Il coming out ed il problema della visibilità per i cristiani omosessuali
Riflessioni di Giuliana Arnone* tratte dalla sua tesi di laurea su “Il difficile equilibrio tra azione e contemplazione: strategie di riconoscimento di un gruppo di omossessuali credenti”, Università Ca’ Foscari di Venezia, Corso di Laurea magistrale in Antropologia culturale, etnologia, etnolinguistica, ottobre 2013, pp.104-105
“Dal momento che lo ammetti a te stesso, ti scrolli via alcuni stereotipi” (Davide 11/05/13, Tregnano). (…) Il tema del coming out (..), non risulta quasi mai essere un processo pacifico. Una persona omosessuale impiega del tempo per realizzare di esserlo. O tra il realizzarlo e il cominciare ad assumere comportamenti da omosessuale. Nella vita di un omosessuale, il dichiararsi, il fare coming out a se stessi e agli altri il proprio orientamento è una decisione che prima o poi egli deve compiere. Com’è facile intuire, dichiararsi significa esporsi alla possibilità di essere discriminati.
Un aspetto non di poco conto, è che non tutte le persone (…) che partecipano agli incontri (dei gruppi di cristiani omosessuali) hanno fatto coming out in tutte le sfere che coinvolgono la vita di un individuo, dal lavoro alla famiglia. L’aspetto del coming out, com’è facile intuire, si lega inevitabilmente a quello della visibilità. Durante l’incontro inter-gruppi (cristiani omosessuali) del 3 marzo 2013, ascoltai in tal senso delle storie incredibilmente simili. Scoprii che quasi nessuno aveva fatto coming out in tutti gli aspetti della vita, prima fra tutti al lavoro, che rappresenta il luogo dove si nascondono le maggiori discriminazioni.
C’è Andrea, che fa l’insegnante e non può dichiararsi e Lorenzo, l’infermiere che ha confessato la sua omosessualità solamente a una sua collega. C’è Michele che adesso vive con il compagno nello stesso condominio dove abitano i figli che, ci dice, non sanno di loro.
Anche Mauro dirà durante quell’incontro che non può dichiararsi al lavoro, che non può esporsi pubblicamente, perché, dal momento che fa l’insegnante, farlo significherebbe aumentare la possibilità che i suoi studenti lo vengano a sapere e che il suo lavoro potrebbe subire delle conseguenze – “una mia dichiarazione può finire sul giornale e dovrei dare spiegazione ai miei studenti” (Mauro, 3/03/13, Padova).
Giuseppe ammette che a suo parere bisogna saper rischiare e non vivere nella paura. Vi sono dei posti, come quello, dove si può essere se stessi. Posti in cui non si può, spesso. Come il lavoro. “Sta a noi decidere se voler vivere nelle tenebre o alla luce del sole“, ribadisce (Giuseppe, 3/03/13, Padova).
Esporsi diventa dunque fortemente rischioso. Carlo, durante una cena in pizzeria di fine aprile, mi confessò alcuni dubbi sulla completa esposizione pubblica delle persone poiché, a suo avviso, “la persona che sceglie di consegnarsi alla comunità, deve sapere a cosa va incontro” (Carlo, 20/04/13, Padova).
Quando andai a casa di Alessandro, nel giugno 2013, (…) mi disse di essere dispiaciuto di non aver partecipato al gay Pride di Bologna del 2012. Quando io gli chiesi spiegazioni, egli mi rispose: “(…) ci sono mille motivi… era la fine della scuola, (…), però la verità è che alcuni hanno problemi di visibilità. Al pride di Bologna del 2007 eravamo in cinque/sei (cristiani omosessuali visibili). Io stesso in famiglia non mi sono dichiarato” (Alberto, Padova, 26/06/13)
(…). Vi sono, fondamentalmente, due tipi di coming out: Un coming out che la persona omosessuale deve fare davanti a se stessa e un coming out che deve fare davanti la società. Ciononostante, non è automatico che, essendosi dichiarati a se stessi, segua un dichiararsi davanti agli altri.Nel processo che porta una persona omosessuale credente a dichiararsi davanti a se stessi, l’ansia diventa maggiore rispetto a un omosessuale non credente.
Gli omosessuali cristiani vivono effettivamente spesso un senso di colpa e vergogna dal momento in cui diventano coscienti della loro omosessualità e spesso codeste persone hanno un maggior grado di ansia nell’affrontare la propria sessualità (Yip, 1997a:165). Questo mi è stato detto da Mauro e Alessandro durante le interviste. Il fatto di aver introiettato valori provenienti dal mondo cattolico, genera nelle persone omosessuali e cattoliche, spesso, un senso di colpa con cui è difficile confrontarsi.
Spesso si tratta di decidere a quale delle due identità rinunciare. Alcune volte si rinuncia alla propria identità omosessuale – decidendo dunque di intraprendere una vita casta.
Quando Mauro decise di farsi frate, decise quindi di non “professare” (la sua omosessualità), perché pensava che nella fede avrebbe potuto trovare completa realizzazione. Solo dopo tempo si rese conto che non avrebbe potuto essere così e il gruppo (di cristiani omosessuali di cui fa parte) gli ha dato l’opportunità di poter pacificare le due dimensioni.
Una volta che (il coming out) viene realizzato, la volontà è quella di sentirsi quanto più normali possibili. Daniele, difatti, dice: “è una vita [la nostra], non diversa, a mio avviso. Anzi” (Daniele, 11/05/13, Tregnano).
* Giuliana Arnone si è laureata all’Università Cà Foscari di Venezia in Antropologia culturale con una tesi dal titolo “Il difficile equilibrio tra azione e contemplazione Strategie di riconoscimento di un gruppo di omosessuali credenti” (ottobre 2013) ed ha conseguito il dottorato in Studi Storici Geografici e Antropologici all’Università di Padova con una ricerca etnografica riguardante la realtà di LGBT cristiani in Italia intitolata “Tutta una questione di riconciliazione: uno sguardo etnografico sui percorsi di riconoscimento del movimento LGBT cristiano in Italia” (2016). Ha curato per il Forum Italiano dei cristiani LGBT la ricerca “Rapporto 2016 sui cristiani Lgbt in Italia” (settembre 2016) ed ha scritto con Paola Coppi e Pasquale Quaranta il capitolo intitolato “Una testimonianza: gruppi LGBT e Chiese nell’Italia contemporanea” contenuto nel volume “Tribadi, sodomiti, invertite e invertiti, pederasti, femminelle, ermafroditi… Per una storia dell’omosessualità, della bisessualità e delle trasgressioni di genere in Italia” a cura di Umberto Grassi, Vincenzo Lagioia, Gian Paolo Romagnani, Edizioni ETS, Pisa, 2017.