Dal buio alla luce. La mia Pentecoste di gay cristiano
Riflessioni di Antonio C. del gruppo Ichthys Community. Cristiani LGBT+ di Siviglia (Spagna) pubblicate su Facebook il 20 maggio 2018, libera traduzione di Innocenzo
Spesso, quando medito o prego, ho avuto l’ardire di chiedere a Dio una spiegazione, indeciso se incontrarlo o abbandonare del tutto la sua ricerca. Volevo che mi dicesse come avrei potuto dare un senso alla mia vita, senza dover rinunciare a ciò che sono. Avevo abbandonato Maranatha, la mia comunità cristiana. Ho lasciato il mio lavoro di catechista. Ho abbandonato i sacramenti. Tutto perché mi sentivo vuoto. Sperso ed esausto per tutti gli anni in cui ho finto di essere ciò che non ero.
Con Dio ci ho parlato senza mai fermarmi. E ogni volta l’ho rimproverato per come mi aveva fatto soffrire, durante tutta la vita, per avermi creato omosessuale e di come ne soffrissi. Ma non ho mai ricevuto risposte. Poi sono andato a cercarle a Loja. Era l’estate del 2003.
Mi sentivo come se fossi richiuso dentro un armadio con le porte sprangate, ma Gesù entrò e mi disse “la pace sia con te“. Poi mi ha mostrato le ferite sulle sue mani e il suo costato.
Ho visto così che nelle sue ferite c’erano le mie ferite. Tutto ciò che mi aveva ferito durante la mia vita era lì, sulle sue mani e sul suo costato. Ogni minuto di paura e di solitudine. Ogni lacrima Tutti i miei dubbi. Le ferite di Gesù erano le mie e c’era tutta la mia sofferenza, insieme alla sua.
Ho capito che ha sofferto con me e che mi chiamava ad accettarmi, a smettere di aver pietà di me, a non incolpare più nessuno. Mi ha spinto ad essere me stesso, a non aver paura. Le sue ferite garantivano che mi amava, così tanto che ha dato la sua vita per me, pienamente, senza disprezzare nulla di ciò che sono.
Allora fui felice perché stavo riconoscendo il Signore. Sentivo quanto mi mancava e di come avevo bisogno di lui. Sono tornato a casa come il figliol prodigo ed il Padre era lì che mi stava aspettando sulla porta, per accogliermi. Ho pianto di gioia.
Ma ero ancora rinchiuso dentro l’armadio, con le porte chiuse, perché avevo paura di coloro che erano fuori. Gesù ha soffiato il suo respiro su di me e mi ha detto “ricevi lo Spirito Santo“.
In quel momento mi sono sentito pieno di forza ed ho smesso di aver paura. La mia fede è diventata forte, profondamente radicata e la mia voce ha potuto pronunciare nuovamente il nome di Gesù, il Salvatore.
Lo Spirito mi ha portato fuori dal rifugio dove mi ero nascosto per tutta la vita. Non avevo più paura di nessuno. Non ero più ferito dalle armi di coloro che, in passato, mi facevano soffrire.
La Pentecoste mi ricorda questo passaggio della mia vita, dall’aver paura, all’avere la vita. Dal non essere me stesso, all’essere me stesso. Dal dubitare al credere. Dalla disperazione, alla fiducia. Dalla sofferenza, al piacere. Dalla tristezza, alla gioia. Dal voler morire, al voler vivere.
La mia Pentecoste particolare avvenne un’estate, quando era stanco e disperato, deluso e spaventato, ma in quel momento ho insistito nel mio cammino di ricerca per non perdere definitivamente la mia fede e per non rimanere rinchiuso definitivamente in un armadio.
Ma Pentecoste può accadere in qualsiasi giorno. Basta fidarsi. Basta lasciarsi andare e mettersi nelle mani del Padre. E’ allora che soffia lo Spirito Santo, e allora che arriva, sempre.
Testo originale: Pentecostés. Comentario al evangelio desde fuera del armario