I figli e le mille declinazioni della genitorialità oggi
Testo della teologa suor Margaret Farley* tratto dal libro Just Love: A Framework for Christian Sexual Ethics, Continuum International Publishing Group (USA), agosto 2005, pagg. 255-257, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
È stato scritto così tanto sulla genitorialità, sul dilemma se la nostra cultura ami i bambini o vi sia indifferente, sulle necessità dei bambini e sulla responsabilità, che ricade su ciascuno e ciascuna, nei confronti delle future generazioni, che posso aggiungere molto poco sull’argomento. Oggi abbiamo problematiche particolari: la dimensione delle famiglie, i matrimoni senza figli, le tecnologie riproduttive, i timori legati alla sovrappopolazione, le fasi della genitorialità, allevare bambini in una cultura piena di insidie che li minacciano. Per quanto riguarda tutto questo, il problema centrale è quello della giustizia: per i bambini, per i genitori, per la società, per il mondo.
Viviamo in un’epoca piena di conflitti, in particolare per quanto riguarda l’utilizzo delle tecnologie riproduttive, che permettono quasi a chiunque di avere figli, donne e uomini, fertili o sterili, single o sposate. La ricerca di queste tecnologie nasce da due cose, che esistono in maniera a dir poco paradossale. In primo luogo, alcune di esse scollegano il contributo biologico alla nascita dall’allevare i figli; per esempio, la donazione di sperma, di ovuli e di embrioni raramente sollevano preoccupazioni sul mancato collegamento tra il donatore o la donatrice e il bambino che verrà concepito. In secondo luogo, le tecnologie riproduttive esprimono il desiderio quasi insaziabile di avere figli propri, biologici, per cui è sorta un’industria da un miliardo di dollari che procura una discendenza genetica. Faccio questa osservazione non per criticare tali tecnologie, ma per innescare una riflessione sul nostro desiderio di riprodurci come esseri umani. A tal proposito infuriano discussioni rabbiose, ma forse a questo punto è meglio riflettere che discutere.
Le due questioni sono collegate tra loro. Per esempio, quando il bambino è nato, su chi ricade l’obbligo di accudirlo? Oggi siamo pronti a distinguere i ruoli genitoriali: i genitori biologici, chi partorisce il bambino e i genitori sociali. Anche in quella che è tutt’ora considerata la forma “standard” di genitorialità (concepimento eterosessuale, allevamento e crescita di un figlio) si discute su chi dovrebbe concretamente accollarsi le principali responsabilità e compiti dell’allevare un figlio. Cosa è meglio per il figlio o la figlia? Che uno dei genitori rimanga a casa? Che uno dei genitori rimanga a casa per anni facendo, tra le altre cose, scuola al figlio? Oppure offrirgli una varietà di modelli ed esperienze materni e paterni? Essere poco presenti come genitori è un’oppressione nei riguardi del figlio? È un’oppressione essere troppo presenti con il figlio senza lasciarlo godere dell’affetto dei nonni o di altri membri della famiglia, senza maestre né altre figure professionali, senza situazioni sociali in cui possa crescere grazie a mentori e coetanei?
Non proporrò risposte specifiche a tutte queste problematiche, ma vorrei identificare un principio che ci faccia da guida in questo ambito dell’umana responsabilità, un principio che comprenda le norme dell’etica sessuale e che possa magari venire esteso alle conseguenze del sesso. Ho parlato così tanto dell’autonomia e della relazionalità che non sorprenderà ciò che aggiungo ora: non si dovrebbe concepire e far nascere un bambino in un contesto non in grado di condurlo alla crescita e allo sviluppo nell’ambito delle relazioni, non in grado di renderlo autonomo e moralmente responsabile di se stesso.
Ovviamente non esiste un modo per prevedere se un contesto potrà fornire a un bambino ciò di cui avrà bisogno per imparare la relazionalità, per crescere nella libertà e avere la possibilità di autodeterminarsi, ma possiamo dire che, nella scelta tra le varie forme di riproduzione e le varie configurazioni genitoriali, si dovrebbe valutare se si è sufficientemente in grado di provvedere a ogni bambino i mezzi per il suo accudimento nell’ambito di una relazione intima e di fornire tutto ciò di cui possa avere bisogno per crescere nella possibilità della personale libertà.
In altre parole, le forme di riproduzione e le configurazioni genitoriali possono essere giudicate in base al fatto che conducano o meno il bambino o la bambina a sviluppare la sua relazionalità e la sua capacità di autodeterminarsi, che sia o meno rispettato e accudito in quelle caratteristiche del suo essere che costituiscono il nocciolo della sua umanità.
* Suor Margaret A. Farley, nata il 15 aprile 1935, fa parte della congregazione americana delle Sisters of Mercy (Suore della Misericordia) ed è professoressa emerita di etica cristiana presso la Yale University Divinity School dove ha insegnato etica cristiana, dal 1971 al 2007, ed è stata anche presidente della Catholic Theological Society of America (Associazione Cattolica dei Teologi d’America). Il suo libro Just Love (2005), ha avuto numerose critiche e censure da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede per le opinioni morali espresse, considerate divergenti dal magistero cattolico, ma ha ricevuto invece ampio sostegno e approvazione dalla Leadership Conference of Women Religious (Conferenza delle Religiose degli Stati Uniti) e della Catholic Theological Society of America (Associazione Cattolica dei Teologi d’America).