Senza coprirsi davanti a Dio: le Beatitudini e le persone LGBT
Riflessioni di Antonio De Caro del gruppo Spiritualità Arcobaleno di Parma
L’esperienza di vita di molte persone LGBT mostra particolari risonanze con il testo evangelico delle Beatitudini (Mt 5.1-12). Queste persone si trovano spesso in condizioni di emarginazione, paura o umiliazione, soprattutto (ma non solo) negli anni della crescita. Molti adolescenti gay vengono derisi, per esempio, perché non esibiscono comportamenti sboccati, competitivi o violenti; e possono di frequente subire ostilità e rifiuto da parte dell’ambiente familiare, scolastico, lavorativo, persino ecclesiale. Ma con le Beatitudini Cristo rovescia le gerarchie umane di sopraffazione e di successo, ponendo al centro dell’interesse di Dio coloro che agli occhi del mondo sembrano perdenti e fragili; Egli si curva amorosamente sulle persone che non hanno nessuno che si curi di loro: quindi apre le porte del Regno anche alle donne e egli uomini LGBT, proprio in quanto spesso afflitti, miti, perseguitati e in cerca di giustizia.
Un colle, un lago, uno sguardo sereno sull’orizzonte. Il sorriso del cielo, il sorriso di Dio per l’umanità. Quel sorriso era ed è anche per noi.
La prima delle “beatitudini” viene ritenuta – giustamente- la chiave di accesso a tutte le altre. Che cosa significa “esseri poveri in spirito”? Spesso ci muoviamo nel mondo e nella nostra vita aggrappandoci alle nostre certezze e a quelle risorse che riteniamo possano presentarci come persone forti: la prestanza fisica, l’intelligenza, il carisma, la parola, i beni materiali, il prestigio sociale, le conoscenze che contano…più andiamo avanti nella vita, più avvertiamo il bisogno di una corazza per avere sempre ragione, per difenderci dal mondo, per non lasciarci ferire…Ma Gesù ci invita ad essere “poveri dentro”: cioè ad avvicinarci a Dio senza nessuna corazza, senza nessuna difesa, certi di essere amati ed accolti esattamente come siamo, con le nostre fragilità e le nostre imperfezioni. Quando proclama beati i poveri in spirito, Gesù ci sta rivelando che il Dio di cui Lui è figlio non intende schiacciarci, non deve farci paura. Possiamo, quindi, presentarci a Lui liberi dalle nostre sovrastrutture, disarmati e nudi, senza la paura che aveva spinto Adamo a nascondersi.
E questo perché? Se osserviamo la formulazione di ciascun versetto, notiamo che Gesù prima dice “beati”, cioè afferma la benevolenza e l’accoglienza di Dio; poi presenta i poveri, gli afflitti, le vittime di ingiustizia, cioè le diverse forme della fragilità umana; quindi conclude con una motivazione (“perché…”) che si richiama nuovamente all’intervento salvifico di Dio. La fragilità umana si trova in tal modo “abbracciata” dall’amore di Dio, che si ripiega e si chiude protettivamente su di essa. Questo movimento, a ben guardare, è lo stesso della cornice narrativa con cui si pare il brano: Gesù vede le folle e sale sulla montagna (“beati…”); i suoi discepoli gli si avvicinano (“…i poveri in spirito”) e Lui dona loro la lieta notizia (“…perché di essi è il regno dei cieli”). Il movimento fisico e quello testuale coincidono, poiché in Cristo non c’è discontinuità fra parlare ed agire, fra il linguaggio verbale e quello corporeo. Ecco in che senso il Verbo si è fatto carne, ecco in che senso Dio ha assunto pienamente la semantica dell’essere umano per parlarci della nuova logica del Suo regno.
Un’ultima riflessione riguarda la redazione del passo. Gli studi esegetici affermano che in realtà il “discorso della montagna”, che si apre appunto con le Beatitudini, è nato da insegnamenti che Gesù ha dato in luoghi e tempi diversi, ma che, composti insieme, formano una sintesi organica dei valori fondamentali della Sua predicazione. In tal senso, il testo che noi chiamiamo le Beatitudini sarebbe stato composto riunendo diverse “beatitudini” pronunciate da Cristo in occasioni diverse (come ce ne sono ancora sparse negli altri vangeli). È stata, quindi, la fede della comunità sorta dall’annuncio di Matteo che ha avvertito in queste parole tutta la potenza innovativa e la presenza salvifica di Cristo.
Che conseguenze può avere questa genesi per la vita dei credenti, e dei credenti LGBT? Che l’annuncio e l’arrivo del Regno passano attraverso la nostra esperienza, la nostra capacità di leggere i segni dei tempi e di scorgere, nella storia del quotidiano, la presenza concreta ed accogliente del Figlio di Dio. È lì, cioè qui-ed-ora, che la storia della salvezza continua, che Gesù si curva sulla nostra fragilità e ci parla di come siamo amati da Dio. L’annuncio della felicità non è cessato, ed ognuno di noi è invitato a portare avanti il testo con la sua personale strada verso la beatitudine.
Che non è mai una strada egoistica e solitaria: ricevere l’amore di Dio, essere accolti da Lui così come siamo, comporta che in noi nasca un’identità accogliente, misericordiosa e pacifica. Come persone LGBT, che hanno sperimentato la sofferenza e sperimentano la consolazione offerta da Dio, siamo chiamati a rinnovare le nostre relazioni e il nostro essere con gli altri secondo il cuore di Dio rivelato in Gesù Cristo.