Omosessualità e religioni. Il tabù
Articolo di Maité Darnault, lemondedesreligions.fr (Francia), 18 maggio 2011*, liberamente tradotto da Dino
“No all’omosessualità, ma sì agli omosessuali in quanto persone e a patto che mantengano l’astinenza” per i monoteismi nati dalla rivelazione abramica (ebraismo, cristianesimo, islam) e per il buddismo, il rifiuto dell’omosessualità è sempre stato, nel corso dei secoli, un terreno di ecumenismo comodo.
Ma qualunque sia la confessione religiosa, sono proprio gli atti ad essere stigmatizzati (e non le persone o lo slancio amoroso a cui esse sono soggette), sono ritenuti comportamenti sessuali anormali dato che si sottraggono al fine ultimo obbligato della riproduzione umana.
Da una quarantina d’anni in Francia, la pressione delle rivendicazioni da parte degli omosessuali costringe le religioni di maggioranza a riaffermare o a rivedere le proprie posizioni.
Del resto alcune correnti progressiste non hanno aspettato i recenti e conflittuali dibattiti sociali (Pacs, omoparentalità) per concepire questo necessario adattamento.
Perchè se il movimento gay contemporaneo sostiene un nuovo modello di società basato sull’identità sessuale, allo stesso tempo sconvolge dei concetti dottrinari assodati e vecchi di molte migliaia d’anni.
Una società misogina e patriarcale
Alla base della condanna dell’omosessualità nell’ebraismo e nel cristianesimo ci sono due brani del Levitico, il 18 e il 20, una sezione del Codice di Santità redatto nel V° secolo a.C.: “Non giacerai con un uomo come si fa con una donna, sarebbe un abominio” (18,22); “Quando un uomo giace con un altro uomo come si fa con una donna, […] entrambi saranno messi a morte” (20,13).
Secondo il teologo Thomas Romer, nell’ epoca persiana questa “gestione della sessualità” rappresenta un cardine dell’identità del nascente ebraismo, che leggittima unicamente la procreazione (“Siate fecondi e moltiplicatevi”, Genesi 1,28) e le strutture familiari che ne derivano, in primo luogo il matrimonio.
Non si parla mai dei rapporti sessuali tra donne, i loro desideri preoccupano molto raramente i legislatori nella società israelita dell’epoca, misogina e patriarcale. Nel Talmud, la Mishna (Sanh 7,4) colloca l’omosessualità accanto all’idolatria e all’omicidio, peccati capitali che giustificano la lapidazione.
La Bibbia non fa alcun riferimento ai rapporti lesbici, essi sono punibili con la flagellazione, ma non di più.
Sodoma e il “popolo di Lot”
Il testo che veramente è all’origine dell’omofobia cristiana è il racconto della distruzione delle città peccatrici di Sodoma (che darà origine ai termini “sodomia” e “sodomiti”) e Gomorra (Gen 19). Questo episodio biblico, la cui interpretazione è oggetto di discussione, racconta l’arrivo a Sodoma di due uomini, inviati da Dio, ai quali Lot, fratello o nipote di Abramo, offre riparo per la notte.
La presenza di questi stranieri provoca la collera della popolazione: (19,4-5) – la “conoscenza” qui equivaleva ad un rapporto sessuale.
Lot rifiuta di dare in pasto i suoi invitati a questa violenza gratuita. I messaggeri divini allora fanno diventare ciechi gli aggressori e l’indomani si affrettano, insieme alla famiglia di Lot, a fuggire dalla città, ben presto punita dalla collera di Dio: “Yaveh fece piovere zolfo e fuoco su Sodoma e Gomorra” (19,24).
“Turpitudine” e armonia della collettività
E su questa storia del “popolo di Lot” che ha tentato di “disonorare gli inviati di Dio (XV, 58-77) si basa anche il Corano per condannare questa “azione infame”, questa “turpitudine”.
Assimilata ad una rivolta contro l’ordine divino poichè si tratta di una sessualità sterile, essa rimette in discussione la bipartizione sessuale in due poli complementari – l’uomo e la donna – voluta dal creatore. La sunna prescrive la pena di morte, spesso tramite lapidazione.
Infine, diversamente dai monoteismi, il buddismo non ha elaborato alcuna dottrina contro l’omosessualità.
I rari riferimenti ad essa si trovano nel Vinaya, il complesso delle regole disciplinari promulgate dal Buddha e destinate alle comunità monastiche, obbligate all’astinenza dal sesso.
In questi ambienti chiusi ci sono regole che tentano di limitare la promiscuità, con lo scopo di annientare ogni desiderio sessuale, di qualunque orientamento sia, perchè esso potrebbe turbare l’armonia della collettività.
In Francia, seguendo le linee proposte dal Laterano III (1179), primo concilio ecumenico a condannare gli atti omosessuali, la Chiesa cattolica pronuncia nel XIII secolo la stigmatizzazione teologica e canonica dell’omosessualità.
Sostenuta dagli specialisti della teologia morale, tra i quali san Tommaso d’Aquino, questa condanna sviluppa l’argomento della depravazione di pratiche giudicate “contro natura”, peraltro già presente negli scritti di San Paolo, morto verso il 62-64 (Rm 1,26).
L’ipocrita anatema cattolico
Nel XXI secolo, l’istituzione mantiene questo anatema; l’ultima versione del Catechismo romano al riguardo è precisa:
Un’ostilità che viene riaffermata nel 2008 da Papa Benedetto XVI, che ha denunciato la confusione dei generi sessuali, che secondo lui conduce “all’autoemancipazione dell’uomo dalla Creazione e dal Creatore”: “L’uomo […] vive così contro la Verità, contro lo Spirito creatore”, ha deplorato.
Questa dichiarazione ha sollevato un’ondata di indignazione, essendo sopraggiunta proprio subito dopo il rifiuto del Vaticano di associarsi all’appello lanciato da 66 Paesi per la depenalizzazione universale dell’omosessualità, peraltro estremamente diffusa e tollerata nel clero cristiano, all’interno dei monasteri e dei seminari.
“Continua quello che stai facendo”
Un segreto di Pulcinella che la violenta condanna da parte dell’istituzione non riesce ad occultare: per paura dello scandalo, la Chiesa rimane ancora oggi prigioniera di questa contraddizione.
Lo testimonia il percorso del 77enne Padre Jacques: “La prima reazione dei miei responsabili, al mio annuncio di essere omosessuale, è stata quella di esclamare: “La cosa è conosciuta?!”.
Alla fine degli anni ’60, dopo cinque anni di magistero in una zona rurale, decide di chiedere un periodo di congedo per poter intraprendere una psicanalisi a Parigi, tormentato dalla sua “doppia vita”. Al termine della terapia, partecipa al lancio dell’associazione David et Jonathan.
Le mie attività sono riconosciute senza essere avallate. L’ultima volta che ho visto il mio vicario generale, gli ho chiesto cosa dovessi fare, ed egli mi ha risposto: “Continua quello che stai facendo adesso”>.
Una “libertà di coscienza predicata dai Vangeli”
Il prete, che da quarant’anni vive col suo compagno, fa il conto del cammino percorso: “Ci ho impiegato vent’anni prima di parlarne liberamente. Ma sono consapevole della libertà di coscienza che mi ha dato la mia situazione, è il più importante dei messaggi di Cristo.
Predicata dai Vangeli, questa libertà di coscienza è stata confiscata dal clero, cioè da uomini che vivono fuori dal lavoro e dalla sessualità, e che tuttavia decidono per tutti, vi sembra una cosa normale?”
Sulla scia del centro pastorale delle Halles-Beaubourg, che dalla fine degli anni ’70 lascia la porta della sua chiesa Sainte-Merri “spalancata” alle comunità che sono ai margini, tra cui i gay e le lesbiche, alcune parrocchie cattoliche fanno ormai qualche passo verso di loro, seguendo le raccomandazioni del Catechismo, per accoglierli “con rispetto, compassione e delicatezza”.
Ed è’ proprio a questa calda benevolenza che mira il pastore Stéphane Lavignotte, della missione evangelica della Maison verte, nel XVIII distretto parigino: “Qui viene dato alla comunità gay un posto, non malgrado ciò che essi sono, ma con ciò che sono. Dio accoglie tutto ciò che esiste, perchè dobbiamo pretendere di non accogliere tutti?”
La strada dell’inclusività
Così arrivano alla Maison verte omosessuali respinti da altre parrocchie protestanti, o delusi dall’intransigenza cattolica. , ricorda il pastore.
Questo concetto di “inclusività”, di origine anglosassone, è anche quello su cui si basa l’accoglienza degli omosessuali all’interno del Movimento ebraico liberale di Francia, che rappresenta una minoranza dell’ebraismo francese, ma che in realtà costituisce la maggioranza a livello mondiale.
Noi facciamo questa riflessione sulla diversità, ricordando questo messaggio della Torah: “Ricordati che sei stato straniero.”>
Il movimento liberale da una quindicina d’anni ammette gli omosessuali nei suoi seminari (negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Israele -in Francia non esistono).
Se negli Stati Uniti da poco tempo al fianco dei liberali ci sono anche alcune correnti ortodosse impegnate ad abolire la discriminazione di cui sono fatti oggetto gli omosessuali, in Francia, dove l’ortodossia è ancora dominante, gli spazi di dialogo sono molto rari.
Alla luce di questa doppia identità
Uni di questi gruppi, il Beit Havérim, “Gruppo ebraico gay e lesbico di Francia” è stato fondato nel 1977 e propone degli scambi “alla luce di questa doppia identità”.
Sul forum del suo sito Internet, sono tante le testimonianze che parlano della difficoltà, talvolta estrema, di dichiararsi all’entourage.
“Il mio coming out è avvenuto quattro anni fa -scrive il 26enne Okapi. Mia madre è quasi impazzita. Mio padre non sapeva cosa dirmi e mi scriveva delle lettere per convincermi a rimaner puro.”
E questo rifiuto non proviene esclusivamente dagli “ascendenti”: .
Poichè non c’è nessuna associazione francese che li renda visibili, è Internet che serve da sbocco a molti musulmani omosessuali, così è anche per il blog di Najim, “beur gay e musulmano” (beur indica un discendente di emigrati nordafricani nato in Fancia ed ivi naturalizzato, ndr) di 33 anni, assiduo frequentatore: Sarò giudicato da Dio per il mio peccato di essere omosessuale. Ma spero che Egli saprà leggere nel mio cuore anche le sofferenze che ho vissuto.>
Clandestini di periferia e peccato nascosto
Gli omosessuali musulmani, che quasi sempre dissimulano la propria sessualità alle loro famiglie, se provengono dalle città devono uscire dal loro quartiere per poter vivere in libertà: a Parigi alcuni locali notturni per lesbiche sono diventati il luogo d’appuntamento di questi clandestini abitanti di periferia, per i quali la fede rimane comunque un indispensabile riferimento.
Nella comunità musulmana francese il tabù esiste ancora: constata Khalil Merroun, il rettore della moschea di Evry (Essonne), che sottomette tuttavia il divieto coranico alle regole del gioco repubblicane:
L’esempio americano
Il buddismo da parte sua predica un’ ampia visione della compassione e l’accettazione dell’omosessualità è di fatto generale nelle sue comunità.
Nel 2001 una dichiarazione del Dalai Lama è stata particolarmente criticata: <[L'omosessualità] fa parte di ciò che chiamiamo "una cattiva condotta sessuale". Gli organi sono stati creati per la riproduzione tra l’elemento maschile e l’elemento femminile, ed ogni deviazione da questo non è accettabile da un punto di vista buddista.>
In seguito si è affrettato a fare una rettifica (), in particolare sotto la pressione delle comunità buddiste degli Stati Uniti. Ed è ancora l’ambiente americano a presentarsi come un esempio di apertura.
Un paradosso ancora presente
I miei maestri hanno sempre dimostrato apertura: a loro non importa sapere con chi andate a letto, quello che importa è l’energia che c’è tra due persone.
Anche se negli Stati Uniti c’è molta omofobia, la percezione di questo atteggiamento della società “scivola” sulla comunità buddista. Tutto il mio entourage è tollerante, ed io mi sento molto bene con me stesso.>
Questo racconto si scontra con il paradosso ancora presente che governa la vita spirituale della maggior parte dei credenti omosessuali francesi: come gestire ogni giorno la propria fede in una religione che rifiuta il loro modo di amare, che è certamente anomalo, ma è pur sempre amore?
Se Dio è amore e misericordia per l’umanità, perchè alcuni dovrebbero venir esclusi per volere di questa società fatta di uomini?
Questo dilemma non ha ancora terminato di suscitare nei credenti angoscia e sofferenza, a volte anche una vera disperazione.
Per approfondire:
• Thomas Römer et Loyse Bonjour, L’Homosexualité dans le Proche-Orient ancien et la Bible (Labor et Fides, 2005).
• Malek Chebel, L’Esprit de sérail (Payot, 2006).
• Bernard Faure, Sexualités bouddhiques (Flammarion, 2005).
• Stéphane Lavignotte, Au-delà du lesbien et du mâle (Van Dieren, 2008).
• Louis-Georges Tin (dir.), Dictionnaire de l’homophobie (PUF, 2003).
* Articolo già pubblicato nel numero di luglio-agosto 2009 di Le Monde des Religions
Testo originale: Homosexualité et religions, le tabou