sola soluzione per combattere l’oppressione o la discriminazione sarebbe quella di cancellare le differenze o, in ogni caso, di negare ogni loro rilevanza nell’organizzazione della vita sociale.
La volontà di cancellare le differenze
E’ in questo contesto che si colloca il processo di trasformazione del matrimonio per renderlo accessibile alle persone dello stesso sesso. La richiesta mira a far riconoscere che l’amore tra due persone dello stesso sesso ha lo stesso valore dell’amore tra un uomo e una donna.
La differenza tra i due, per quanto riguarda la procreazione naturale, è cancellata o giudicata non pertinente per la società. La ricchezza rappresentata dall’alterità uomo/donna sia nei rapporti individuali che in quelli collettivi, è passata sotto silenzio. L’unica cosa che sembra contare è il riconoscimento della persona omosessuale e il fatto di mettere fine alla discriminazione di cui essa ritiene di esser vittima in una società eteronormativa.
Il valore di una relazione affettiva duratura.
La società, proprio come la Chiesa nel campo che è di sua competenza, sente questa domanda da parte delle persone omosessuali e deve cercare una risposta. Pur affermando l’importanza dell’alterità sessuale e il fatto che i partner omosessuali si differenziano dalle coppie eterosessuali per l’impossibilità di procreare naturalmente, possiamo vedere in questa richiesta il desiderio di un impegno alla fedeltà di un affetto, di un attaccamento sincero, della cura dell’altro e di una solidarietà che va oltre la riduzione della relazione omosessuale ad un semplice impegno erotico.
Ma questa valutazione non consente di ignorare le differenze. La domanda delle persone omosessuali è sintomatica della difficoltà che la nostra società trova nel vivere le differenze nell’uguaglianza. Piuttosto che negare le differenze provocando una disumanizzazione dei rapporti tra i sessi, la nostra società deve cercare di garantire l’uguaglianza delle persone rispettando le differenze strutturanti che hanno la loro importanza per la vita personale e sociale.
Queste riflessioni che avevamo messo a disposizione dei nostri concittadini per aiutarli ad uscire da un atteggiamento guidato dall’emotività, hanno trovato il loro prolungamento pratico nell’insegnamento di papa Francesco. Dal mese di luglio 2013, qualche mese dopo l’inizio del suo pontificato, egli sull’aereo che lo riporta dai GMG di Rio dichiara: “Il problema non è avere questa tendenza, ma è fare del lobbyng. Secondo me è questo il problema più grave. Se una persona è gay e cerca il Signore con buona volontà, chi sono io per giudicarla?”
Questa frase può essere intesa come uno slogan. Perciò vorrei approfondire e dare delle basi antropologiche all’atteggiamento pastorale che papa Francesco vuole che la Chiesa cattolica adotti.
I.A Un necessario ritorno critico sulla linea d’azione nella pastorale delle famiglie
La lettura dell’Esortazione Apostolica può avere un aspetto destabilizzante perché al di là della constatazione degli effetti negativi di alcune evoluzioni culturali della società per ciò che riguarda la vita coniugale e famigliare, essa incoraggia la Chiesa ad operare una revisione critica sulle sue pratiche pastorali, sia nella preparazione al matrimonio che nella formazione dei genitori alla responsabilità educativa, o ancora nell’accompagnamento della vita coniugale e famigliare anche nelle loro fragilità.
Amoris Laetitia incoraggia un atteggiamento di umiltà di fronte alle attuali esigenze di una Pastorale delle famiglie: “Dobbiamo essere umili e realisti per riconoscere che talvolta il nostro modo di presentare le convinzioni cristiane e il modo di trattare le persone hanno contribuito a provocare quello di cui oggi ci lamentiamo. Per questo abbiamo bisogno di una salutare reazione di autocritica”. (A.L n° 36)
Più positivamente ricorda: “Ciò esige un percorso pedagogico, un processo che include delle rinunce. E’ una convinzione della Chiesa che spesso è stata combattuta, come se essa fosse contraria alla felicità dell’uomo. Benedetto XVI ha raccolto questi interrogativi con grande chiarezza: “La Chiesa, coi suoi comandamenti e i suoi divieti, non ci rende amara la più bella cosa della vita? Non innalza delle barriere di divieto proprio là dove la gioia prevista per noi dal Creatore ci offre una felicità che ci fa pregustare qualcosa di Divino?” (A.L n° 147)
I.B La vocazione universale all’amore
L’esortazione apostolica che riguarda il matrimonio e la famiglia si basa interamente sulla vocazione fondamentale che Dio propone ad ogni persona umana. Questa vocazione umana è vocazione all’amore. Nessuno è escluso da questo invito a portare a compimento e a far sbocciare la propria umanità nella gioia dell’amore. E’ un richiamo che niente può squalificare o rendere impossibile.
I.C La sfida di accompagnare situazioni di fragilità e il posto ritrovato della coscienza
L’Esortazione Apostolica insiste sull’importanza di accompagnare e di discernere. Questo invito che permea tutto il contenuto dell’Esortazione Apostolica cozza con la constatazione delle difficoltà e della complessità delle situazioni delle famiglie. E’ nella complessità che un accompagnamento deve poter essere vissuto rispettando lo spazio della coscienza delle persone. Si tratta di accompagnare e di aiutare al discernimento in vista di una presa di decisione davanti a Dio.
Prevale allora da molte parti e in molti soggetti dediti all’attività pastorale (preti, diaconi, laici) la consapevolezza di dover avere una formazione per poter garantire un accompagnamento che sia utile per il discernimento delle persone e la loro presa di decisione davanti al Signore, come incoraggia l’Esortazione: “Ci costa anche fare spazio alla coscienza dei fedeli che spesso rispondono del loro meglio e con i loro limiti al Vangelo e possono esercitare il loro stesso discernimento in situazioni nelle quali tutti gli schemi risultano inadeguati. Noi siamo chiamati a formare le coscienze, ma non a pretendere di sostituirci ad esse“. (A.L n° 37) Così: “Ciò apre la porta ad una pastorale positiva, accogliente, che rende possibile un approfondimento progressivo del Vangelo“. (A.L n° 38)
I.D Lo spazio e il ruolo della coscienza personale
E’ necessario dare spiegazioni riguardo allo spazio e al ruolo della coscienza. Il malessere avvertito da alcuni di fronte al primato che Amoris Letitia, riprendendo i lavori del Sinodo, attribuisce alla coscienza personale, è legato ad una concezione post-moderna della coscienza, soggettivista e individualista. In una tale prospettiva, si ragiona opponendo autorità e soggettività. La coscienza va allora di pari passo con la soggettività e definisce la libertà del soggetto.
L’autorità è percepita come una limitazione, addirittura come minaccia e negazione della libertà di coscienza. Papa Franceso, nella linea di riflessione dei Padri Sinodali, affronta la questione della coscienza partendo da un altro punto di vista, quello di un’antropologia della relazione. La coscienza (etimologicamente: sapere insieme) si costruisce in una relazione (dialogo con gli altri, dialogo con Dio). La coscienza è così “il centro più segreto dell’uomo, il santuario in cui egli è solo con Dio e in cui la Sua voce si fa sentire” (Gaudium et Spes n° 16, citato da Amoris Laetitia n° 222).
La concezione post-moderna della coscienza, sulla quale si basano spesso quelli che fanno resistenza all’approccio di Amoris Laetitia, è all’origine dell’atteggiamento autoreferenziale che Papa Francesco denuncia regolarmente. E’ sulla divergenza di approccio che si colloca l’attuale malinteso riguardo alla riconoscenza del primato della coscienza nella decisione morale.
Il Papa, interrogato sulle resistenze suscitate da Amoris Laetitia, nell’ottobre scorso ha dichiarato: “Penso che Bernard Haring ha cominciato a cercare un nuovo modo di aiutare la teologia morale a rifiorire.” [2] Dà così una chiave di comprensione dell’insistenza messa in Amoris Laetitia riguardo al posto e al ruolo della coscienza. L’approccio della questione nel seguito del Concilio Vaticano II, è determinato da quello che padre Bernard Haring chiama la reciprocità delle coscienze.
Analizziamo, secondo l’invito di Papa Francesco, la riflessione di padre Haring. La reciprocità delle coscienze si colloca in primo luogo nel rispetto dimostrato alla coscienza dell’altro, E’ un atteggiamento essenziale per un dialogo in reciprocità. Qualsiasi prospettiva unilaterale nella relazione dei cristiani con gli altri, dalla Chiesa al mondo, sarebbe una chiusura nell’ “io” che presto diventerebbe un “io” vuoto, malsano, alienato e ingannevole. Non possiamo trovare la verità rivolgendoci verso il nostro io isolato, Rischiamo di scoprire rapidamente vuoto e tenebre.
Tener conto della coscienza degli altri ed unirci ad essa nalla ricerca della verità della salvezza, ha delle conseguenze che determinano il giusto atteggiamento pastorale della Chiesa. Essa ha bisogno degli altri e sarà veramente “maestra di verità” nella misura in cui saprà incontrarsi con gli altri nella ricerca di una miglior conoscenza della verità e di soluzioni giuste per rispondere ai nuovi problemi (Gaudium et Spes n# 44). Se i cristiani volessero sottrarsi alla “reciprocità delle coscienze“, ignorerebbero che la grazia dello Spirito può agire dappertutto. L’accompagnamento in un percorso di dicernimento, sempre ripettoso della coscienza della persona, partecipa a questa reciprocità delle coscienze.
Papa Francesco fa notare che padre Haring cita gli avvertimenti che sant’Alfonso de’ Liguori nelle sue “apologie” italiane, indirizzava ai rigoristi che volevano imporre le loro opinioni come un obbligo legale. I moralisti potevano sostenere posizioni che si sono rivelate false perchè avevano fissato le loro posizioni morali senza preoccuparsi di cercare una maggior illuminazione nell’unione con gli altri.
Colui che cerca con sincerità la verità, fedele alla sua coscienza personale e sempre in unione con gli altri, si pone sulla via della scoperta di soluzioni conformi alla verità. Cosa che il Papa esprime con altri termini in Amoris Laetitia: “comprendere la propria situazione davanti a Dio e cercare di rispondere in maniera giusta a quello che il Signore aspetta“.
Perciò “bisogna evidentemente incoraggiare la maturazione di una coscienza illuminata, formata e accompagnata dal discernimento responsabile e serio del Pastore, e proporre una fiducia sempre più grande nella grazia“. (Amoris Laetitia n° 303)
Si comprendono presto gli aspetti implicati nell’atteggiamento pastorale: “Capisco quelli che preferiscono una pastorale più rigida, che non si presta a nessuna confusione. Ma credo sinceramente che Gesù Cristo voglia una Chiesa attenta al bene che lo Spirito spande in mezzo alla fragilità.” (308)
Una Chiesa in dialogo evita la trappola di cadere in un soggettivismo che inevitabilmente sfocia in intolleranza, in autoritarismo, in giudizio cieco e perentorio.
Papa Francesco dunque non cambia nè la regola disciplinare, nè la dottrina, ma ci invita a tener conto della complessità delle realtà e delle situazioni umane in cui noi cerchiamo di sentire la voce di Dio che ci chiede di progredire su un cammino di crescita umana e spirituale.
I.E Lo sgomento di fronte all’assenza di direttive a vantaggio di un discernimento caso per caso
Talvolta sentiamo esprimere un certo sgomento di fronte all’assenza di norme e prescrizioni chiare e precise. L’Esortazione Apostolica, pur ricordando gli insegnamenti della Tradizione della Chiesa, rimanda a una riflessione e a disposizioni pastorali determinate a partire da situazioni e da contesti particolari. All’inizio del capitolo 6 su alcune prospettive pastorali, Papa Francesco avverte:
“Sono le diverse comunità che dovranno elaborare delle proposte più pratiche ed efficaci, che tengano ugualmente conto sia degli insegnamenti della Chiesa che delle necessità e delle sfide locali.” (A.L n° 199)
e ancora:
“La Chiesa esiste solamente come strumento per comunicare agli uomini il disegno misericordioso di Dio… Al Concilio, la Chiesa ha sentito la responsabilità di essere nel mondo come un segno vivente dell’amore del Padre… Questo sposta l’asse della concezione cristiana, da un certo legalismo, che può essere ideologico, alla persona di Dio che si è fatto Misericordia nella persona di Suo Figlio. Alcuni – pensate ad alcune risposte ad Amoris Laetitia – continuano a non comprendere, è tutto bianco o tutto nero, mentre è nel flusso della vita che bisogna discernere. E’ quello che ci ha detto il Concilio“. (Intervista rilasciata da Papa Francesco ad Avvenire, venerdì 18 novembre 2016).
I.F Una sfida pastorale all’integrazione
L’orizzonte dell’accompagnamento e del discernimento che esso deve permettere al fine di una decisione in coscienza, è sempre costituito dall’integrazione. La sequenza che sembra imporsi alla Pastorale famigliare è chiaramente definita: accompagnare, discernere, integrare.
“Il Sinodo ha fatto riferimento a varie situazioni di fragilità o di imperfezione. A questo proposito, vorrei qui ricordarvi qualcosa di cui ho voluto rendere partecipe con chiarezza tutta la Chiesa, affinchè non sbagliamo strada: “Due logiche percorrono tutta la storia della Chiesa: escludere e reintegrare […]. La strada della Chiesa, dopo il Concilio di Gerusalemme, è sempre quella di Gesù: quella della misericordia e dell’integrazione […]“. (A.L n° 296)
“Si tratta di integrare tutti, si deve aiutare ciascuno a trovare il proprio modo di far parte della comunità ecclesiale, affinché si senta oggetto di una misericordia “immeritata, incondizionata e gratuita“. “Nessuno può essere condannato per sempre, perché non è la logica del Vangelo!” (A.L n° 297). Per i battezzati divorziati e risposati civilmente, ma anche per tutti coloro che la Chiesa accompagna “la logica dell’integrazione è la chiave del loro accompagnamento pastorale.” (A.L n° 296)
Il Papa tuttavia mette delle condizioni all’integrazione. Nessuno infatti può imporsi a una comunità cristiana. Se la comunità deve convertirsi per accogliere e rendere possibile l’integrazione, non per questo essa diventa un ricettacolo di ogni ideologia o comportamento! La persona che esprime il desiderio di entrare a far parte della comunità dei discepoli di Cristo deve poter trovare sempre accoglienza, ascolto e accompagnamento. Ma essa deve anche consentire che venga fatto su di essa un lavoro per consentire che la Grazia di Dio converta il suo cuore e i suoi comportamenti. Così Papa Francesco precisa:
“Beninteso, se qualcuno fa ostentazione di un peccato oggettivo come se questo peccato facesse parte dell’ideale cristiano, o vuole imporre una cosa diversa da ciò che insegna la Chiesa, non può pretendere di tenere dei corsi di catechesi o predicare, e in questo senso c’è qualcosa che lo separa dalla comunità (cf. Mt18, 17). Bisogna riascoltare l’annuncio del Vangelo e l’invito alla conversione.” (n° 297)
Tuttavia anche qui è necessario un discernimento. I pastori sono spesso testimoni che persone in situazioni difficili soffrono di una forma di esclusione. Esse possono essere aggressive ma non necessariamente stanno pretendendo di affermare che la loro vita è l’ideale.
Una seconda dimensione dell’integrazione è percepita meno spesso, ma essa è altrettanto essenziale. Si tratta dell’integrazione dei doni di Dio per avanzare sul cammino che Egli ci chiama a percorrere (cf. la pedagogia divina). Al n° 122 il Papa Francesco riprende l’espressione di Papa San Giovanni Paolo II in Familiaris Consortio, n° 9: “un processo dinamico che poco a poco avanza grazie all’integrazione progressiva dei doni di Dio“. Questo conferisce una nuova dimensione all’accompagnamento in cui siamo chiamati a discernere gli elementi positivi dell’esperienza umana e spirituale delle persone, anche se la loro situazione oggi è imperfetta, incompleta o addirittura peccaminosa. Accompagnare consisterà allora nel sostenere il lavoro della Grazia in un processo di crescita e di completamento. La Parola di Dio, “compagna di viaggio” e la Grazia di Dio conducono verso il completamento ciò che è incompleto, verso la perfezione ciò che è imperfetto, verso la santità ciò che è ancora marchiato dal peccato.
L’obiettivo rimane sempre l’integrazione nella comunità ecclesiale. Le forme di questa integrazione sono diverse (impegni caritatevoli, partecipazione all’animazione liturgica, catechesi, accompagnamento dei catecumeni…). Il processo di integrazione non è mai finito, è sempre una risposta personale, illuminata e accompagnata, al richiamo del Signore.
______________
[1] Documentation catholique 1976, n°1691, §8 ; Documentation catholique 1986, n°83, p. 1160-1164.
[2] Civiltà Cattolica, intervista a papa Francesco del 25 ottobre 2016.
* Mons. Jean-Luc Brunin (Presidente del Consiglio Famiglia e Società della Conferenza Episcopale francese e Vescovo di Le Havre) è intervenuto in occasione dell’ultimo incontro nazionale dell’associazione cattolica Réflexion et Partage, nell’aprile 2017, su “Ciò che c’è di nuovo nella pastorale: vale a dire il dinamismo dell’Amoris Laetitia“.
Testo originale:La nouvelle donne pastorale dans la dynamique d’Amoris Laetitia