Il Brasile evangelico e omofobico ai tempi del «LavaJato»
Articolo di Ivangrozny Compasso pubblicato su Il manifesto del 6 ottobre 2017, pag.8
Se le violenze nelle favelas della sola Rio hanno provocato la morte di 3.600 neri solo quest’anno, uno studio presentato all’Onu dalla ong «Grupo Gay de Bahia» denuncia che nel 2016 in Brasile ci sono stati ben 343 omicidi a sfondo omofobo. Praticamente uno al giorno. Nel 2017 questo dato è addirittura in crescita, con 277 morti nei primi otto mesi dell’anno.
NUMERI AGGHIACCIANTI. In Brasile quella dell’omofobia è una piaga. Sono in tanti, non solo tra i poveri e i meno istruiti, a credere che l’omosessualità sia «una malattia curabile». I motivi per spiegare una strage che va sicuramente avanti da molto più tempo di quanto dicano gli studi sono molti, ma certo c’è chi ogni giorno alimenta questo clima ostile nei confronti della comunità Lgbti. Molto attive in queste campagne sono le congregazioni cristiane evangeliche, un movimento religioso con chiare aspirazioni politiche ramificato in diversi partiti regionali. Un fenomeno cresciuto esponenzialmente negli anni e che conta oggi 42 milioni di adepti, con numerosi eletti nel parlamento nazionale (77, con 23 consiglieri di ministri del governo Temer) e nei governi statali, 105 sindaci e 13 assessori solo a San Paolo. Possiedono canali tv, giornali e siti web. Rigidi conservatori,approfittano della crisi economico- sociale e del vuoto politico con una propaganda che in Italia definiremmo «populista».
L’INCHIESTA LAVA JATO, la tangentopoli in salsa brasiliana, ha falcidiato la classe politica e spazzato via una intera classe dirigente. Gli evangelici cercano semplicemente di riempire il vuoto. È questa lobby politico- spirituale ad aver spinto di più per la soluzione armata nelle favelas, soprattutto a Rio, di fatto da anni il più importante laboratorio politico per gli evangelici. Pronti a mettersi di traverso sui temi che riguardano le libertà personali e i diritti della donna, come l’aborto. Così non stupisce trovarli al fianco del giudice federale Waldemar Claudio de Carvalho, di Brasilia. Il giudice a metà settembre scorso ha firmato un provvedimento, provvisorio, che autorizza gli psicologi a trattare l’omosessualità come una malattia. Dal 1999 il Consiglio federale di psicologia (Cfp) proibisce ai medici di offrire questa terapia di «inversione dell’orientamento sessuale», meglio nota come«cura dei gay». Alcuni partiti conservatori locali avevano quell’anno avanzato questa proposta di legge, travolta poi dalle proteste. Il Consiglio federale brasiliano di psicologia ha annunciato che ricorrerà contro la sentenza e ha già organizzato proteste pubbliche nelle maggiori città. Anche a São Paulo e Porto Alegre, dove sono presenti le maggiori associazioni Lgbt che sono scese per le strade organizzando presidi e flash mob. In una nota ufficiale gli psicologi del consiglio descrivono la «terapia di inversione» come «una violazione dei diritti umani e una pratica priva di alcuna base scientifica».
Ultimo colpo messo a segno da chi attraverso la religione fa politica è il provvedimento che autorizza l’insegnamento religioso nelle scuole pubbliche. Deciso dalla plenaria della Corte Suprema con un voto sofferto (6 voti a favore e 5 contrari), si sperava potesse essere annullato dalla presidente, la giudice Carmen Lucia Antunes Rocha. A parere di giuristi e molti esperti in materia, il provvedimento era chiaramente incostituzionale. Nonostante questo, proprio la giudice Rocha, che ha votato per ultima vista la carica che ricopre,ne ha consentito il passaggio dopo quattro round di dibattimento nella plenaria della Corte suprema. Uscendo dalla Corte Suprema, la Rocha ha dichiarato che «è giusto e possibile offrire contenuti confessionali a soggetti che lo scelgono, nelle scuole pubbliche». Per lei quindi, non viene contraddetto il carattere secolare dello stato perché la disciplina non può essere offerta, obbligatoriamente, agli studenti degli istituti statali.
Le due decisioni dei giudici hanno provocato un’ondata d’indignazione. Come capita poi sempre in questi casi esponenti importanti del mondo della cultura e dello spettacolo sono stati i primi a firmare appelli e a manifestare. Tra le più attive in questo senso, la top model Giselle Bundchen seguita dalle le popstar Anitta e Ivete Sangalo, che hanno sfruttato ogni esibizione e i social per gridare la loro preoccupazione. Ma gli ambienti dello star system non sono immuni.
In giugno ha fatto discutere un’intervista in cui il modello Alexandre Mortágua racconta il dramma vissuto quando i genitori hanno scoperto la sua omosessualità. A 15 anni venne sottoposto a visite e trattamenti di ogni tipo, comprese sedute di esorcismo. Una volta constatato che non c’era un «rimedio», i genitori hanno troncato ogni rapporto con il ragazzo. Alexandre Mortágua è figlio della star della moda Cristina Mortágua e dell’ex calciatore della Fiorentina Edmundo, che da quando ha appeso le scarpe al chiodo non è più O’ Animal,ma O’ Evangelico.