Come è cambiato nella tradizione cristiana il giudizio sui comportamenti omosessuali
Testo della teologa suor Margaret Farley* tratto dal libro Just Love: A Framework for Christian Sexual Ethics, Continuum International Publishing Group (USA), agosto 2005, pagg. 262-265, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Per quanto ne so, nessuno oggi cerca di appellarsi al fatto che la tradizione cristiana ha sempre concepito l’omosessualità in un certo modo per condannare le relazioni e gli atti omosessuali; in ogni caso, adottare tale punto di vista vorrebbe dire scontrarsi con il concetto di tradizione che ho identificato nel capitolo 5. Inoltre, è tutt’altro che certo che i cristiani abbiano sempre giudicato negativamente l’omosessualità: l’opera di storici come Boswell ha rivelato che nei secoli passati l’insegnamento e il pensiero cristiani in materia erano molto meno univoci.
Come ho già avuto modo di dire, se i cristiani odierni vogliono utilizzare in maniera corretta il deposito della fede che la comunità cristiana ha accumulato nei secoli (insegnamenti, pratiche, teologia, preghiere), è necessario impegnarsi nell’esegesi e nella interpretazione di questo deposito, di questa tradizione, non meno che con le Scritture. Anche laddove la tradizione cristiana ha giudicato negativamente (o anche positivamente) l’omosessualità, dobbiamo arrivare a comprendere e valutare le motivazioni di tale giudizio, il suo contesto sociale e culturale e le sue conseguenze per i cristiani di ieri e di oggi.
Come ho scritto nel capitolo 2 (di Just Love), nell’etica sessuale della tradizione cristiana troviamo due motivi dominanti: la procreazione come scopo fondamentale del rapporto sessuale e la complementarietà maschio/femmina come base e struttura essenziali per l’attività sessuale.
Il primo motivo è tipicamente cattolico, mentre il secondo ha acquisito una grande importanza nelle tradizioni protestanti storiche, le quali ribadivano che il rimedio per la sessualità, resa disordinata dal peccato originale, doveva essere il matrimonio eterosessuale. Questi due motivi sono estremamente rilevanti per la valutazione morale dell’omosessualità. Fintantoché la tradizione ha continuato a giustificare il sesso soprattutto, se non solamente, come mezzo per la procreazione, o il matrimonio eterosessuale come correttivo a un impulso sessuale disordinato e indomabile, ovviamente c’è stato poco o nullo spazio per una valutazione positiva delle relazioni omosessuali. Il matrimonio eterosessuale era non solo la norma generale per la vita cristiana (assieme al celibato, per chi era in grado di affrontarlo), ma anche l’unica scelta accettabile per i cristiani in tema di sessualità.
Nonostante questa tradizione etica sia molto antica, il XX secolo ha visto cambiamenti impressionanti nell’etica sessuale, tanto cattolica quanto protestante, e in questi due motivi dominanti. In gran parte della teologia e dell’etica morali cattoliche è sparita la norma della procreazione come unica o principale giustificazione per l’attività sessuale. Come abbiamo visto, la procreazione rimane un obiettivo estremamente importante per alcuni rapporti sessuali e come fonte di significato per alcune relazioni sessuali, ma le nuove teorie della totalità della persona hanno introdotto una concezione della sessualità, espressione e causa dell’amore, radicalmente nuova. I valori dell’intimità sessuale, del piacere e della compagnia reciproca vengono esaltati come elementi importanti per lo sviluppo umano e cristiano.
Questo significa, in primo luogo, che il profondo sospetto nei confronti del desiderio e del piacere sessuali, che ha caratterizzato per molto tempo le due tradizioni, è in gran parte scomparso, vale a dire che la visione della sessualità come disordine è sparita da gran parte del pensiero cristiano; inoltre, in ambedue le tradizioni si sono attenuati i rigidi stereotipi della complementarietà maschio/femmina e oggi, nella maggior parte delle teologie cristiane del matrimonio e della famiglia, sono apparse l’uguaglianza, le possibilità e la responsabilità della condivisione.
Tutti questi cambiamenti sono stati significativi per una nuova valutazione delle relazioni omosessuali da parte di molti cristiani; tuttavia, la norma procreativa e la complementarietà di genere continuano ad apparire, per esempio, tra i protestanti conservatori e nelle valutazioni negative nei riguardi degli atti omosessuali che troviamo nei documenti cattolici ufficiali. In questi ultimi, la norma procreativa viene relativizzata per le relazioni eterosessuali (da cui l’accettazione di determinate forme di contraccezione, come la “pianificazione famigliare naturale”), mentre viene di nuovo assolutizzata quando si parla di relazioni omosessuali.
Per molti cattolici e protestanti la visione della sessualità come una forza indomabile e caotica, che si deve innanzitutto imbrigliare, non è più attuale per quanto riguarda l’eterosessualità, ma sembra viva e vegeta nei giudizi proferiti su gay e lesbiche; le idee di gerarchie di genere e di complementarietà si sono moderate per quanto riguarda i ruoli della società in generale, ma l’importanza della complementarietà di genere spesso si pone contro l’accettazione delle relazioni omosessuali.
Si sono prodotti in ogni caso importanti cambiamenti nel giudizio morale dell’omosessualità e dell’eterosessualità. Nonostante perenni tensioni e attraverso intensi dibattiti, alcune Chiese protestanti storiche (in particolare la Chiesa Unita di Cristo) hanno rilasciato dichiarazioni positive e sviluppato un atteggiamento favorevole nei confronti delle relazioni omosessuali e, nonostante quanto detto sulle posizioni ufficiali della Chiesa Cattolica, i suoi cambiamenti non vanno sottovalutati. Nonostante gli atti genitali omosessuali siano ancora giudicati intrinsecamente disordinati, e perciò “oggettivamente” immorali, possono comunque essere “soggettivamente” morali a seconda dello stato mentale e delle intenzioni dell’individuo; inoltre, l’orientamento omosessuale in quanto tale non è condannato, al contrario, e le raccomandazioni pastorali per l’accoglienza di gay e lesbiche nella comunità dei fedeli sono generalmente positive, anche se non mancano le tensioni [1].
È evidente quanto sia fluida la tradizione cristiana nei confronti delle persone e dei comportamenti omosessuali, perlomeno quella occidentale. Molti lo negheranno, ma questi cambiamenti epocali sono difficili da ignorare. Senza voler dare l’ultima parola, possiamo trarre un’altra modesta conclusione: come certamente, a questo punto, non è possibile ricavare dalla tradizione una possibile benedizione per le relazioni omosessuali, non è possibile nemmeno ricavarne una proibizione assoluta.
Le risorse della tradizione vanno esaminate più a fondo se vogliamo portare le sue intuizioni migliori al servizio della contemporanea questione omosessuale.
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[1] Le recenti rimostranze di alcuni prelati cattolici nei confronti dell’ordinazione sacerdotale di individui omosessuali è una questione preoccupante ma forse temporanea, in quanto vanno lette nel contesto delle responsabilità dell’istituzione verso gli scandali sessuali del clero, gay ed eterosessuale.
* Suor Margaret A. Farley, nata il 15 aprile 1935, fa parte della congregazione americana delle Sisters of Mercy (Suore della Misericordia) ed è professoressa emerita di etica cristiana presso la Yale University Divinity School dove ha insegnato etica cristiana, dal 1971 al 2007, ed è stata anche presidente della Catholic Theological Society of America (Associazione Cattolica dei Teologi d’America). Il suo libro Just Love (2005), ha avuto numerose critiche e censure da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede per le opinioni morali espresse, considerate divergenti dal magistero cattolico, ma ha ricevuto invece ampio sostegno e approvazione dalla Leadership Conference of Women Religious (Conferenza delle Religiose degli Stati Uniti) e della Catholic Theological Society of America (Associazione Cattolica dei Teologi d’America).