Chi ha paura di padre James Martin? Tra censure e solidarietà
Articolo di Ludovica Eugenio pubblicato sul settimanale Adista Notizie n°33 del 30 settembre 2017, pagg.10-11
Moltissime le dichiarazioni di solidarietà al gesuita p. James Martin, sotto attacco della destra cattolica statunitense per il suo libro Building a Bridge, un invito a un dialogo bilaterale tra Chiesa e persone Lgbt (v. notizia precedente). Le attestazioni sono arrivate in primis dalla Compagnia di Gesù: il presidente e direttore dei Media America, il gesuita p. Matt Malone, che ha definito gli attacchi a Martin «immotivati, ingenerosi e non cristiani», i diretti superiori del gesuita, p. John Cecero e p. Timothy Kesicki, l’ex direttore di America p. Thomas Reese, la Conferenza dei gesuiti canadesi e statunitensi; ma anche, ad esempio, da parte di altre congregazioni religiose, come la Società dei sacerdoti missionari di San Paolo.
Importante e significativa l’appassionata difesa, su America, del vescovo di San Diego mons. Robert McElroy: «P. Martin è un esimio saggista gesuita che ha passato la vita a costruire ponti all’interno della Chiesa cattolica e tra la Chiesa e il mondo», si legge. «Pochi evangelizzatori si sono avventurati in quel territorio con più passione, competenza e dedizione. E lo ha fatto sapendo che i temi teologici relativi alla sessualità costituivano forse l’elemento più esplosivo della vita ecclesiale nella cultura statunitense».
Building a Bridge è un libro «rigoroso, e come ogni lavoro del genere suscita critica e dialogo». La campagna denigratoria che è nata «per insultare p. Martin, distorcere il suo lavoro, etichettarlo come eterodosso, uccidere il suo personaggio e annientare le idee e il dialogo che ha avviato», prosegue il vescovo, «va affrontata e smascherata perché questo cancro della denigrazione penetra nella vita istituzionale della Chiesa».
Le istituzioni che hanno cancellato gli interventi del gesuita, in seguito a pressioni esterne, hanno raggiunto la pace ma così facendo «hanno accettato e rinforzato una tattica e obiettivi profondamente offensivi per la cultura cattolica negli Stati Uniti e per la cura pastorale dei membri delle comunità Lgbt». L’attacco concertato a Martin, sottolinea McElroy, «è stato guidato da tre impulsi: l’omofobia, una distorsione della teologia morale cattolica fondamentale e un subdolo attacco a papa Francesco e alla sua campagna contro il moralismo nella Chiesa». Per i nemici di Martin, quindi, la riconciliazione tra Chiesa e persone Lgbt sarebbe una «grave minaccia culturale, religiosa e familiare». Insomma, considera il vescovo, l’attacco al libro di Martin deve suonare come «un allarme per la comunità cattolica, che deve guardarsi dentro e liberarsi del bigottismo contro la comunità Lgbt. Se non lo facciamo, apriremo un abisso tra Chiesa e Lgbt, ma anche tra Chiesa e Dio».
Quanto alla teologia morale, la castità, «virtù importante della morale cristiana», non è tuttavia, afferma McElroy «la virtù centrale». Lo è, invece, l’amore per Dio e per il prossimo. Questa distorsione inficia i discorsi su sessualità e omosessualità. In particolare, molti di quelli che attaccano Martin semplicemente «non perdonano a papa Francesco la storica frase “Chi sono io per giudicare?”, e tutta la polemica sul libro riguarda in realtà proprio il voler bandire o meno il moralismo dalla vita ecclesiale». Si tratta, analizza Massimo Faggioli, di un «livore che sta trasformando profondamente la comunione della Chiesa cattolica. E non solo nella sua etica, ma anche nel suo funzionamento. Evidenzia un nuovo tipo di censura che usa la violenza verbale per intimidire singoli cattolici e istituzioni della Chiesa, istituzioni che esistono (anche) per tutelare i diritti dei cattolici». E, in secondo luogo, la vicenda fa emergere «una radicalizzazione, più in generale, della controffensiva conservatrice non solo sui temi Lgbt, ma anche su altri, come la liturgia».
Quanto a p. Martin, non si aspettava certamente questo livello di odio e di omofobia. Ma la questione più importante, ha detto su America, «è come la Chiesa affronterà questi siti internet ben finanziati e organizzati e questi individui che sono motivati dall’odio, e che sembrano avere la stessa influenza dei vescovi locali nell’ottenere la cancellazione di una conferenza. Insomma, come potremo affrontare i cattolici che odiano?». «La resistenza più importante – ha scritto sulla sua pagina Facebook – deve essere quella contro individui o gruppi che si ergono ad arbitri dell’ortodossia, di un magistero parallelo attivo nella denigrazione personale e in attacchi feroci. Uno degli aspetti ironici di questo episodio è che i vescovi locali delle tre diocesi coinvolte (Londra, New York e Washington) erano assolutamente d’accordo sul fatto che io intervenissi». Le tre istituzioni che hanno disinvitato Martin si sono lasciate influenzare «più dal timore di proteste e di pubblicità negativa che dalle opinioni dei loro ordinari, tutti e tre cardinali».
A provocare le iniziative dei tre istituti, rabbia e paura: «Nel caso del Theological College, – spiega Martin – la paura di proteste indignate che rovinassero il loro “Alumni Day”. Nel caso dell’Ordine del Santo Sepolcro, la rabbia di alcuni membri sul tema dei cattolici Lgbt. Nel caso del Cafod, il timore che la mia presenza in sé destasse un’attenzione negativa, visti analoghi problemi attraversati in un altro caso recente».
La paura, insomma, come forza motrice di queste prese di distanza: «Paura di proteste, di violenza, di cattiva pubblicità, di sovvenzionatori arrabbiati, di perdere donazioni, di offendere, eccetera. Ho sentito l’angoscia nella loro voce». E di fronte agli attacchi, Martin esorta all’indifferenza, a non rispondere, a ignorare («Non nutrite i troll!»), a non lasciarsi amareggiare, ad avere compassione.