Cosa ha detto a porte chiuse Papa Francesco ai vescovi sui “seminaristi gay”?
Riflessioni di Carlo Di Cicco, vaticanista, pubblicate sul portale Tiscali News il 27 maggio 2018
Quando si dice malizia, una parola che fa rima con furbizia, ci si riferisce per lo più alla sfera sessuale, dove in realtà c’è una gran confusione, dove resistono tabù e storture dure a morire in ambito educativo e anche nelle istituzioni ecclesiastiche.
Infatti per stornare la possibile critica sul comportamento sessuale scorretto tra gli eterosessuali a cui si pensa sia lecito ogni cosa, si storna l’attenzione sugli omosessuali, una realtà umana vissuta nella società sempre come un territorio misterioso, ricettacolo di ogni vizio. Mentre per gli etero sessuali si distingue e si accetta tranquillamente la differenza tra “tendenza”, orientamento e “pratica” sessuale, parlando di omosessuali si confonde con molta leggerezza tendenza e pratica omosessuale. Se poi è un papa a fare la distinzione, torna comodo ripetere luoghi comuni creando confusione tra orientamento e pratica omosessuale. Sugli omosessuali si scarica, in qualche modo, la generale difficoltà a parlare di sessualità liberi da tabù, ma anche da licenziosità in una materia personale che si vorrebbe amministrare nella penombra riservata.
“Chi sono io per giudicare”
Il tentativo forse di ridimensionare le aperture di papa Francesco nel riconoscere pari dignità alle persone omosessuali, ogni occasione appare buona per sollecitare qualche ripensamento del papa dopo il suo famoso slogan: “Chi sono io per giudicare” che aveva mandato in tilt una tradizionale pratica discriminatoria delle persone omosessuali.
Anche la recente assemblea dei vescovi italiani dove uno dei temi affrontati è stata la crisi delle vocazioni ha dato spunto al tema della sessualità nella formazione dei preti. Nel dialogo a porte chiuse tra papa e i vescovi era stata affrontata anche la questione della formazione dei seminaristi, futuri preti, a cominciare dalla loro ammissione in seminario. E Francesco aveva ribadito la dottrina corrente, invitando alla prudenza nell’ammettere in seminario giovani o persone omosessuali, non tanto in quanto omosessuali ma valutando il loro comportamento sessuale pratico.
Saper distinguere
Francesco aveva parlato di “discernimento” cui gli educatori dei seminaristi devono ricorrere, con la capacità di guardare lontano, quando i seminaristi saranno diventati preti. Giusta preoccupazione: se nel periodo formativo la pratica omosessuale fosse considerata abituale, tali soggetti sono da fermare perché sarebbero sessualmente attivi anche da preti. Un problema non circoscritto al momento formativo ma aperto al dopo con lungimiranza educativa: i futuri preti saranno affidabili dal punto di vista di gestione della sessualità? Il comportamento sarà affidabile se affidabile e seria sarà stata la loro formazione sessuale.
L’acqua sporca dentro i seminari
Al presidente della Cei, Gualtiero Bassetti non restava che confermare l’indicazione del papa affermando davanti ai giornalisti: “Il papa ha ragione: nei seminari c’è acqua sporca che va tolta. La fragilità umana c’è per tutti”. E quindi non solo per coloro che non diventeranno preti. La gestione della propria sessualità resterà un impegno anche nella vita adulta. Se è vero che nel passato un vaglio più severo si faceva verso gli omosessuali, in realtà il controllo nei confronti della sessualità in quanto tale era molto rigida verso tutta la materia sessuale. Si mandavano a casa anche quei giovani etero sessuali candidati al sacerdozio che non fossero stati capaci di resistere alla tentazione di peccare sessualmente.
Infatti il voto di castità che i sacerdoti fanno è una scelta che viene alla fine di un percorso formativo in cui si sperimenta a lungo la capacità del candidato a saper controllare gli impulsi sessuali. Se regolarmente ci si ritrova a dover confessare peccati di natura sessuale, significa che non si è capaci di poter fare il prete a cui nella chiesa latina si richiede il voto di castità. Il voto di castità vieta di sposarsi ma anche di praticare qualsiasi tipo di sessualità come ad esempio la masturbazione. Se un giovane constata di masturbarsi regolarmente e frequentemente viene invitato a lasciare il seminario.
Costretti alla castità
La Chiesa cattolica ha sempre previsto un tale accorgimento da quando è invalso l’obbligo del celibato per i preti. Ma è risaputo che il voto di castità non è facile da rispettare dagli omosessuali ma ugualmente da quel notevole numero di ecclesiastici che, per lo più in forma clandestina, vivono amori per una donna con tutte le conseguenze di essere amanti.
Magari i fedeli lo scoprono ma finché il rapporto è consensuale e ci si prende cura degli eventuali figli, si è portati a chiudere un occhio, anche se quasi sempre l’infedeltà al voto di castità viene vista come una mancanza del prete. In materia sessuale l’istituzione ecclesiastica è molto severa e la carriera di preti infedeli al celibato non ha sbocchi.
Pratiche sessuali spropositate
Cosa ha detto allora Francesco di nuovo o sconvolgente in proposito rispetto a quella apertura che sembrava avere avuto verso gli omosessuali? Nulla. Neppure una parola nei confronti delle persone omosessuali in quanto tali. Si potrebbe dire che il suo è stato un discorso sul piano di educazione sessuale dei giovani seminaristi in genere. E nell’ambito educativo. l’educazione della sessualità viene vista come particolarmente importante per la riuscita della vita adulta e quindi bisognosa di un puntuale discernimento.
Sono le tendenze spropositate verso pratiche sessuali e non l’orientamento sessuale a essere un problema. E quindi si chiede massima cura nell’ammettere i giovani poiché queste tendenze esagerate nella ricerca del piacere, quando sono «profondamente radicate», si realizzano nella pratica del sesso e quindi anche di «atti omosessuali». Il facile ricorso al sesso può seriamente compromettere la vita del seminario oltre che quella dello stesso ragazzo e un suo futuro eventuale sacerdozio. Quando non si è in grado di un self control sessuale, si possono con facilità creare condizioni di scandalo.
La questione dell’infedeltà
Non che un prete avvezzo a rapporti sessuali con donne dia maggiori garanzie di un gay che pratica la sessualità. Entrambi sono responsabili di infedeltà al voto. Ma la preoccupazione di Francesco esprime solo l’auspicio che la formazione sia fatta seriamente perché le norme già esistono. L’appunto del Papa ai vescovi della Cei va ricondotto, ad esempio, alla Ratio Fundamentalis pubblicata nel dicembre 2016 dalla Congregazione per il clero: un corposo documento, dal titolo “Il Dono della vocazione presbiterale”, con il quale il dicastero ha aggiornato norme, usi e costumi per l’accesso al seminario, fornendo suggerimenti pratici anche su salute, alimentazione, attività motoria e riposo. E naturalmente l’educazione sessuale.
Impossibile ammetterli
In relazione alle persone con tendenze omosessuali che si accostano ai seminari, o che scoprono nel corso della formazione tale situazione, in coerenza con il proprio magistero, – si afferma in un paragrafo del documento – la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al seminario e agli ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay». Il testo parla da sé: non sono esclusi i gay in quanto tali, ma solo coloro che praticano la sessualità in maniera smodata e inappropriata, ossia che sono incapaci di vivere in continenza.
Atti e tendenze omosex
Anche la Ratio del 2016, che di fatto ribadisce quanto stabilito dalla Istruzione precedente e la distinzione tra «atti omosessuali» e «tendenze omosessuali»: sui primi la Chiesa riaffermava la definizione di «peccati gravi», «intrinsecamente immorali e contrari alla legge naturale»; mentre domandava per coloro che manifestano delle tendenze, definite comunque «oggettivamente disordinate», una accoglienza caratterizzata da «rispetto e delicatezza», evitando «ogni marchio di ingiusta discriminazione». «Se un candidato pratica l’omosessualità o presenta tendenze omosessuali profondamente radicate, il suo direttore spirituale così come il suo confessore hanno il dovere di dissuaderlo, in coscienza, dal procedere verso l’ordinazione».
La responsabilità resta personale
«Rimane inteso che il candidato stesso è il primo responsabile della propria formazione», si legge nel testo vaticano. Sarebbe dunque «gravemente disonesto che un candidato occultasse la propria omosessualità per accedere, nonostante tutto all’ordinazione. Un atteggiamento così inautentico non corrisponde allo spirito di verità, di lealtà, e di disponibilità che deve caratterizzare la personalità di colui che ritiene di essere chiamato a servire Cristo».
Non bisogna dimenticare, infine, anche un altro rischio indicato da Papa Francesco nel già citato discorso alla Congregazione per il clero, e cioè che spesso «ci sono ragazzi che sono psichicamente malati e cercano strutture forti che li difendono». Ma questo non vale solo per le persone omosessuali.