Barlumi di accoglienza spirituale. La storia del gruppo Bethel di donne e uomini omosessuali liguri
Articolo di Lidia Borghi tratto dal mensile Tempi di Fraternità, giugno-luglio 2011, p.14-15
Era il 3 marzo 2009 quando, grazie a don Piero, un prete cattolico di grande sensibilità, a Genova si tenne un incontro che aveva come tema l’accoglienza spirituale delle persone omosessuali.
In quell’occasione una lesbica ed un gay credenti offrirono alle persone presenti la loro testimonianza di fede ed omosessualità.
Da quella prima, indovinata esperienza, è nato il gruppo Bethel di lesbiche e gay credenti liguri che, oggi, è formato da una trentina fra donne e uomini che hanno almeno tre caratteristiche in comune: la fede in Dio, la varietà delle credenze spirituali e l’orientamento sessuale altro, rispetto alla regola etero-sessista.
Diverse per età, mentalità, esperienze di vita e condizione sociale queste persone, per la maggior parte non dichiarate in società, hanno trovato il coraggio di frequentare il gruppo e, cosa ancor più bella, di condividere con esso le parti più dolorose delle rispettive vicende umane, fatte di discriminazione, odio, stigma sociale e rifiuto totale da parte di una chiesa, quella cattolica, che continua imperterrita a bollare le loro relazioni amorose come disturbate, corrotte, alla loro base, da una presunta deviazione dal progetto che Dio avrebbe voluto per le donne e gli uomini.
In ciò, il Vaticano si dimostra incurante del messaggio evangelico, di cui i suoi ministri di culto dovrebbero essere i messaggeri. A detta di don Piero, la gerarchia cattolica continua a divulgare, contro le persone omosessuali, delle controindicazioni che sono: «giudizi decisamente feroci, in quanto non affrontano la persona, ma partono dal principio secondo cui c’è un’immoralità di base».
Prima che l’esperienza del marzo 2009 si concretizzasse, don Piero quasi nulla sapeva dell’omosessualità, se non quel poco che alcune persone gli avevano rivelato nel segreto del confessionale: quell’illuminato uomo di chiesa si muoveva a disagio, animato da un’impotenza quasi assoluta nell’ascoltare le storie, vissute come un male, di donne e uomini che a lui si rivolgevano per una parola di conforto. E, ogni volta, quelle persone ricevevano in cambio,la sua assoluzione piena.
Pur non essendo pienamente conscio dell’esistenza di un intero mondo di relazioni omo-affettive, vissute in segreto, don Piero si mise a leggere più libri che poté e scoprì che, all’indirizzo di quelle persone, per lo più venivano rivolte parole di cattiveria intrise di una ferocia assurda.
Decise così di stabilire un contatto più stretto con quel mondo, con un unico rammarico, avvertito da lui come una colpa, quello di «non aver affrontato prima, in maniera più personale e diretta, questa faccenda».
Fu poi la volta della creazione del gruppo. La scelta del nome avvenne solo dopo un anno e mezzo di riunioni.
Prima vennero stabilite le linee guida per strutturare gli incontri di questo particolare insieme di donne e uomini credenti, i quali chiedevano poche e semplici cose a quel ministro di culto che, con una spontaneità degna di un infante, a loro si era rivolto: accoglienza e supporto spirituale, attraverso la lettura di passi dei Vangeli.
E così nacque la comunità di donne e uomini credenti liguri, che oggi va sotto il nome di GruppoBethel.
Ogni mese, da settembre a luglio, le persone omosessuali di Genova, della Liguria e del basso Piemonte si ritrovano in una saletta parrocchiale di un quartiere genovese lontano dal centro, si dispongono in circolo, si guardano in viso, pregano insieme e, quel che più conta, possono fare affidamento su un presbitero che, in modo totale e disinteressato, si pone in ascolto silenzioso e compassionevole, conscio di avere un’unica certezza, dalla sua: un profondo amore, incondizionato, nei confronti di donne e uomini che sono stati chiamati da Dio alla realizzazione piena, oltre che di se stessi, della propria felicità, all’interno della Casa del Signore (in ebraico Bethel).
In merito a questo punto don Piero non ha dubbi: «Quei momenti sono importanti, perché ci sforziamo di costruire uno spirito nuovo e sarà solamente attraverso questo che si potrà diventare contagiosi di una nuova ricerca, che potrà far andare, un giorno, queste persone a testa alta.
Io prego che ci sia il giorno in cui ogni persona che vive onestamente la sua vita personale e di coppia, possa essere accolta e non guardata con ignoranza, come avviene, ma accolta e basta.
È questo che deve far contente le persone, perché ogni persona è chiamata a realizzarsi e non c’è chi lo può fare e chi no. Questa è la vocazione di tutti.»
Considero don Piero un prete di frontiera grazie al fatto che, con la sua cura pastorale per le persone omosessuali sta spostando, in modo lento ma inesorabile, la linea di confine che separa la vieta mentalità cattolica dal nuovo concetto di famiglia e, quando gli ho chiesto di fare un bilancio di questi due anni di lavoro a stretto contatto con una comunità di persone omosessuali e credenti, lui mi ha risposto, con il grande entusiasmo che gli è proprio:
«Bilancio più che positivo! Io sono stupito da quanto è avvenuto! Ringrazio Iddio… Perché penso di esser stato solo uno strumento esteriore di “coagulo” dell’incontro, di fiducia e di ricerca.
Soprattutto credo che quella del gruppo sia un’occasione non certo per fare delle rivoluzioni. Ce ne rendiamo conto da noi.
Queste vanno fatte in altre sedi. Io personalmente non credo molto nelle rivoluzioni… Il nostro intento è solo quello di ritrovarci e di chiarire, di ripulire tutte le motivazioni, liberandole il più possibile dalla faziosità e da un’animosità arrabbiata che ha sì motivo di esserci, ma non lì.»
La cura pastorale che don Piero offre al Gruppo Bethel va ben oltre la lettura di interi passi delle Scritture poiché, soprattutto all’arrivo di una persona nuova nella comunità, i presenti si mettono ad ascoltarne in religioso silenzio la testimonianza, che rappresenta il momento più importante dell’intero incontro, non solo per il pesante carico emotivo rappresentato dalla narrazione, ma anche perché la fase della condivisione è quella che riesce a tirar fuori dalle donne e dagli uomini di Bethel quell’insieme positivo di dolore e di commozione che va sotto il nome di compassione, nel senso stretto del termine (sentimento di compartecipazione alle sofferenze altrui):
«In genere – sono parole di don Piero – avviene che ci si ascolta e ci si aiuta a guardare al positivo di una realtà che viene spesso presentata, da chi si affaccia per la prima volta al gruppo, come colpevolizzata, mentre invece il messaggio che si vuole far passare è: “Coraggio! Mentre ricerchi il senso della tua vita, le persone con le quali ti ritrovi stanno facendo il tuo stesso percorso”.
Per questo credo che uno degli obiettivi delle persone che partecipano sia quello di ricevere una sorta di rasserenamento».
Per citare le parole usate dalle redattrici e dai redattori del Progetto Gionata, che raggruppa, grazie ad un sito Internet, tutte le comunità di donne ed uomini omosessuali credenti in Italia (https://www.gionata.org),«a Genova è iniziato un nuovo cammino».
Chiunque voglia condividere la sua personale vicenda con le persone omosessuali del Gruppo Bethel, deve sapere che esse sono animate da un’incrollabile fede in quel Dio che mai giudica o abbatte ma che sempre benedice l’umanità con la Sua Grazia adamantina.
Sappia, infine, che potrà farlo grazie ad un prete che è mosso da un amore che va oltre nel condurre la sua cura pastorale con persone omosessuali.
Le donne e gli uomini omosessuali di ogni latitudine hanno a disposizione della loro crescita personale lo scritto più potente e rivoluzionario che mano umana abbia mai realizzato, il Vangelo. Partendo dal suo universale messaggio d’amore, queste persone possono cominciare a fare la differenza.
Per migliorare. Per evolversi. Per lasciare, infine, il mondo un po’ più evoluto di come l’avevano trovato.