Dopo il caso del capo scout gay i lettori di Avvenire la pensano così
Articolo di di Luciano Moia e lettere pubblicate su Avvenire di 11 novembre 2017
Dall’intervento dell’arcivescovo Redaelli alle riflessione dell’Agesci e delle altre realtà educative. Tavoli di lavoro (riservati) da parte degli esperti e accoglienza delle persone. Un cammino che incoraggia speranza e suscita dibattiti. Quale svolta per la pastorale? Ecco il punto della situazione, l’analisi di un vescovo e a alcune lettere ad Avvenire
La vicenda del capo scout della parrocchia di Staranzano (Gorizia) che ha scelto di rendere palese la sua omosessualità contraendo un’unione civile con il proprio partner, risale al giugno scorso, ma ancora continua a suscitare interrogativi e perplessità. Il caso si è dilatato dopo la lettera aperta dell’arcivescovo di Gorizia, Carlo Maria Redaelli, che, nelle settimane successive, ha affrontato la questione offrendo alcuni criteri per il discernimento. In particolare il presule, spiegando che sarebbe fuorviante alla luce di una corretta visione della fede cristiana, attendersi «indicazioni normative vincolanti per ogni questione e per ogni circostanza», ha sollecitato l’Agesci e le altre realtà ecclesiali di carattere educativo «a giungere ad alcune indicazioni condivise e sagge».
Un auspicio che da Gorizia si è riverberato immediatamente, con tutta la difficoltà e la delicatezza del caso, sul piano nazionale, perché sarebbe curioso che gli scout assumessero una determinata posizione nel Triveneto e un’altra, magari di segno opposto, in altre parti d’Italia. Allo stesso modo è stata sottolineata la necessità di una posizione univoca anche da parte delle altre realtà educative – parrocchie, associazioni, movimenti, gruppi legati a congregazioni e istituti – che si trovano ogni giorno a fare i conti con tematiche nuove, o comunque oggi sempre più presenti nella realtà sociale, da consigliare forme rinnovate di accompagnamento e di formazione anche per gli stessi educatori.
Sul tema si sono svolti alcuni incontri informali, altri sono programmati nelle prossime settimane, anche con la partecipazione di esperti autorevoli, vescovi e specialisti del settore. Non ne diamo conto perché è opportuno che questi confronti si svolgano in modo riservato e che i partecipanti possano esprimersi in modo aperto e franco, come esige l’importanza e la complessità del tema, senza alcun rischio di strumentalizzazione e senza clamori mediatici. È bene dire subito che nessuno sta riscrivendo la dottrina morale a proposito della sessualità e che non esiste alcuna commissione segreta, come si continua a ripetere erroneamente a proposito di Humanae vitae. Qui non ci sono ricette precostituite, non c’è un progetto pastorale pronto all’uso da applicare in modo automatico.
Nell’articolo qui di seguito, il vescovo di Parma, Enrico Solmi, che è stato presidente della Commissione episcopale per la pastorale familiare e ha coordinato alcune esperienze diocesane sul tema, offre alcune coordinate perché le proposte di accompagnamento risultino pienamente evangeliche. Grazie al cielo sono ormai tante, sia quelle ufficiali sia quelle portate avanti riservatamente, le buone esperienze a livello locale che offrono vicinanze e aiuto alle persone che lo desiderano. Perché nella Chiesa azione e riflessione non sono mai disgiunte.
Il punto di partenza, come Solmi stesso spiega, è il punto 250 di Amoris laetitia. Occorre tenere presente quello che il Papa dice, ma ancora di più quello che non dice, forse più complesso e impegnativo. L’affermazione chiara è che “ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispetta nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare “ogni marchio di ingiusta discriminazione“. E inoltre che alle persone omosessuali vanno assicurati gli aiuti necessari «per comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita».
Ma a questo punto – a differenza dei precedenti documenti vaticani sul tema – non c’è alcun giudizio etico sui comportamenti omosessuali. Sia la Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali (1986), sia il Catechismo (1997), dopo la sollecitazione all’accoglienza e al rispetto delle persone, esprimevano l’«oggettivo disordine» degli atti. Francesco non lo fa. Difficile pensare a una dimenticanza, ma sarebbe sbagliato concludere anche in senso opposto, come una sorta di via libera. Molto più semplicemente il Papa invita al discernimento e alla riflessione. Quello che anche noi ci proponiamo di fare, pubblicando alcune tra le lettere giunte in redazione sull’argomento.
Pareri di segno opposto e di tono diverso che esprimono comunque il desiderio di approfondire e di conoscere meglio un tema che, per la sua valenza umana e quindi pastorale, non può essere liquidato con una formula valida per tutte le occasioni e per tutte le situazioni.
“La Chiesa vuole ancora oggi fare così per conformare “il suo atteggiamento al Signore Gesù che in un amore senza confini si è offerto per ogni persona senza eccezioni” ( Amoris laetitia 250)
ALCUNE LETTERE RICEVUTE DA “AVVENIRE”
«La persona va sempre compresa e rispettata»
Caro Direttore, siamo un gruppo di giovani e adulti che vi segue con interesse anche se talvolta facciamo fatica a stare al passo. Non vorremmo essere pedanti, ma riflettere ancora una volta sul caso del capo-scout che si è sposato civilmente con un altro uomo. Siamo ormai genitori e alcuni di noi educatori, convinti di essere “scolari” alla scuola di Gesù e della Chiesa. E in questo Avvenire è di grande aiuto.
Abbiamo seguito fin dall’inizio il caso del capo scout gay. Nessun problema sul suo orientamento: come insegna anche papa Francesco, “chi sono io per giudicare” un orientamento! E comunque sia, come già spiegava il Card. Ratzinger nel documento relativo alle persone con orientamento omosessuale, questi vanno accolti e inseriti, perché la persona umana va sempre accolta e rispettata per la sua dignità. Di questo siamo profondamente convinti, e anche attraverso il vostro giornale questo è emerso chiaro all’inizio. Poi, come dicevamo anche sopra, talvolta è difficile starvi dietro perché gli articoli su questo “caso” sono usciti pian piano e sembra che ogni articolo facesse storia a sé, mentre era inserito in un percorso più ampio al quale voi avete dato voce a tutti. In questi giorni ci siamo ritrovati tra noi amici e abbiamo cercato di fare una sintesi che vorremo condividere con lei e i suoi lettori, sperando di aver colto il messaggio nella sua interezza, dopo aver seguito l’articolato confronto su Avvenire e letto alcuni documenti
Una persona con orientamento omosessuale è parte integrante della Comunità cristiana: nulla e nessuno può allontanarlo, salvo scandalo pubblico che non significa eliminare la persona, ma “guadagnarla per altra via”. In questo stato, se non c’è nulla che possa turbare la Comunità, l’interessato può svolgere ogni attività e servizio. Come, d’altronde, avviene per un qualsiasi laico o laica eterosessuale che sia.
Nel caso la persona decidesse di intraprendere l’esperienza di una convivenza o, adesso, di un’unione civile, subentrerebbero le regole già ben codificate per le eventuali coppie eterosessuali che intendessero andare a convivere: non potrebbero accostarsi ai sacramenti (tenendo conto comunque che uno che entra in confessionale nessuno sa se si confessa o solo chiede consigli e una benedizione, che già fa bene); non può – così almeno vale per i conviventi eterosessuali o divorziati risposati – fare il catechista, l’insegnante di religione e l’educatore in forma diretta con i ragazzi: si partecipare all’equipe animatori, sì affiancarsi per un’attività, ma non educatore in forma diretta nei riguardi dei ragazzi. Questo vale per le coppie eterosessuali che scelgono la convivenza o solo il matrimonio civile, crediamo che, se abbiamo capito, che questo valga anche per le coppie omosessuali, visto che si tratta di una unione civile. È vero, raccontano alcuni nostri amici eterosessuali che non possono accostarsi ai sacramenti, che è difficile restare esclusi da alcuni momenti, ma in cuor loro si sentono sereni perché in “ascolto” di quanto la Chiesa chiede-suggerisce loro: questa testimonianza ci ha sempre edificato e rafforzato anche nel nostro cammino. Poi, come questi nostri amici c’insegnano, c’è sempre l’ascolto della Parola di Dio, il servizio della carità, la possibilità di operare in vari ambiti in parrocchia (consiglio affari economici, caritas, missioni…): insomma, se da una parte non si può accedere, c’è sempre un’opportunità dove esprimere la loro gioiosa e convinta fede. Infine, scusi la lunghezza, i nostri amici dicono: “Noi ascoltiamo-aderiamo alle indicazioni della Chiesa, che è Madre e Maestra: al massimo, un giorno in Cielo, sarà lei a dover rispondere al buon Dio se ha fatto bene o meno nel non permetterci di accostarci ai sacramenti!”. Crediamo che questa espressione e ancor più questo orizzonte aiuti a guardare alle cose da un’angolatura diversa. Che fa star bene tutti.
In fondo, a ben pensarci, nell’invitarci ad abitare le periferie del mondo, crediamo che il Papa non intenda solo le “periferie fisiche” delle città, ma anche e soprattutto quelle periferie umane troppo spesso poco “abitate” dalla nostra attenzione, cordialità e disponibilità nel cercare di comprendere. Sarebbe bello, parafrasando un passo biblico, “fare tre tende e restare lassù” dove tutto è perfetto, ma Gesù ci rimanda giù, ci rimanda nelle periferie esistenziali per poter tutti insieme ritrovarci sul monte della Verità e dell’Amore. Ancora grazie, Direttore, per il suo servizio e, speriamo, per l’ospitalità di questa lettera.
Michele Camponogara e Elena Della Bianca di Concordia Sagittaria, Antonio Vendrame e Bruna Bozza di Concordia Sagittaria, Elisabetta Zattin di Sesto al Reghena, Francesca Bertolazzi di Portogruaro, Luisella Saro di Portogruaro
Non è caritatevole nascondere la verità. Il catechismo invita anche i gay alla castità
Caro Direttore, il 12 Luglio e il 20 Agosto scorso Luciano Moia, su Avvenire, ha presentato in modo sintetico, ma chiaro, la situazione che si è venuta a creare a Staranzano (Gorizia), dove un Capo scout omosessuale è rimasto al suo posto anche dopo aver celebrato una unione civile col suo compagno. Il parroco lo ha invitato a dimettersi, ma il suo Vice(direttore spirituale del gruppo) e i dirigenti dell’Agesci del Friuli-Venezia Giulia si sono opposti. Il Vescovo di Gorizia, dal suo canto, ha voluto evitare “un intervento autoritario dall’alto” e ha invitato la comunità a far discernimento, per arrivare a indicare criteri validi, largamente condivisi, per l’educazione dei giovani alla affettività e alla sessualità. Un procedimento che, però, richiede tempi lunghissimi. Luciano Moia non ha preso posizione sulla vicenda; si è limitato, nelle ultime due righe di un trafiletto pubblicato il 12 Luglio, ad accennare all’ art.251 dell’ Amoris laetitia, dove si dice che “non esiste alcun fondamento per equiparare matrimonio e unioni gay”.
Il 2 Settembre, poi, Avvenire ha ospitato,anche questa volta senza alcun commento, un intervento di Aurelio Mancuso, che si definisce “credente gay”, dice di essere stato benedetto in Chiesa da un amico sacerdote insieme al suo compagno, col quale annuncia che celebrerà nel 2019 l’unione civile.
A questo punto, vorrei dar voce ai tanti “piccoli”, come me, che potrebbero entrare in crisi: ci siamo distratti? Ci è sfuggito qualcosa? Questa estate la Chiesa ha deciso di “benedire” le nozze gay? Se non è così, restano valide le indicazioni contenute nell’Amoris laetitia e in altri importanti documenti che,soprattutto dopo il pensionamento, mi son preoccupato di conoscere e mettere in pratica. Ho sempre avuto il massimo rispetto per le persone con tendenze omosessuali,come raccomanda anche il Catechismo della Chiesa Cattolica (n°2358) e ritengo che abbiano bisogno di avere vicino amici disinteressati che li aiutino a superare le oggettive difficoltà in cui si trovano a causa della loro condizione. Sì,perchè sono chiamati alla castità, come dice il n°2359(ma anche i fidanzati eterosessuali e, in certi momenti, perfino i coniugi sono chiamati alla castità). E non credo che sia caritatevole, nei loro confronti,nascondere la verità, che è espressa in modo inequivocabile nello stesso documento, al n° 2357, dove si dice:”la Tradizione ha sempre dichiarato che gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati…In nessun caso possono essere approvati”.
Il Vescovo di Gorizia ha invitato la comunità al discernimento, di cui si parla ampiamente nell’Amoris laetitia. Mi pare, però, che nei due casi di cui ci stiamo occupando manchino tutte le condizioni che Papa Francesco indica perchè il discernimento porti i fedeli coinvolti a “evidenziare gli elementi della loro vita che possono condurre a una maggiore apertura al Vangelo del matrimonio nella sua pienezza” (A.L. n° 293): infatti,manca la consapevolezza della “irregolarità” della loro posizione, come pure la “sincera riflessione” che deve orientare “questi fedeli alla presa di coscienza della loro situazione davanti a Dio”. Si invoca la misericordia, ma si dimentica che il “discernimento non potrà mai prescindere dalle esigenze di verità (oltre a quelle) di carità del Vangelo proposte dalla Chiesa”.Si ignora “il grave rischio di messaggi sbagliati, come l’idea che qualche sacerdote possa concedere rapidamente “eccezioni”, o “che la Chiesa sostenga una doppia morale” (A. L. n° 300).E’ evidente, inoltre, che nelle situazioni di cui stiamo discorrendo sono particolarmente illuminanti le parole di Papa Francesco:”Se qualcuno ostenta un peccato oggettivo come se facesse parte dell’ideale cristiano,o vuole imporre qualcosa di diverso da quello che insegna la Chiesa…ha bisogno di ascoltare nuovamente l’annuncio del Vangelo e l’invito alla conversione”(A. L. n°297).
Gentile Direttore, se ritiene che le mie osservazioni siano sbagliate, o fuori luogo, le sarò molto riconoscente se vorrà aiutarmi a capire in che cosa ho sbagliato, in modo che possa rapidamente emendarmi. La saluto cordialmente.
Alberto Palmas
Non voglio giudicare le persone, ma i loro atti sì
Caro Direttore, dopo aver letto il pezzo di Luciano Moia “Scout gay, un caso da affrontare”, apparso sull’edizione di domenica 20 agosto, sono rimasto perplesso. Il giorno dopo, una nuova lettura dell’articolo ha trasformato la perplessità in rammarico. Quando Moia scrive che “Non si tratta solo di stabilire se il capo scout in questione abbia offerto una testimonianza di vita coerente con i valori dell’associazione e quindi con la proposta cristiana sul matrimonio e sulla famiglia, ma anche di riflettere in modo responsabile sull’efficacia di una proposta educativa a proposito di affettività e sessualità che dev’essere probabilmente riformulata e riattualizzata, a partire dalla riflessione più ampia che tutta la comunità cristiana vuole e deve fare”, evita di dire una cosa necessaria – che, cioè, la testimonianza di vita del capo scout non è coerente con i valori della Chiesa e, quindi, dello scoutismo cattolico – e ne dice una molto vaga, che si presta a molti equivoci – cosa significa esattamente riformulare e riattualizzare la proposta in merito ad affettività e sessualità?
Temo che, spesso, la categoria del “discernimento” che papa Francesco continuamente di propone sia utilizzata per dire e contemporaneamente non dire, per tenere il piede in due scarpe: qui, invece, occorre affermare chiaramente che l’unione civile omosessuale del capo scout contrasta con l’insegnamento della Chiesa. Che, naturalmente, questo non significhi minimamente gettare discredito sulla persona o permettersi di giudicarla tout court, dovrebbe essere una cosa tanto ovvi da essere superflua. Ma gli atti, invece, vanno giudicati, pena il rinunciare a una parte fondamentale della nostra capacità di ragionare (e della nostra umanità).
Per questo, caro Direttore, chiedo a Lei e a Luciano Moia: qual è la vostra posizione (e quella del quotidiano) sul gesto da cui tutta la vicenda ha avuto inizio? Mi fa male, infatti, anche solo essere sfiorato dal dubbio che il nostro giornale, per un malinteso senso di prossimità umana, rinunci a dire la verità, unica meta di ogni vero discernimento.
Matteo Coatti
Nostro figlio omosessuale accolto con grande gioia
Gentile Direttore, Le scriviamo come genitori di tre figli e nonni di cinque nipoti e quindi anche suoceri, rallegrati dall’articolo di Luciano Moia comparso nell’inserto mensile di “Noi famiglia & vita” in cui scrive della pari dignità di fronte a Dio di ogni orientamento sessuale. Sì, siamo rimasti rallegrati, perché è quanto accade nella nostra vita, nel nostro cuore, alla nostra tavola, dove il figlio omosessuale è accolto con pari gioia e dignità tanto quanto gli altri figli, la nuora, il genero, i nipoti. Alla nostra tavola tutti loro sono attesi; tutti possono mangiare; tutti hanno diritto di parlare; tutti hanno il dovere di ascoltare, tutti hanno diritto alla felicità, per tutti si fa festa. E quanto dispiacere se uno solo manca!
Se così avviene a casa nostra, nel nostro povero cuore quanto mai pensiamo possa accadere nel cuore del Padre che non vede giudei o greci, schiavi o liberi, bianchi o neri, etero o omosessuali, ma solo….. figli ! E su ognuno di noi, su ognuno dei suoi figli, ripete le parole:” Tu sei il figlio mio, l’amato. In te ho riposto il mio compiacimento”. Se questo è il cuore del Padre, chi siamo noi per pensare o per agire diversamente? La gioia del Padre, la gioia di ogni padre è davvero quella di vedere tutti i suoi figli radunati intorno alla stessa tavola, con la medesima dignità di figli, con la medesima gioia, affinché tutti si sentano accolti e nessuno vada perduto. Questo davvero preme al cuore di ogni padre : che nessuno vada perduto e che tutti siano felici.
Corrado e Michela Contini, genitori di Parma
Quel caso non è “delicato”, ma fuori dalle regole della Chiesa
Caro direttore, Ho i miei anni, essendo lettore di Avvenire dai tempi di La Valle. Mi affascinò il Concilio, vissuto nella prima sessione in Germania. Grandi aperture, grande respiro, ma nella chiarezza delle “regole” e fuori dalla fumosità del linguaggio. Cosa vuol dire che il caso “è delicato e complesso” a proposito del caso scout di Gorizia? E il vescovo che scrive: “Si è di fronte a questioni nuove e complesse circa le quali la riflessione ecclesiale e ancora iniziale o comunque non ancora matura …” Mi fermo, ma la prego di dirmi se sono fuori strada. Ma i comandamenti ci sono ancora? Rubare è ancora rubare ? Fornicare è ancora fornicare o basta un certificato in Comune per sistemare tutto sul versante della morale cristiana? Essere omosessuale , come tendenza, non significa essere fuori dalle regole, così come lo status di celibe e nubile… Lo si è fuori se si esercita la sessualità in modo anomalo. O sto sbagliando?
Mi pare che il Papa richiami con forza che la famiglia è quella tra uomo e donna Credo di aver camminato diritto nella vita e nella professione grazie a quanto mi avevano insegnato i miei preti, non per nulla di retroguardia. Cordialità.
Lettera firmata
Grazie per il vostro coraggio. Ma quanti gay accolgo in confessionale
Egregio Direttore, plaudo al fatto che il suo giornale parli di omosessualità in modo tale da fornire uno spunto per mettere meglio a fuoco la situazione di queste persone. Prima con l’articolo di Luciano Moia, poi con il racconto dell’esperienza di Aurelio Mancuso. Purtroppo è un argomento tabù nei nostri ambienti, almeno qui in Italia, non se ne parla, ma “segna” ed è un dramma per molti genitori e figli e figlie che si trovano in una simile situazione: emarginati anche dalla chiesa! Ed è vero!!!! Mi sono reso conto di ciò, perché da quasi quattro anni esercito il ministero della riconciliazione nella cattedrale di una grande città. Può ben immaginare in un ambiente del genere, con tanto anonimato e possibilità di scelta a quasi ogni ora del giorno, vengono persone da ogni provenienza con questo … “fardello” dell’omosessualità. Ho chiesto al mio vescovo che scelga un suo prete per lo studio della problematica e l’accoglienza di queste persone. L’effetto Francesco non può fermarsi all’Urbe, ma deve giungere anche la periferia, anche se non mancano delle resistenze … Grazie. Fraternamente,
Lettera firmata
La Chiesa saprà valorizzare anche la mia scelta omosessuale
Caro direttore, vorrei ringraziarla con tutto il cuore per aver dato spazio ad articoli in cui la condizione omosessuale è vista sotto una nuova luce. Sono nato a Firenze nel 1971, in una famiglia laboriosa e genuinamente cattolica e da sempre ho seguito un cammino di fede, prima in parrocchia, poi nell’associazionismo cattolico. Ma fino al 2005 ho vissuto con un’inquietudine di fondo: vivevo nella certezza di non saper amare. Riempivo le mie giornate di preghiere, attività, volontariato in una continua lotta interiore per raggiungere un riconoscimento e una piena valorizzazione da parte della famiglia e della comunità. Ma era una partita senza fine, perché senza fine era la mia mancanza di autostima. Tutte queste azioni, infatti, erano un bellissimo paravento che nascondevano il mio profondo rifiuto ad accettare il fatto che fossi attratto dagli uomini. Come in tutte le situazioni in equilibrio instabile arriva il momento in cui la vita ti chiede il conto. In quel periodo di crisi mi assillava la domanda: cosa avrà voluto dire Gesù ai suoi discepoli con la frase “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua“? Mettendomi nei loro panni (ignari della resurrezione) mi pareva un invito senza senso. Un sacerdote durante un’omelia mi offrì la chiave di lettura di questo mistero: vista la particolare ignominia del supplizio della croce, Gesù invitava i suoi discepoli a seguirlo pur sapendo che avrebbero potuto perdere la reputazione.
E fu in quel momento di prostrazione che ho conosciuto il volto del Dio di Gesù Cristo, la forza dirompente del perdere la faccia, la profonda libertà che dona la verità di sé. Dio mi ama e mi ha creato così come sono. E poiché l’uomo è creato a Sua immagine, Dio uno e trino, io non posso non amare. Non ho scelto di essere omosessuale (anzi ne ho provate di tutte per cambiare) ma posso e devo scegliere come vivere questa condizione. Credo fermamente di doverlo fare nel seno della Chiesa, che è madre e maestra di umanità, che mi ha donato la vita di fede e mi dona la ricchezza dei sacramenti. Io sono figlio di questa Chiesa, e amo e rispetto coloro che sono chiamati ad amministrare la ricchezza dei doni dello Spirito. Ma sono anche pienamente convinto che in forza del battesimo il Signore mi abbia fatto diventare sacerdote, re e profeta. E come tale, reputando una vera e propria bestemmia rifiutare la sua opera in me, sono chiamato a vivere la totalità del mio essere qui ed ora.
Nel 2005 ho incontrato l’uomo con cui sto camminando lungo questi nuovi sentieri, un vero dono di Dio, un compagno con cui ho scoperto la gioia dell’amore e della speranza, della dedizione e della fecondità. Inizialmente non è stato facile, ma dopo dodici anni lui è parte della mia famiglia, come io della sua e anche i nostri rispettivi colleghi di lavoro e i vicini di casa (tra l’altro in una realtà multietnica di provincia) ci hanno accolto come fossimo una famiglia; anche le comunità parrocchiali che frequentiamo ci considerano come tale. So che stiamo percorrendo sentieri nuovi e paradossali, ma so anche che la saggezza della Chiesa saprà valorizzare il buono che c’è in queste esperienze di vita. Reputo “Avvenire” un prezioso strumento di riflessione della Chiesa cattolica italiana, e sono contento di trovarvi uno sguardo amico e di attenzione sulla mia vita. Ringraziandola per aver avuto la pazienza di leggere questo piccolo squarcio di vita vissuta, le porgo i più sentiti saluti e auguri.
Carlo
Ma la vera accoglienza non pretende di stare sempre “al passo con i tempi”
Caro direttore, Caro Luciano Moia, mi presento: sono padre di un figlio omosessuale e faccio parte della Associazione Agapo (Associazione Genitori e Amici Persone Omosessuali). Ho letto con attenzione i suoi due articoli pubblicati su Avvenire il 12/7/2017 e il 20/8/2017, riguardanti la vicenda, apparsa alle cronache recenti, della richiesta del Parroco di Scanzano di domandare al locale capo Scout Agesci (Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani) di dimettersi dai propri ruoli educativi a seguito del proprio “coming out” come gay, essendosi unito civilmente con uomo impegnato politicamente come consigliere comunale. La parola gay qui non è usata in maniera casuale, in quanto essa ha una accezione assai diversa da semplice omosessuale, ma appunto denota una posizione e rivendicazione sociale, politica e antropologica. L’azione intrapresa dal parroco di Scanzano, come era ovvio aspettarsi, ha suscitato reazioni più o meno opposte da tutte le parti.
Riportando le riflessioni del locale Vescovo intervenuto sulla vicenda, Lei giustamente scrive che richieste come queste (e quindi in particolare quella di cui si sta parlando) debbano essere oggetto di “discernimento”, richiamando che è necessario adottare il “criterio di umiltà e di realismo tanto più valido quando non ci si confronta non princìpi astratti, ma con l’intimità dei sentimenti delle persone” ricordando che a tale richiamo invita anche l’esortazione postsinodale sulla famiglia (Amoris Letitiae) di papa Francesco. Tuttavia intravedo il rischio che se ci si limita a dare dei principi astratti e genericamente validi (inattaccabili, appunto), il risultato non è quello trovare percorsi e vie praticabili ma piuttosto quello di generare molti dubbi e poche vie chiaramente praticabili. Infatti è evidente a tutti, e a maggior ragione a noi genitori, che è necessario accostarsi a queste tematiche con un indiscutibile atteggiamento di misericordia, di accoglienza e di comprensione, ma crediamo che sia pure assai utile, se non necessario, dare anche dei criteri ragionevoli e riscontrabili (oserei dire oggettivi) per trovare un percorso e un sentiero percorribile nel discernimento. Devo dire che anche le riflessioni del Vescovo, che Lei riporta ampiamente, mi sembrano essere sulla stessa linea di genericità. Riporto quanto Lei cita “Da qui la necessità di accostarsi a tematiche (come appunto l’amore omosessuale) con umiltà, tanto più «quando si è di fronte a questioni nuove e complesse» sulle quali la riflessione ecclesiale non è del tutto matura e i pareri sono diversi”. Una affermazione validissima, certamente. Ma cosa si intende per riflessione? E quando questa, soprattutto se ecclesiale, può essere considerata matura? Ancora: “Lo stesso criterio che deve adottare l’Agesci – conclude Carlo Roberto Maria Redaelli – che ha la necessità di «proporre oggi determinati valori con un approccio diverso rispetto al passato». Vale in particolare per il tema degli affetti e per altri temi «che fino a poco tempo fa non erano neppure quasi ipotizzabili»”.
Il punto interessante per noi è come queste riflessioni possano essere compiute, e con quale criterio possano essere considerate “ecclesialmente mature” o “sagge e condivise”. Perché se non si indica un criterio percorribile, reale e sensato, si rischia solo di alimentare ulteriormente quella confusione generica con la quale ciascuno pensa di avvalorare la propria tesi, di qualunque parte essa sia, che poi spesso, come sappiamo, rimane ideologica o preconcetta. Cioè non rispettosa della realtà.
Quindi quale criterio per giudicare questo ed altri fatti? Noi riteniamo che sia sempre lo stesso, come anche lei con grande intuizione accenna nel suo articolo: il principio di realtà. E quale è la realtà della condizione omosessuale o più spiccatamente “gay”? Non so se Lei e il Vescovo conoscono bene e intimamente le persone che vivono la condizione della attrazione omosessuale, sia che questa sia sofferta, vissuta di nascosto, indesiderata, rivendicata o ostentata. Quel che posso dire è che noi abbiamo a che fare realmente e tutti i giorni con questo mondo. Cominciamo con il dire che la realtà omosessuale non è per nulla il mondo patinato e irreale presentato tutti i giorni dai media, in cui l’unica sofferenza resa visibile è quella causata dalla presunta e onnipresente “omofobia”.
Devo dire che anche le riflessioni del Vescovo, che Lei riporta ampiamente, mi sembrano essere sulla stessa linea di genericità. Riporto quanto Lei cita “Da qui la necessità di accostarsi a tematiche (come appunto l’amore omosessuale) con umiltà, tanto più «quando si è di fronte a questioni nuove e complesse» sulle quali la riflessione ecclesiale non è del tutto matura e i pareri sono diversi”. Una affermazione validissima, certamente. Ma cosa si intende per riflessione? E quando questa, soprattutto se ecclesiale, può essere considerata matura? Ancora: “Lo stesso criterio che deve adottare l’Agesci – conclude Carlo Roberto Maria Redaelli – che ha la necessità di «proporre oggi determinati valori con un approccio diverso rispetto al passato». Vale in particolare per il tema degli affetti e per altri temi «che fino a poco tempo fa non erano neppure quasi ipotizzabili»”.
Entrando nel merito del fatto, è necessario analizzare quale messaggio possa dare una guida scout (Agesci) con il suo “coming-out”: probabilmente che la strada della vita gay è praticabile, lineare, giusta, buona, trendy (se si vuole usare un linguaggio più vicino al mondo giovanile) e forse anche facile. E se vi sono delle difficoltà si può sempre ricorrere alla parola omofobia, il ritornello martellante del coro degli articoli che trattano l’argomento. Ma è così? Mi permetto di chiedere a Lei e al Vescovo Carlo Roberto Maria Redaelli, sa di cosa sono fatte le relazioni omosessuali? La durata che hanno? Conosce che tipo di attività sessuali vivono le persone gay nella disperata ricerca, quasi sempre irrealizzata, di trovare il proprio partner della vita, nell’illusione di poter emulare la relazione sponsale tra l’uomo e la donna? Sa a quali situazioni di compromesso si devono ridurre le coppie “più affiatate”, cioè quelle (poche) che superano i 4 anni di durata nella loro relazione? Sa a quali sofferenze tutto ciò porta? Quali dati riportano gli studi statistici su malattie fisiche (e non solo) cui posso essere soggetti gli omosessuali?
Se il criterio semplice e umile è quello di partire dalla realtà, si può forse concludere che quel parroco ha operato con un certo discernimento: infatti una guida scout si pone inevitabilmente come modello educativo per molti ragazzi, e solitamente i gay impegnati si guardano bene dal mettere in evidenza queste problematiche del loro mondo.
Aggiungiamo altri argomenti interessanti al discernimento: sono conosciute nel concreto l’esperienza di “Living Water” nata tra gli Evangelici in America (ed ora diffusa in tutto il mondo), o quella di Courage in ambito cattolico (anch’essa in origine nata negli Stati Uniti), o altre realtà introvabili sui canali di comunicazione ufficiali, quali il Gruppo Lot fondato da Luca Di Tolve, esempio eclatante di ex-gay? Egli è un esempio eclatante semplicemente perché ha reso pubblica la propria storia, ma di per sé è solo uno tra molti casi, dove i più scelgono di mantenere un evidente riserbo su queste tematiche; evidenziando così che l’omosessualità non è una condizione ineluttabile e immutabile. Noi riteniamo che anche sulla base di questa realtà vada fatto il discernimento; e bisogna avere il coraggio di dirlo, altrimenti davvero il discernimento (bellissima parola, evocatrice di altissimi concetti) rimane una astrazione basata sui sentimentalismi.
Mi permetto un’ultima osservazione; in un suo passaggio leggiamo: Non si tratta di rivoluzionare la teologia morale a proposito degli atti omosessuali – compito che in ogni caso non tocca alle associazioni – né di stabilire un nuovo elenco dei permessi e dei divieti. Bensì di affrontare in modo originale e inclusivo, adeguato alle richieste dei tempi, il problema dei percorsi educativi. E allo stesso tempo verificare la possibilità di un approccio che non si riduca più alla normatività sterile del “si può”, “non si può”.
Appare quasi che la teologia morale debba essere tradotta nella realtà concreta a percorsi diversi, appunto “adeguati alla richiesta dei tempi”. Ma la morale teologica (cattolica) è così lontana dai nostri tempi? Dai percorsi concretamente praticabili? Perché piuttosto che ricercare nuovi percorsi “originali”, “adeguati alle richieste dei tempi” (termini molto belli, ma ancora una volta generici e astratti) non si cerca di capire PERCHE’ la teologia morale può dare una risposta effettiva e concreta al tema dell’omosessualità? Perché non si ricerca se questa via sia percorribile, dando finalmente spazio al racconto di chi vive la condizione di attrazione omosessuale secondo tale morale, raccontandone la convenienza, la ragionevolezza, la percorribilità, la bellezza e l’attrattiva? Chi si addentra in questi percorsi si rende conto che la morale teologica, oltre che essere conforme a disegno divino (e qui lasciamo spazio ai teologi per dirlo), è incredibilmente e straordinariamente conforme al cuore dell’uomo. Più che di generici e improbabili equilibrismi per cercare di conciliare morale cattolica con esigenze e pratiche omosessuali abbiamo bisogno di sentire la testimonianza di chi questi percorsi morali autenticamente li vive, con grande serenità e felicità, incomparabilmente più autentica di qualunque altro compromesso.
Queste mie osservazioni non mettono in discussione il desiderio giusto e il lavoro quotidiano di ciascuno per trovare modalità per accogliere e accompagnare persone con tendenze omosessuali. Sappiamo anche quanto questo sia impossibile se non si evita il facile esercizio del “giudicare” e del condannare, usando il metro dei propri parametri morali e del proprio bagaglio esperienziale. Sono però convinto che la vera accoglienza non la si può raggiungere adeguandosi supinamente su posizioni che deviano dalla ragionevolezza della realtà, accettandole come compromesso “al passo con i tempi”. Nel breve tempo si fallirebbe su molti fronti. La vera accoglienza la si ottiene parlando della verità delle cose e raccontando la bellezza di quel che si vive e si è incontrato, che è appunto una promessa di felicità per tutti.
Questi sono i temi che ci stanno a cuore, per noi e per i nostri ragazzi. Speriamo che queste riflessioni possano essere spunto perché il suo giornale o qualche suo articolo possa ospitare qualche nuovo contributo che possa raccontare di questo modo di vivere e affrontare l’omosessualità.
M. Gorlabesti