In Indonesia la caccia ai gay del governo alimenta la diffusione dell’AIDS
Articolo di Jeffrey Hutton pubblicato sul sito South China Morning Post (Cina) il 6 Agosto 2017, libera traduzione di Andrea Shanghai
Fino a metà maggio 2017, Fajar Prabowo si è occupato della supervisione di unità per il test dell’Aids che stanziavano fuori dalle saune e dei bar gay di Jakarta (Indonesia) nello sforzo di intercettare quegli omosessuali nascosti che hanno paura di entrare in una clinica. Spesso anche per dieci ore di fila, si trovava a visitare, fare test e, per quel 17% che risultava positivo, anche ad offrire consolazione. Ma dopo che la polizia ha perquisito e trattenuto in carcere più di 140 uomini arrestati in una sauna nel nord della città, proprio pochi giorni dopo che una di queste unità per i test dell’Aids aveva terminato il suo compito fuori dalla sauna, Prabowo ha deciso di cancellare il suo programma, preoccupato che la sua ONG potesse finire fra le maglie della rete dei controlli.
“Sono tutti spaventati” dice Prabowo, “è difficilissimo far venire le persone in clinica. E ora è ancora più difficile raggiungerle”.
L’inasprimento dei controlli contro gli omosessuali e transgender indonesiani arriva proprio nel mezzo di una vera esplosione dell’Aids fra la popolazione maschile gay asiatica. In Indonesia le campagne dedicate alla conoscenza del problema sono state bloccate, limitando la capacità degli attivisti di offrire un sostegno concreto. A meno che l’attitudine ufficiale nei confronti di gay e transgender non cambi e si normalizzi nel prossimo futuro, gli attivisti ritengono che sarà impossibile confrontarsi efficacemente con un’epidemia che è già arrivata a infettare quasi a un terzo dei giovani gay nelle città più popolose della regione, da Jakarta fino a Bangkok. “Potremmo fare di più se non fosse per questa recrudescenza generale nei confronti dell’omosessualità” dice un attivista nella prevenzione dell’Aids, che per prudenza preferisce restare anonimo, “i giovani non sanno che la persona con cui stanno facendo sesso ha dal 15 al 30% di possibilità di essere sieropositivo”
Sin dall’inizio dello scorso anno, esponenti del governo hanno fatto dichiarazioni sempre più violente e omofobiche, compreso il ministro della difesa Ryamizard Ryacudu che ha associato l’atteggiamento di tolleranza nei confronti dell’omosessualità a una guerra dissimulata condotta dall’Occidente. L’isteria è culminata in una serie di arresti di persone gay, inclusa una giovane coppia nella provincia di Aceh che è stata pubblicamente bastonata per aver compiuto atti sessuali.
Tutto ciò ha avuto l’effetto devastante di rendere invisibili i trattamenti e le informazioni riguardo all’AIDS. Gli indirizzi dei centri che offrono trattamenti indispensabili sono tenuti segreti, la clinica che sostiene l’ONG di Prabowo ha declinato ripetute richieste di interviste e non ha un sito internet. Il suo indirizzo è conosciuto solo con il passaparola e gli addetti hanno richiesto l’anonimato per timore di rappresaglie da parte dei conservatori. In una comunicazione via messaggi telefonici, il responsabile della struttura ha negato che il centro sia principalmente dedicato alla cura di pazienti gay. “Noi vogliamo che la clinica sia conosciuta solo da quelli che ne hanno bisogno, senza badare all’orientamento sessuale”, afferma il primario della clinica, sempre sotto anonimato.
Se l’attivismo contro l’AIDS a Jakarta è caratterizzato da sotterfugi dettati dalla paura, Rena Janamnuaysook sceglie un approccio completamente diverso per combattere l’epidemia in Tailandia. Dall’alto del suo metro e ottanta, lunghi capelli neri, una fresca veste bianca e un’impeccabile make-up, questa donna transgender che ha studiato comunicazione e media, ha un obiettivo molto chiaro: la completa eliminazione del virus dell’Aids. “La sensibilizzazione è il punto centrale della nostra campagna”, dice la coordinatrice del Centro di Ricerca sull’Aids della Croce Rossa Tailandese. “Vogliamo demistificare la narrativa sull’Aids”. Un po’ attivista un po’ mamma, Janamnuaysook si ferma a parlare con un ragazzo, che sta tirando un sospiro di sollievo per la notizia che il risultato del test è negativo. “La prossima volta non aspettare così tanto”, lo rimbrotta.
Il cuore del centro di ricerca è la Clinica Anonima dove almeno 35,000 persone all’anno si recano per test o per trattamenti. Almeno un terzo sono uomini che fanno sesso con altri uomini. Circa 3,500 persone vengono per la medicazione generica per prevenire l’AIDS resa disponibile dal governo tailandese per meno di 1 dollaro al giorno. Quest’anno poi è stata aperta un’unità specifica per persone transgender, soggetti ad alto rischio di infezione per la tendenza diffusa a dare priorità al cambiamento di sesso piuttosto che alla salute, come spiega Janamnuaysook. “Ci sono vari livelli di stigma che rendono le persone vulnerabili al virus”, spiega. “Come cittadino ho diritto a questi servizi.”
Creare un accesso su scala regionale a questi programmi non è mai stato tanto fondamentale. Nel 2011 in Indonesia solo il 6% degli uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini risultava positivo; ora la percentuale è vicina al 26 per cento, secondo i dati delle Nazioni Unite (UNAids). In posti come Jakarta o Bali la percentuale sale ulteriormente, fino al 36 per cento. A Bangkok la percentuale fra i gay è intorno al 30 per cento, in crescita rispetto al 21 per cento all’inizio di questa decade. Si prevede che nel 2020 oltre metà delle nuove infezioni avveranno nella comunità gay. Le ragioni specifiche di questa escalation sono difficili da individuare. La diffusione di droghe come metanfetamine, che spingono a prendere decisioni avventate, e la proliferazione di applicazioni per appuntamenti possono essere fra i fattori scatenanti.
Ma organizzazioni di attivisti come Apcom – un gruppo specializzato nel diffondere consapevolezza riguardo alla diffusione dell’Aids nella comunità gay-sostengono che il pugno duro delle autorità sta accelerando l’epidemia. “I gay sono sempre più umiliati e oppressi”, dice Ryan Figueiredo, vice direttore di Apcom. “È inquietante che le autorità denigrino proprio la comunità con la quale dovrebbero lavorare più a stretto contatto per limitare la diffusione del contagio.”
Questo conservatorismo sessuale, specialmente in Indonesia, non è nulla di nuovo. Ma anche in questo difficile scenario si possono vedere dei passi in avanti. L’organizzazione di Prabowo si è occupato della formazione del personale in molte cliniche e supportato economicamente gli straordinari di alcuni infermieri. Alcuni centri distribuiscono medicazioni per la cura dell’Aids senza riportare le generalità dei pazienti agli ospedali,-un punto fondamentale resta infatti quello di garantire l’anonimato.
Per molti giovani gay sieropositivi che vivono in Indonesia, una visita dal dottore continua a essere un percorso a ostacoli. Una volta ogni due mesi, Jeremy, un ragazzo di trent’anni, mette da parte la sua bella polo, le sue scarpe curatissime e indossando una t-shirt sformata e delle infradito va in quella stessa clinica in centro città che ci ha chiesto di mantenere l’anonimato. Ci va per procurarsi medicazioni vitali per combattere il virus che lo affligge da quando aveva 25 anni. Una mascherina da infermeria, messa come se intendesse proteggersi dall’inquinamento atmosferico, gli serve in realtà per completare il travestimento. Jeremy non è il suo vero nome. “Normalmente sono estremamente curato nell’abbigliamento, ma quando vado alla clinica mi vesto in modo totalmente diverso perché nessuno mi riconosca”, dice. “Vivo qui, la gente parla.”
Ma dopo due anni di questa vita sempre rischiando di imbattersi in persone che potrebbero rivelare la sua identità, Jeremy si dice stanco. Dice che sogna un giorno in cui la società sarà più aperta sulla sua situazione. “Penso che in futuro non sarò costretto a indossare un travestimento, ma sarò libero di andare al centro e di dire apertamente ciao a chiunque”.
Testo originale: Indonesia cracks down on gays … and fuels its HIV epidemic