Il dolore dei genitori dopo il coming out di un figlio
Testo di Mary Ellen e Casimer Lopata tratto dal loro libro Fortunate Families: Catholic Families with Lesbian Daughters and Gay Sons (Famiglie fortunate: famiglie cattoliche con figlie lesbiche e figli gay),Trafford Publishing, 2003, capitolo 3, pp.22-27, libera traduzione di Diana
Per i genitori che non hanno sperimentato cos’è il coming out di un figlio, il dolore può sembrare una reazione irrazionale alla notizia del suo orientamento sessuale. Tuttavia il dolore è una sentimento abbastanza comune di ciò che provano molti genitori. Un genitore ha descritto il suo dolore in questo modo:
“All’epoca non capivo, ma giunsi a comprendere che provavo dolore. Un senso di oppressione allo stomaco, scoppiavo a piangere all’improvviso, senza una ragione apparente o ascoltando una particolare canzone. Faticavo ad addormentarmi.
Io sono impegnato in parrocchia. Quando andavo a Messa o ad una riunione parrocchiale mi chiedevo cosa avrebbero detto o fatto le persone se lo avessero saputo. Ogni predica era collegata all’omosessualità di mio figlio e sapevo che l’omelia sarebbe stata diversa se applicata a mio figlio. Sentivo che i principi cristiani non sarebbero stati applicati a mio figlio se la gente lo avesse saputo. La Chiesa cattolica era diventato, per me, il luogo più difficile in cui trovarmi….”
Circa metà dei genitori dell’indagine (sui genitori cattolici con figli LGBT) riconoscevano questi sentimenti di dolore. Ma questi sono genitori che non hanno rifiutato o disconosciuto i loro figli omosessuali, perché avrebbero dovuto provare dolore? Il loro figlio non era morto; semplicemente sapevano delle nuove cose su di lui. Ma non è così semplice. Alcuni genitori dicono: “Non è cambiato nulla, eppure è cambiato tutto”.
La scrittrice Mary Borhek e il teologo e pastore metodista David K. Switzer scrivono entrambi del processo doloroso che sperimentano i genitori dopo il coming out dei figli. Switzer parla del panico, dello “scombussolamento e della disperazione” che i genitori provano, uniti ad una paura non controllabile. Egli suggerisce con forza che questi sentimenti sono così ampi, e forse amplificati, dalla mancanza di un sistema di sostegno da parte della comunità cristiana nei confronti dei genitori, durante questo periodo traumatico. Borhek raccomanda ai genitori e ai loro figli omosessuali di elaborare insieme questo dolore, facendo notare che questo richiede una calma oggettiva e tanta pazienza, specialmente da parte dei figli e delle figlie omosessuali.
Un modo di comprendere questo dolore è rendersi conto che i genitori stanno soffrendo per la perdita delle loro aspettative e delle loro speranze nei confronti dei figli. Più di un terzo dei partecipanti all’indagine dicono di essere preoccupati, perché i loro figli non avranno mai bambini e vivranno una vita solitaria. Questi genitori soffrono per la vita che loro avevano immaginato per i loro figli, di solito una vita molto simile alla loro, solo migliore. Questo tipo di aspettative fanno talmente parte del nostro condizionamento sociale che noi non ne siamo consapevoli, finché non siamo messi di fronte alla loro perdita.
Fatemi fare un esempio. Parecchi anni fa ebbi il privilegio di essere presente alla nascita del mio primo nipote. Là, in sala parto, osservavo mia figlia, che avevo visto nascere 29 anni prima, e ora vedevo nascere sua figlia! Piena di gioia per questo miracolo, improvvisamente diventai consapevole dei miei pensieri. Stavo pensando: “Un giorno questa neonata darà alla luce. anche lei. un bambino”.
Non sto dicendo che ci sia qualcosa di sbagliato in questo pensiero. Io uso questo episodio solo per ricordare che anche coloro tra noi che, in virtù della loro esperienza, non dovrebbero facilmente cadere sotto il fascino delle aspettative culturali e sociali, tuttavia ci cadono; questo significa che in noi esiste un riflesso automatico. Forse non ricordo tutti i dettagli, tuttavia entro pochi minuti dalla sua nascita avevo già pianificato il futuro di mia nipote. Quando tali aspettative sono così profondamente innate, è normale che noi soffriamo quando subiscono un cambio radicale.
Dall’istante della nascita ed anche prima, quando i genitori sentono queste parole: “È un maschio, o è una femmina”, inconsciamente – o consciamente – cominciamo a pianificare la vita dei loro figli. In realtà non riesciamo ad immaginare il loro magnifico matrimonio venti o trent’anni dopo, o il marito o la moglie, i nipoti – ma senza dubbio il progetto è in formazione. L’attuale nostra cultura si basa sul modello eterosessuale della famiglia nucleare. Questa è una società più propensa a fare in modo che il bambino si adatti alle sue aspettative, piuttosto che valorizzare l’unicità di ogni bambino per aiutarlo a trovare la sua strada, per contribuire al benessere della società.
Altri sentimenti che i genitori provano – per esempio paura, senso di colpa, shock e rabbia – sono sempre collegati a questo dolore. Per elaborare e superare questo dolore, dobbiamo conoscere nostro figlio omosessuale e il bene che rappresenta per noi, la nostra famiglia, la nostra comunità, la nostra chiesa ed il nostro mondo. Centinaia di migliaia di genitori, solo negli Stati Uniti, sono usciti vittoriosi in questo lavoro fatto di amore emotivo, intellettuale e spirituale.
COLPA, VERGOGNA, SOLITUDINE, IMBARAZZO E TIMORE PER SE STESSI
Oltre un terzo dei partecipanti all’indagine, sui genitori cattolici con figli LGBT, si sentiva colpevole o, almeno per un po’ di tempo, aveva pensato di essere la causa dell’orientamento omosessuale dei loro figli.
In una cultura permeata di stereotipi negativi sugli omosessuali, questo fardello è pesante per molti genitori. Questo fardello scompare solo se, o quando, i genitori comprendono che essere gay o lesbica è una parte di ciò che rende, i loro figli, unici e pieni della grazia di Dio
Per i primi tre anni, da quando mio figlio Jim ha fatto coming out, non ne ho parlato con nessuno, a parte che con mio marito Casey, ed il prete di cui avevo parlato per primo del suo orientamento sessuale. Vergogna, solitudine, imbarazzo e timore per me stessa furono la causa ed il risultato di questo silenzio.
Anni dopo, mi trovavo ad una tavola rotonda di genitori con figli omosessuali. Parlai del mio amore per Jim, delle mie lacrime e del mio lungo silenzio dopo aver saputo che era gay. Durante la discussione che seguì, un giovane gay mi sfidò dicendo: “Se amavi tuo figlio, per cosa piangevi? Se amavi tuo figlio perché non ne potevi parlarne con nessuno?”.
Non ci sono delle buone risposte a queste domande. La solitudine e l’isolamento sono sottoprodotti della vergogna, dell’imbarazzo e del timore che proviamo – vergogna perché, quello che la nostra cultura ritiene una “devianza”, ha colpito la nostra famiglia; imbarazzo per la nostra ignoranza, in particolare per la natura sessuale dell’argomento e timore che saremo giudicati “colpevoli”. “Che cosa ho fatto per causare questa condizione inspiegabile?”. Questi sono i pensieri e i sentimenti che tanto spesso opprimono i genitori che non hanno accesso ad un aiuto e ad informazioni precise sull’omosessualità.
Questi sentimenti – vergogna, solitudine, imbarazzo e timore per se stessi – hanno degli elementi in comune: tutte queste emozioni sono dentro di noi e gettano un’ombra negativa su di noi; e questi sentimenti spesso hanno l’effetto di mantenerci isolati e lontani da ogni aiuto che invece ci sarebbe utile. I genitori che si trovano intrappolati in questo particolare circolo vizioso di emozioni negative hanno bisogno di ulteriori motivazioni ed un aiuto per spezzare l’isolamento e recuperare le risorse di cui hanno bisogno.