Gesù, il santo lebbroso e il cristiano bisessuale
Riflessioni di Amanda Udis-Kessler pubblicate sulla rivista Whosoever, vol.2, n.3, Novembre/Dicembre 1997, libera traduzione di Cristina Citterio
“Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Lettera ai Galati 3:28)
“Se Gesù è santo, allora la santità non ha niente a che vedere con la discriminazione” (Mike Riddell in “Third Way” dicembre 1996, citato in “The Other Side”, mag/giu 1997, pag. 57)
La vita di Gesù mi attrae in molti modi, invitandomi ad amare Dio, me stessa e il mio prossimo, a credere in Dio completamente, a mettermi al servizio e a battermi per una giustizia che renda giustizia alla grazia di Dio. Gesù mi offre un esempio di quello che vuol dire essere un insegnante, un guaritore, un servo, un profeta, un martire. Potrei passare il resto della mia vita cercando di imparare da lui e sforzandomi di seguire il suo modello all’interno delle mie situazioni quotidiane.
Una lezione che ho appreso dalla vita di Gesù è che Dio ci viene incontro nel punto in cui ci troviamo e ci accoglie nell’abbondanza, senza chiederci di abbandonare il nostro vero io, offrendoci invece il suo Regno in precisi momenti della nostra vita: quelli più tristi o più felici, quelli in cui dentro ci sentiamo più a pezzi o quando stiamo guarendo le nostre ferite, quando ci sentiamo più vulnerabili. Se devo prendere questa lezione seriamente, devo sapere cosa ne pensa Gesù di me persona bisessuale, in grado di avere una relazione sentimentale e sessuale sia con uomini che con donne, spesso guardata con sospetto e qualche volta rifiutata sia da eterosessuali che da persone gay/lesbiche. Se devo trovare Dio nella vita Gesù di Nazareth, che parole di speranza esistono per la mia identità sessuale? Può quell’identità avvicinarmi a Dio, attraverso Gesù, in qualche modo?
I Vangeli chiaramente non riportano alcuna testimonianza riguardante l’omosessualità di Gesù e tantomeno sulla sua bisessualità. È inoltre impossibile capire dagli studi biblici condotti fino ad oggi se egli fosse attratto da donne, uomini, entrambe o nessuno dei due (anche se io dubiterei dell’ultima opzione). In ogni caso, è ad un altro livello che io posso cercare le mie risposte: un livello che attinge dal numeroso materiale fornitoci dai Vangeli ma che va anche oltre, addentrandosi nel mistero e nel non detto. Gesù non era solo un maestro, un predicatore, un guaritore e un profeta; lui era anche, e principalmente, un abbattitore di muri, un amico degli emarginati, uno scardinatore di status in nome dell’infinito ed inclusivo amore di Dio. È questo aspetto dell’impegno di Gesù che intimoriva le autorità del suo tempo e che lo portò alla croce; ed è tramite questa sua opera che io trovo in me la forza per amare al di là almeno di certi confini sentendomi accolta e santificata.
Lo studioso biblico Marcus Borg, autore di “Meeting Jesus Again for the First Time : The Historical Jesus & the Heart of Contemporary Faith” e di altri libri, ha descritto dettagliatamente la politica basata sugli status di santità e purezza tra gli ebrei ai tempi di Gesù. Le forme di diseguaglianza sociale comunemente conosciute oggi, come razzismo, sessismo, classismo, eterosessismo, la discriminazione nei confronti di anziani, quella verso i disabili e altre ancora, derivano largamente da ciò che potremmo chiamare dualismi gerarchici, ovvero sistemi di valori in cui esistono due opposte categorie sociali ben definite: c’è la categoria stimata (bianco, uomo, ricco, eterosessuale, adulto, non disabile) e c’è poi quella discriminata ( persona di colore, donna, povero, lesbica / gay, troppo giovane o troppo vecchio, disabile). Con categorie simili ma concepite diversamente, ai tempi di Gesù le diseguaglianze sociali dipendevano da dualismi gerarchici in maniera analoga.
Al centro di quella che Borg chiama la politica della santità, la domanda implicita era se un individuo fosse puro o impuro, pulito o indecente; la risposta significava la differenza tra l’inclusione sociale e la discriminazione, anche ostracismo, il quale, in una tale cultura basata sul dualismo onore/vergogna, equivaleva alla morte sociale. Dalla parte dei puri/puliti/apprezzati dell’equazione si trovavano uomini ebrei ricchi (o perlomeno economicamente solventi) che godevano di buona salute e si trovavano nella posizione di poter contare se stessi tra i virtuosi per il fatto di rispettare pienamente le minuziose leggi giudaiche. Tra gli impuri/indecenti/emarginati vi erano invece poveri, non ebrei, donne, malati e quegli ebrei considerati peccatori per il fatto di non essere in grado di rispettare le leggi (di solito a causa della povertà, l’essere donna, malati o una combinazione di queste tre cose). I frequenti riferimenti di Gesù alle prostitute e ai riscossori delle tasse andrebbero interpretati in questo contesto. Le puttane (donne non accompagnate, alcune delle quali veramente prostitute) e i riscossori di tasse (visti come promotori dell’Impero Romano insediatosi, costretti a maneggiare denaro “profano” e sospettati dalle persone più o meno come oggigiorno i giovani afro-americani vengono sospettati dalle guardie di sicurezza dei negozi), erano tra i maggiori “peccatori” all’interno del sistema della purezza. Non è una coincidenza che Gesù li accogliesse ripetutamente, raccontasse storie in cui l’amore di Dio per loro era evidente e che dicesse ai divulgatori del sistema della purezza che i riscossori delle tasse, così come le prostitute, avrebbero avuto accesso al Regno di Dio prima dei cosiddetti “virtuosi”.
Gesù era in grado di offrire questa accoglienza agli emarginati in virtù dell’amore e dell’accettazione che Dio offriva a lui e tradusse questo in un invito ad essere compassionevoli tanto quanto lo è il buon Dio (Lc 6:36), il che significa senza barriere. Egli parlava di un Padre benevolo, che faceva piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti; incoraggiava i suoi seguaci ad amare non solo i propri amici ma anche i propri nemici e istituì una nuova regola sociale sul mangiare, secondo la quale, alla tavola del convivio si potevano sedere insieme ricchi e poveri, retti e peccatori, uomini e donne, violando liberamente le regole della “purezza” (es. Mt 9:10, Mc 14: 3-9, Lc 11: 37-38, 14:1, 19: 1-10 ); egli trattava donne, non ebrei e malati con rispetto e dignità (a parte un’interessante eccezione, Mt. 15: 21-28, in cui poi comunque cambiò idea alla fine), e accoglieva i bambini, considerati nullità all’interno della sua cultura (es. Mt 18: 1-6, 10; 19: 13-14; Lc 9: 46-8, 10: 38-42, 21: 1-4; Gv 4: 5-42, 8: 1-11); sfidava la struttura gerarchica familiare della sua cultura in modi che farebbero orrore agli odierni sostenitori dei cosiddetti “valori familiari”, se solo volessero notarlo (es. Mt. 8: 21-2, 10: 34-7, 12: 48-50, 23: 9; Lc 11: 27-8, 14: 26); ripudiava ricchezza (Mt 6: 19-21, 24; 19: 21-4; Lc 4: 13-14, 6: 20, 24, 30, 34-5; 12: 15-21, 14: 33, 16: 19-25) devozione e reputazione (Mt 6: 1-6, 16-18; Mc 9: 35, 12: 38-9; Lc 14: 7-11, 18: 10-14) come indici di status; egli inoltre si impegnava in quella che gli attivisti per l’AIDS chiamerebbero una battaglia contro la Centrale della Purezza (il Tempio, il cuore della politica della purezza). Gesù dunque interpretò la bontà di Dio come un sentimento che abbatte le barriere e capì quale dovesse essere l’appropriata risposta umana alla relazione con Dio, con gli altri e con se stessi, la quale a sua volta non doveva includere muri. Gesù ci ha regalato / ci ha chiamati alla liberazione dai formalismi per abbracciare l’amore, all’abbandono della classe a vantaggio della compassione, alla rinuncia dello status in favore della solidarietà. (La miglior interpretazione che oggi riesco dunque a dare del regno di Dio è che si tratta semplicemente di una vita vissuta nell’amore, nella compassione e nella solidarietà verso se stessi, il prossimo e lo Spirito Santo).
Il più straordinario abbattimento di barriere che Gesù abbia mai realizzato è forse durante le sue pratiche di guarigione. La malattia era segno di impurità e molte delle persone che egli curò erano doppiamente “sporche”, come i non ebrei (Mt 8: 5-13, 15: 21-8; Lc 17; 1-19) o le donne con il “problema del sanguinamento” (Mt 9: 20-22; la legge ebraica reputava il sangue mestruale una sostanza impura). Gesù inoltre guariva durante lo Shabbat, rompendo così il confine temporale tra il sacro e il profano (Mt 12: 10-13; Lc 13: 10-17). Benché probabilmente l’episodio dell’indemoniato nei sepolcri (Mc. 5: 1-17) non possa considerarsi attendibile storicamente, ha una pertinenza con quello che sappiamo di Gesù il fatto che egli potesse decidere di entrare in un sepolcro (impuro) abitato da un uomo posseduto da spiriti demoniaci (cosa anche peggiore) e lo spingere questi ad entrare in un branco di porci (l’animale più sporco, secondo le leggi ebraiche). Eliminare il confine tra persone sane e persone malate ha permesso a Gesù di offrire a chi aveva poca speranza di poter ritornare nel mondo dei “puliti”, ma era in grado di fare ciò solo entrando lui stesso nel mondo dei malati e, dunque, nel mondo degli impuri.
La maggior parte delle volte in cui Gesù curava i lebbrosi, li toccava (es. Mt 8: 2-4; Lc 7: 22). Toccare i lebbrosi significava accettare di esserne contagiato, sia nel senso di essere esposto a quelli che oggi chiameremmo eczema e psoriasi, sia nel senso di diventare socialmente un lebbroso per i suoi intenti e le sue convinzioni. Gesù, fedele di Dio, scelse l’impurità per offrire la guarigione ma, anziché semplicemente diventare un lebbroso, egli santificava la lebbra. Nella cultura in cui viveva i lebbrosi perdevano il proprio status di “puliti”, che potevano magari aver avuto in precedenza, una volta che la loro condizione diventava pubblica. Sembra che egli, in ogni caso, non avesse perso il suo status di “puro”, forse per la sua capacità di guarire o forse per l’autorevolezza con cui insegnava. O, per lo meno, non ci sono prove che egli si comportasse come una persona impura avrebbe fatto o che egli fosse trattato come tale da quelli intorno a lui. Di conseguenza, Gesù divenne ciò che potremmo chiamare un santo lebbroso o un emarginato riempito della pienezza di Dio. In qualche modo era allo stesso tempo sia puro che impuro, una cosa impossibile, considerato il dualismo che stava al centro della politica della santità. Il suo status impossibile fece quello che nessuna protesta politica di quel tempo sarebbe riuscita a compiere: demolì la base del dualismo che sorreggeva la politica della santità. In altre parole, diventando un santo lebbroso, Gesù distrusse le categorie di “santo” e “lebbroso” come opposti gerarchici, lasciando liberi i lebbrosi di essere santi e permettendo alle persone definite pure (come ad esempio i farisei) di poter abbracciare il proprio lato “impuro”.
Suppongo che questa prospettiva sull’impurità rappresenti un modo piuttosto impopolare di pensare al regalo di Gesù all’umanità. I Cristiani si concentrano di solito sul ruolo di mediatore tra umanità e divinità, celebrano la sua vittoria eterna sulla morte per il modo in cui ha dato la sua vita, oppure sostengono (come Rene Girard nel libro “Violence and the Sacred”) che Gesù, accettando il ruolo di capro espiatorio, abbia liberato il mondo dall’esigenza di trovarne. Nonostante molti di questi esempi dell’opera di Gesù mi parlino, provo più rispetto e riverenza nei suoi confronti per il suo aver voluto “sporcarsi”, con la sua conseguente sconfitta del termine “impurità” e della dicotomia “puro/impuro” che ha alimentato così tanti dualismi gerarchici. Questo perché questa sua opera mi dà la speranza che la mia bisessualità, lontana dall’essere un peccato, una malattia o uno stato di confusione, possa essere la maniera in cui Dio opera gentilmente dentro di me contro l’esclusione e la categorizzazione, per conto del suo Regno pieno di gioia e aperto a ognuno di noi.
Ogni persona ha un proprio dono, una propria sfida e le proprie missioni nella vita, ma con ciò non intendo certo suggerire che essere bisessuale sia in qualche modo la migliore tra le alternative, o che ognuno dovrebbe diventarlo così che “Venga il Tuo Regno” (ciò richiederebbe un miracolo ben al di là di quelli che troviamo nelle Sacre Scritture!). Mi sembra solo che Gesù il santo lebbroso sia incline a poter accogliere Amanda la “non sono né gay né etero/sono sia gay sia etero”, per sfidarmi e rassicurarmi.
Gesù il santo lebbroso parla alla mia bisessualità offrendomi un modello di vita che va oltre i confini del distruttivo dualismo gerarchico. Non sembra che Gesù avesse impiegato molte delle sue energie preoccupandosi dell’impossibilità del suo status, dato che c’era già molto lavoro per il Regno e che secondo la sua esperienza niente fosse impossibile con Dio. Se devo seguire Gesù in questo modo, io posso e devo abbandonare allora le mie preoccupazioni per le persone che negano l’esistenza della bisessualità. Che credano quello che vogliono. Nel frattempo, preferisco lavorare per avvicinare un po’ il Regno piuttosto che discutere sulla “verità” della mia identità sessuale. Se la bisessualità è veramente una minaccia per la dicotomia gay/etero, se sfida le persone eccessivamente preoccupate dello status quo da entrambe le parti dell’equazione, probabilmente è perché è quello che deve fare. Nel frattempo, secondo Gesù, sono libera di smettere di preoccuparmi di non essere accettata e di poter offrire questa guarigione usandomi come mezzo per abbattere le barriere in amore. Egli mi sfida a compiere quest’opera in suo onore e, se in qualche modo le barriere che io abbatto sono diverse da quelle che lui distrusse, che sia (benché le persone definite oggi “impure” includano minoranze sessuali di ogni tipo).
Credo che oltre ad essere chiamata a nutrire gli affamati, assistere i malati, visitare i prigionieri e ospitare i senzatetto così come chiunque altro su questo pianeta, mi venga chiesto di impiegare la mia bisessualità nei giusti modi, di mettere la mia forma di “lebbra santa” al servizio dell’inclusione e dell’accoglienza. Posso, ad esempio, sforzarmi di rendere manifesto l’amore di Dio in tutte le mie relazioni, sessuali e non, indipendentemente dai generi coinvolti. Posso rifiutarmi di comportarmi come se gli uomini forti fossero superiori alle donne (classici valori sessisti) o come se le donne forti fossero superiori all’uomo (una comune risposta al sessismo ma, credo, di certo non qualcosa che rivela tutto ciò che siamo come esseri umani). Posso offrire un particolare incoraggiamento a coloro che rompono i confini del genere, del sesso, della razza, della classe, tramite la parola ma anche l’esempio; posso cercare di stare attenta a carpire gli eccezionali, meravigliosi e sorprendenti doni delle persone senza però né ignorare né idolatrare le loro identità sessuali. Questo tipo di compiti non sono certamente limitati alle sole persone bisessuali, ma la mia bisessualità mi può venire in aiuto per svolgerli.
Alla fine dunque Gesù riesce ad offrirmi una parola di speranza per la mia bisessualità: l’esempio di Gesù, se interpretato come ho cercato di fare io qui, mi rassicura sul fatto che se io vivo la mia bisessualità con questi valori appartenenti al Regno come l’amore, la compassione, l’integrità e l’indulgenza, allora la mia identità sessuale può e sarà usata al servizio del Regno, come parte della soluzione e non del problema (come gli evangelisti di strada sostengono). Questo “sintomo del peccato e dell’alienazione” così deriso da coloro che interpretano la Bibbia alla lettera, può essere invece un dono di grazia che mi avvicina ancora di più a quel Dio che ama senza riserve, mentre cerco il Regno attraverso la mia bisessualità e poi la impiego nuovamente al suo servizio. Prego lo Spirito Santo affinché il suo lavoro dia una forma ai miei giorni, voglio esprimere la mia gratitudine per quel Dio che non lascerà che mere barriere create dall’uomo ostacolino l’amore e celebro Gesù di Nazareth, il cui amore lo portò ad abbattere queste barriere per conto di Dio. Amen.
Testo originale: The Holy Leper and the Bisexual Christian