«Siamo gay e Dio ci ama»: viaggio tra gli omosessuali cristiani in Italia
Articolo di Francesca Sironi pubblicato sul settimanale L’Espresso n.16 del 15 aprile 2018, pag.68-75
Viaggio nei luoghi di incontro tra gli omosessuali cristiani. Dibattiti culturali, momenti di preghiera e tavole imbandite. Le parrocchie stanno iniziando ad ascoltare migliaia di fedeli. Il rischio di crociate esiste. Ma il cambiamento è avviato.
Sabato, Milano è grigia. Vittorio appoggia il tagliere e i carciofi e si siede. «Sai, sono stato fortunato a scoprire questo posto. Quando è morto il mio compagno, potevo solo stare zitto. Dovevo pensare ai figli che vivevano con noi, all’ex moglie di lui. Ma io, io ero disperato, e senza appigli». Di fronte alla morte, non sapeva se cercare almeno il colloquio con Dio. Perché, da omosessuale, non osava chiedere alla Chiesa quel conforto. L’ha trovato poi in questa stanza. A “Il Guado”, un’associazione di omosessuali cristiani nata alla fine degli anni ’80.
Oggi è serata di incontri. Stanno per discutere attività e bilancio. In seguito è prevista la cena. Del menu si occupa Vittorio, come sempre. Sono attesi in venti. «Per definirci usiamo dire: siamo un posto dove le persone vengono accolte», racconta Gianni Geraci. Che spiega: «proponiamo appuntamenti culturali, fra i più recenti quello con Piergiorgio Paterlini e momenti di preghiera. Abbiamo ripreso la tradizione della “lectio divina”, commentiamo la Bibbia.
Poi ci sono le cene, il vero momento di discussione». Il presidente entra con il suo compagno, con il quale vive da 18 anni (è quasi poco, al Guado: c’è una coppia che ne festeggia venti e un’altra addirittura trentacinque): «Io non sono cattolico», racconta, ma interviene un signore di Gallarate, canuto, un grosso maglione di lana e un sorriso, «è più credente lui di tanti bigotti», dice. «Tipico di voi cattolici», lo interrompe il primo: «Io non lo sono, mi continuo a interrogare. Ma sono al Guado perché sento molti più spazi di libertà qui che altrove. Qui non c’è alcuna ortodossia. Né religiosa, né da attivismo».
La “questione omosessuale” è una vertenza decennale nel mondo cristiano. Oggi sempre più cogente e universale. L’anno scorso i Valdesi italiani hanno sancito in concilio la possibilità di benedire le unioni civili. Negli Stati Uniti presbiteriani, luterani e episcopali ne celebrano i matrimoni. Prima dell’ultimo sinodo sulla famiglia indetto da Papa Francesco, s’erano alzate speranze di cambiamento anche all’interno della dottrina cattolica. Così non è stato, ma sull’accoglienza e l’approccio pastorale, raccontano in molti, le parrocchie si stanno aprendo alla realtà. Stanno iniziando ad ascoltare le richieste di migliaia di fedeli. Non sempre, certo: proprio quando è più vicino un progresso, il rischio di crociate aumenta. Ma il cambiamento è avviato. Ed è lungo la dorsale di questa risalita dalla condanna al riconoscimento che Simone Cerio ha seguito per quattro anni gruppi di omosessuali cristiani in tutta Italia. Il suo lavoro, pubblicato in queste pagine, diventerà presto anche un sito, “Religo”. È una ricerca sul futuro e il presente della coppia, dell’affettività, e della spiritualità cristiana. Attraverso le voci di chi ne è parte, senza esserlo ancora pienamente.
«Prima del Concilio gli omosessuali erano considerati peccatori destinati all’inferno, e stop», spiega Alberto Maggi, biblista, teologo, fondatore del “Centro studi biblici Vannucci” di Montefano: «dopo il Concilio la Chiesa ha ritenuto di aprire una strada, sancendo che gli omosessuali possono non essere peccatori. Ma solo se non vivono o non manifestano la loro sessualità. L’unica via per loro dev’essere cioè il celibato, la castità. Ma è come dire a una pianta: puoi crescere. Ma non puoi fiorire».
Il peccato. «Ah il peccato. E si richiamano ai testi, Levitico, 20:13», dice Maggi, che cita di continuo i passaggi biblici): «L’uomo non giacerà con un altro uomo. Ma il Levitico ci dice anche che possiamo vendere nostra figlia come schiava, o che non dobbiamo mangiare maiale. Bisogna interpretare i testi con le nostre gerarchie di valori». Non per convenienza, per adattamento ai tempi, come accusano i tradizionalisti. Ma per il cuore stesso del messaggio cristiano, sostiene Maggi.
«Se la Chiesa sapesse i lutti causati da queste posizioni, le sofferenze, il dolore…», riflette il biblista: «Nel 2010 venni invitato a “UnoMattina”, proprio a parlare di questi temi. Pochi giorni dopo ricevetti una lettera. Era di una ragazzo di Lugano. Mi raccontava che quella mattina aveva deciso di togliersi la vita. Per il peccato di essere omosessuale, da cattolico. Aveva acceso la tv per non far sentire i rumori nell’altra stanza, dov’erano i genitori. Ha scritto: “qualunque cosa le diranno, sappia che lei ha salvato la mia vita. Avevo il cappio in mano”. Quanti suicidi, quanta sofferenza, quante vite distrutte. Nel nome di chi? Non certo nel nome di Cristo».
Ora deve andare, ha da iniziare il commento del Vangelo in diretta su Facebook. «Dio non si manifesta attraverso la dottrina», conclude: «Dio si manifesta attraverso la tenerezza. San Pietro, Atti degli apostoli, 10:28. E disse loro: “Dio mi ha mostrato che non si deve chiamare profano o impuro nessun uomo”. La verità di una dottrina non dipende dall’autorità. Ma dagli effetti che produce. E se non produce vita non viene da Dio».
Felice ha 24 anni, studia Medicina, ha gli occhi azzurri. «A 20 anni ho compreso l’attrazione che provavo per un mio amico. Non me l’aspettavo, non ero ancora pienamente cosciente della mia omosessualità», racconta: «fu un periodo intenso, buio. Educato in Chiesa, trovai nel catechismo quella sola definizione: disordine». Alla voce compare infatti: «Questa inclinazione, oggettivamente disordinata…» «Iniziai a pensare che quella fosse la croce che Dio aveva pensato per me, nella mia vita. Mi dicevo: c’è a chi muore un padre, o ha una malattia. A me è capitato questo. Iniziai a reprimermi con tutta la forza che avevo. Mi allontanai da quell’amico. Misi a tacere le emozioni che finalmente ero riuscito a provare. Ero convinto che avrei dovuto per sempre pentirmi di quello che stavo vivendo».
Poi andò dal parroco. «E lui mi consigliò di avvicinarmi ai gruppi di Nuova Proposta e Cammini di Speranza. Pensavo: “Finalmente andrò in un luogo dove mi insegneranno ad evitare quello che sento”. Invece trovai un posto completamente diverso. Incontrai ragazzi felici di essere quello che erano. Pensavo fossero pazzi. Non li capivo proprio». Si mise a frequentare anche convegni dove insegnavano la felicità dell’esser casti. Eppure, «continuavo ad andare lì, da Nuova Proposta, attaccandoli, dicendo che stavano sbagliando. E loro non mi hanno rifiutato. Aspettavano. Non si schiodavano. Un giorno ho finalmente realizzato la serenità che provavo al loro fianco. Ho visto come tutte le forze che stavo usando per reprimermi erano solo tempo tolto agli altri, all’essere un buon cristiano. Da quel giorno, mi sono fidato. Mi sono fidato del fatto che Dio potesse rendermi felice in un modo che non avrei mai immaginato». Da allora, è diventato promotore di un gruppo di giovani omosessuali cristiani. «Adesso aiuto», dice, «chi si trova nel buio da cui mi son svegliato io».
Lo stesso impegno ha portato Sergio Caravaggio a fondare nel 2007 a Cremona “Alle Querce di Mamre”. Ha proiettato lì il suo impegno dopo aver lasciato gli studi in seminario. «Da quando abbiamo aperto, c’è stato un cambiamento epocale, nell’atteggiamento della Chiesa nei nostri confronti. Soprattutto da quando è arrivato Papa Francesco. Resta molto da fare sulla comunità cattolica nel suo complesso, e sul piano dottrinale, certo, ma i parroci sono cambiati. Ci sono vicini. L’ho sentito molto quest’estate lungo la via Francigena». In gruppo hanno infatti percorso ad agosto la strada da Siena a Roma. Indossavano una maglietta col verso “Quel giorno si misero in cammino” e la scritta “Cristiani Lgbt”, oltre alle sigle delle associazioni presenti. «Con questa maglia siamo stati in ostelli, monasteri, chiese, conventi. Trovando ovunque una grande accoglienza».