Le famiglie cattoliche con figli LGBT e la Diocesi di Torino. L’inizio di un cammino
Riflessioni di Franco del Tavolo di lavoro “Fede e omosessualità” della Diocesi di Torino
Il 1 novembre 2017 il Tavolo di lavoro “Fede e omosessualità” e l’ufficio pastorale della famiglia della Diocesi di Torino hanno tenuto nella Parrocchia di Maria Regina Mundi di Nichelino (Torino) un incontro dal titolo: “Famiglie cattoliche e figli omosessuali, timori reciproci e opportunita’ possibili“.
La giornata del primo novembre è stata organizzata per offrire uno spazio concreto ai genitori per raccontarsi e raccontare quello che può significare comprendere, realizzare, fare passare dallo spazio dell’ipotetico a quello del reale l’omosessualità della propria figlia o del proprio figlio.
Le coppie che hanno preso la parola ci hanno regalato i loro racconti ironici, talvolta scanzonati, a volte più complicati perché i figli e le figlie non sono tutti uguali e, di conseguenza, i percorsi di avvicinamento che si compiono per riallineare le vite e costruire uno spazio di reciproca accoglienza, di ricerca e di prossimità devono tenere conto di queste soggettività. Lo sapevamo che essere persone Lgbt non ci rende tutte e tutti omologabili.
I genitori ci hanno segnalato un paio di questioni che ci sembrano centrali per ben indirizzare la Pastorale Lgbt:
La narrazione, il racconto sono una necessità insopprimibile della persona umana e non è una prerogativa dei grandi scrittori. Cechov scriveva “A chi mai canterò la mia tristezza?”. Iona (il personaggio de “La malinconia” di Cechov che racconta le sue pene) parla in fondo delle qualità della parola e della narrazione: informativa, performativa, capace di trasformare e di liberare. La stessa cosa ci hanno restituito i genitori: senza la comunicazione all’altro il dolore si incancrenisce. Se si infrange la fiducia che rende possibile la condivisione di quel segreto, così “impegnativo” ed inesplicabile, l’isolamento e l’autismo spirituale possono diventare una cella.
La fatica, ma anche la creatività e la passione dei genitori che non rinunciano, che passano attraverso la paura, la vergogna, i disagi, i silenzi, meritano attenzione non meno delle fatiche dei figli e delle figlie poiché pensiamo facciano parte di un “pachetto” difficilmente frazionabile. Una mamma nel raccontare l’esperienza della sua famiglia (a proposito delle qualità del raccontare e del raccontarsi) diceva che il primo “atto liberatorio” starebbe nel rendersi visibili agli altri, nel dire NOI E I NOSTRI FIGLI esistiamo qui ed ora. E poi: la disponibilità ad accogliere le altre storie sono un primo passo su cui si costruiscono consapevolezza e solidarietà. Può sembrare curioso ma l’abc della emancipazione e liberazione delle persone Lgbt è veramente vicino per forma e contenuti a quanto suggerito da questi genitori.
Anche se la Chiesa cattolica per tanto tempo ha preferito fare finta di nulla, ha trattato l’esistenza delle persone Lgbt con imbarazzo, impreparazione, formulette sbrigative e trasmettendo valori e atteggiamenti che poco avrebbero a che fare con la sequela di Cristo – primo fra tutti la rimozione – sono i genitori stessi che vorrebbero tenere per mano quei figli e, contemporaneamente, non mollare la Chiesa. Un gesto che inchioda al comandamento dell’amore: mentre si “rivendica” dignità per figli uguali e diversi, si sollecitano le comunità cristiane ad una accoglienza sempre meno formale in nome dello stesso comandamento. A ben vedere un atto d’amore che più delle barricate ambirebbe a costruire ponti, relazioni, sguardi nuovi.
Dopo la pausa pranzo si è cercato di fare un momento di condivisione sulle proposte operative, su quanto è possibile proporre, promuovere per andare verso una Chiesa più accogliente ed inclusiva rispetto alle persone Lgbt. Don Gianluca Carrega, ricordandoci che le risorse per la Pastorale e l’accompagnamento delle persone Lgbt non sono infinite, ci ha richiamati sulla necessità di valutare un orientamento verso cui indirizzare le nostre attività: “È più urgente creare delle “unità di crisi” dei punti di accoglienza e di ascolto dei genitori di persone Lgbt? E’ preferibile creare ed offrire delle occasioni di formazione ed informazione mirate per genitori, clero, religiose/i, educatori?”.
Il tempo per la discussione e l’approfondimento di queste due modalità, entrambe ritenute utili e necessarie, è stato decisamente poco perché si doveva celebrare la S. Messa in un orario che consentisse a chi veniva da lontano di partire ad un’ora non troppo tarda. Ma pareva emergere un maggiore richiesta verso un offerta formativa.
Un grazie a tutti gli intervenuti e in particolare a Don Mario per l’ospitalità e per la sua attenzione in quanto Responsabile dell’Ufficio Famiglia della Diocesi di Torino.